La canzone del mare che dovete ascoltare.
Tomm Moore scrive dolci e lente ballate impastando il suo inchiostro con la terra d’Irlanda. Lo aveva già fatto nel magnifico Secret of Kells, è tornato a farlo con La canzone del mare (Song of the Sea), luminescente favola ispirata ai miti irlandesi.
Tutto ha inizio in una notte buia e tempestosa, durante la quale il piccolo e tenero Ben (David Rawle) viene accompagnato a letto dalla bella madre Bronach (con la voce della cantante Lisa Hannigan) sulle note di una ninna nanna epica custodita dalle conchiglie.
È l’ultimo incontro fra mamma Bronach – in dolce attesa – e la famigliola di Ben: la donna, colta dalle doglie, scompare nella furia della bufera per non fare più ritorno. Col passare degli anni, grazie alle cure del padre Conor (Brendan Gleeson di nome e di faccia), il bambino è cresciuto, e non da solo: accanto a lui, figlia di quella nottata orribile, la muta Saoirse (Lucy ‘O Connell), ossessionata dal mare.
I mondi magici di Moore
Ritmi solenni e suoni di cristallo accompagnano i tratti spigolosi e al contempo tondeggianti dell’animazione di Moore, che prende a piene mani dal vasto bacino delle leggende del suo posto d’origine e vi si immerge come una bimba tra i flutti.
Così scoprirete chi era il gigante Mac Lir e come arrivò a piangere “un intero oceano”, cos’è una selkie e qual è il suo destino, che significa avere una storia per ogni capello alla stessa maniera del vecchio (e simpatico) Seanachai delle foreste.
Familiarizzerete con i nomi e le sonorità della tradizione gaelica, dal dolore annidato in brónach alla splendida sorte di libertà adombrata da soirse. E, contro sfondi iridescenti disseminati di simboli antichi come di riferimenti artistici (soprattutto a Paul Klee), avrete modo di esplorare la sottile e fragile terra di confine fra gioia e malinconia.
La realtà dei sogni
Perché La canzone del mare è una storia verosimile che trae la propria linfa vitale dalla materia di cui siamo fatti: il sogno, l’immaginazione. Ci ricorda il potere della finzione, che è quello di allontanare la realtà per permetterci di osservarla da un punto di vista privilegiato. Per liberarci dal peso delle prove che ci impone con il sacro esorcismo del racconto e della musica.
