The Stand - CineFatti

The Stand, un diario: The End.

Il cerchio si chiude, il buio toglie l’ombra allo scorpione

Ho atteso come sempre qualche giorno prima di scrivere e se nelle altre occasioni era la scelta giusta da fare, stavolta sono convinto di aver toppato alla grande. Alla conclusione di ogni episodio seguito al quarto vi era sempre una qualche ragione per attendere il successivo, tolto l’ottavo e chiusa la narrazione ufficiale presa dal romanzo di Stephen King, della miniserie CBS All Access di the Stand non restava nulla da aspettare, persino l’affascinante idea di un nuovo finale scritto dal Re in persona non era più uno stimolo alla riflessione. Giovedì sera tornato da lavoro ho visto l’attesissimo the Circle Closes diretto da Josh Boone e sono stato contento che the Stand fosse finita.

Nacqui papero

Assafà, è stato il primo pensiero. Ciò non mi risparmia dal dover ugualmente riflettere su L’ombra dello scorpione, parto dall’inizio. Secoli orsono Josh Boone seguì al suo successo di Colpa delle stelle con un mare di annunci che lo portavano agli antipodi dal suo cancer drama romantico. Avrebbe diretto il primo film vietato ai minorenni della saga degli X-Men e più film tratti da L’ombra dello scorpione. Avremmo dato per scontato un secondo exploit sullo stesso genere, mai un salto dalla parte opposta, ma Hollywood funziona così: prendi quello che ti danno e poi, se riesci, realizzi il tuo desiderio. Sappiamo come Il padrino fu il trampolino per Apocalypse Now.

Colpa delle stelle fu una delizia strappalacrime, cavalcava leggiadra il carisma spietato di Ansel Elgort e la fragile dolcezza di Shailene Woodley, vederlo dietro la macchina da presa davanti agli orrori di Captain Trips per me era sufficientemente curioso da farmi ben sperare. Diventò una miniserie e abbandonò il grande schermo per la piattaforma CBS All Access, la patria dell’adorata Star Trek: Discovery (poi faremo un discorso a parte per la terza stagione) e di Star Trek: Picard dopo. I miei occhi erano già a cuore, il cast sembrava essere dei migliori: James Marsden, Greg Kinnear, Whoopi Goldberg, Alexander Skarsgård, si capiva che facevano sul serio.

Iniziò la campagna marketing e cominciai a vedere quel romanzo scritto nel 1978 per ciò che era: fan fiction conservatrice, caso più unico che raro nella bibliografia di Stephen King. Ha scritto meravigliosi personaggi femminili come Dolores Claiborne, Doloers Claiborne e Dolores Claiborne – sì, ce ne sono altri, ma lei vale per tre – ed è ingiusto accusarlo di essere qualcosa che non è: tuttavia quando fai una stronzata, non è nemmeno giusto indorare la pillola. Ricordavo L’ombra dello scorpione come l’esemplificazione della lotta del bene contro il male nell’opus kinghiana, ma si vede che ero troppo piccolo quando lo lessi la prima volta per notare i suoi difetti.

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Odessa Young pure s’è accorta dei difetti, grossi.

Gli occhi sulla nuca

Ognuno di loro emergeva nei primi teaser, poi nei character poster e infine nei trailer definitivi: sarebbe stato anche stavolta una versione catto-dipendente dove la rappresentazione del male era pescata dal libro nero di un prete puritano di provincia. La nuova civiltà voluta da Randall Flagg sarebbe stata anche nel 2021 un luogo di perdizione costruito a immagine e somiglianza di Sodoma, la caduta della morale, mentre Boulder illuminata da Dio avrebbe rappresentato il bene assoluto. Posso sembrare anti- a prescindere, ma non è così, le narrazioni scritte bene si apprezzano sempre, diamine, mi colpì molto anche quella singola prima stagione di Resurrection.

Quando il 17 dicembre vidi il primo episodio fui piacevolmente colpito e per altre tre settimane Josh Boone e il suo compare Benjamin Clavell sembrava avessero fatto il colpaccio e adattato come si deve quel romanzo del 1978 al 2021, correggendo le infinite storture. Owen Teague ha potuto interpretare un personaggio viscido nel carattere e non nel corpo, come King si ostinava a descriverlo, Brad William Henke ha recitato un ruolo da persona con disabilità mentali nel modo più realistico possibile ed Heather Graham nel suo episodio s’è strappata di dosso le vesti della damsel in distress e ha fatto giustizia a Rita Blakemoore. Il resto è nulla.

Inutile tornare indietro sugli otto episodi precedenti al nono, chi vorrà farlo ha le pagine di diario in cui potra osservare anche il mio progressivo declino verso la folle rabbia contro the Stand. Il nono è stato lo smacco finale a partire dal titolo: The Circle Closes. Un paio di giorni prima della pubblicazione su CBS All Access doveva chiamarsi Coda: Frannie in the Well e giù i podcaster di the Loser’s Club a ipotizzare connessioni con la magnifica Dolores Claiborne (se non sapete perché, leggete il romanzo o guardate l’adattamento di Taylor Hackford), in ogni caso si poneva bene al centro la povera Frances Goldsmith, inutile tanto su pagina quanto su schermo.

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C’è niente di più americano?

Frannie, all’armi!

Era l’obiettivo di Stephen King: scrivere un nuovo finale per Frannie. Qui è un’altra la Frannie che devo citare. Magari qualche seguace storico ricorderà che agli esordi su CineFatti avevamo tutti un nickname con cui firmare gli articoli. C’era il carissimo Roberto Palo come Hanuman, io ero un banalissimo Dottor Faust (sul serio, la fantasia dov’è oh) e Francesca Fichera era Frannie prima di diventare sui social, in futuro, la franselkie ispirata da La canzone del mare. La Frannie che per lunghi anni sui banchi dell’università e oltre si è impegnata a studiare Stephen Kin e a proporre a riguardo, in ogni occasione possibile, un concetto molto semplice.

Cinema e penna di Stephen King non sono due mondi separati. Deve gran parte del suo successo a Carrie, l’eccellente horror di Brian De Palma tratto dal suo primo romanzo, e da quel momento iniziò una lunga sequela di trasposizioni che lo resero sempre al centro della transmedialità tipica del mercato novecentesco delle narrazioni. Si discute fino all’esasperazione della lotta fra le due K dietro the Shining, perché il padre biologico pur essendone lontano anni luce è impossibile separarlo dalla storia, ha scritto numerosi adattamenti in prima persona, ha anche scritto un paio di sceneggiature apposta per cinema e televisione, I sonnambuli e La tempesta del secolo.

Quando dibattiamo sugli adattamenti dei suoi romanzi stiamo comunque in realtà parlando sempre di Stephen King, anche quando il suo nome è di un’importanza abbastanza relativa. Penso ai due casi opposti come Il tagliaerbe e, appunto, the Shining. In entrambi era assente, ma da uno è uscito un orrore lovecraftiano – in senso brutto – e dall’altro un capolavoro. Questo scambio costante fra la pagina e lo schermo, e viceversa, arriva con the Stand a un livello successivo: L’ombra dello scorpione fu già rimaneggiato con un’edizione integrale, ma in questa occasione Stephen King lo riscrive una terza volta aggiungendo un finale, saltando la carta e passando dritto allo schermo.

In data 15 febbraio 2021, chi vuole leggere L’ombra dello scorpione nella sua ultima versione non può prescindere dalla nuova miniserie. È un caso ben diverso dalle sue passate partecipazioni ad altri adattamenti seriali – ad esempio, scrisse un episodio dell’odiata Under the Dome – proprio perché in questa occasione manifesta la sua intenzione di rettificare un torto fatto da lui stesso su pagina, un torto che rappresenta un ritorno sulle pagine e non una nuova visione al servizio degli autori che lo stanno adattando. In un certo senso differisce anche dal classico stile parodistico-giocoso che caratterizza buona parte delle sue sceneggiature, si avvicina a La tempesta del secolo.

Dammi la prima mela

Purtroppo solo nei toni, perché se la miniserie diretta da Craig R. Baxley rappresenta forse la vetta più alta dei suoi lavori televisivi, the Stand rientra invece perfettamente nei parametri caratterizzanti la media dei suoi adattamenti/scritti: fa abbastanza pena. Il romanzo in conclusione dipingeva l’idillio di Stu Redman e Frannie, bambino al seguito e cattivone sconfitto. Stavolta c’è qualche differenza, alcune già montavano in precedenza: avevo notato la virata di Boulder verso lo stato di polizia e infatti Frannie osserva con dispiacere come la sicurezza della cittadina del Colorado inizi ad armarsi. È chiaro che il mondo tornerà ad essere quello di prima.

Frannie pensa allora sia il caso di abbandonare Boulder, vivere al di fuori della società sola con Stu e sua figlia… King però decide che anche lei deve essere messa alla prova, così come gli altri del comitato hanno avuto la loro. Stu cadendo nel fosso e accettando di restare indietro ha dimostrato di essere un giusto, così Glen rifiutando la pantomima dei seguaci di Flagg e Ray e Larry impassibili dinanzi all’altare del diavolo che li stava condannando a morte. Frannie aspettava a Boulder e basta. Agli uomini la lotta contro il diavolo, alle donne le gravidanze; King quarant’anni dopo ha detto no, Frannie deve avere la sua personale lotta contro il diavolo.

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La donna che rifiutò Skarsgard è una miniserie a parte.

Viaggiando attraverso gli USA verso la sua città natale di Ogunquit, nel Maine, Frannie in un momento senza Stu crolla giù dentro un pozzo. Frannie in the Well, appunto. Chiaramente si sfracella nella caduta e nella nebbia salita grazie al dolore, pascola lo spirito di Flagg. Il diavolo puoi fermarlo, non ucciderlo e quel briciolo della sua essenza in cerca di rinascita trova in Frannie un potenziale rifugio: le offre una fuga dalla morte, la salvezza certa al costo di un bacio. In sé da solo è un controsenso, la Frannie di the Stand dimostrò già nel primo episodio uno scarso attaccamento alla propria vita, quindi perché accettare questo patto?

Lasciamo perdere, diciamo solamente che come lotta contro il diavolo è abbastanza stupida: accettare di morire o vivere col diavolo. Grande prospettiva, tirata così fuori dal nulla dopo otto episodi in cui il personaggio di Frannie è maturato in una donna consapevole non tanto del suo ruolo in società – nel comitato è forse la meno influente – ma della parte che dovrà giocare per raggiungere la felicità. Che secondo the Stand consiste nel fare altri quattro figli con Stu e andare ogni tanto in gita dai “parenti” a Boulder, si spera anche per dare ai bambini modo di evitare il rischio di incesto. Ah, in mezzo alla mela di Randall c’è anche la classica magical negro.

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Magia!

Si tratta nel cinema classico statunitense della figura magica – non necessariamente nel senso letterale del termine – di una persona afro-americana che appare e risolve problemi alla mr. Wolf e… sì, Mother Abagail rientra in quella tradizione. La miniserie La regina degli scacchi ricevette un’accusa simile circa il personaggio di Jolene, che appare e magicamente annulla le dipendenze di Beth Harmon. In the Stand abbiamo questa figura angelica di una ragazzina che dal nulla arriva e salva Frannie da morte certa, dopo che lei ha salvato la propria anima dall’eterna dannazione. La miseria, rischiava di diventare brutta come è successo a Nadine Cross, mica cotiche.

Alla fine? Chiappe all’aria per Randall.
La faccio facile e la definisco l’ennesima presa per il culo di the Stand, che dite?

No.

Il finalissimo non lo discuto nemmeno, vorrebbe essere intelligente e non lo è. Così come non è stato affatto utile questo extra scritto da King. Se avesse voluto restituire dignità all’unico personaggio femminile di rilievo del suo romanzo epico, avrebbe dovuto accettare un banale compromesso: leva di mezzo Ralph/Ray così come Sue Stern è stata cancellata e dai a Frannie quello spazio, manda lei a New Vegas, anche se incinta. Magari può anche non essere incinta, non è che in questa miniserie si sia rivelato indispensabile. Ray nessuno l’avrebbe rimpianta, inutile com’è stata. Insomma, the Stand è finita e fra pochi giorni c’è il CineKing. Aspetteremo il prossimo.

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È finita, alleluia.

Sfoglia le pagine del diario:

Episodio 1, The End (Josh Boone)
Episodio 2, Pocket Savior (Tucker Gates)
Episodio 3, Blank Page (D. Krudy e B.S. Cole)
Episodio 4, The House of the Dead (D. Krudy e B.S. Cole)
Episodio 5, Fear and Loathing in Las Vegas (Chris Fisher)
Episodio 6, The Vigil (Chris Fisher)
Episodio 7, The Walk (Vincenzo Natali)
Episodio 8, The Stand (Vincenzo Natali)
Episodio 9, The Circle Closes (Josh Boone)

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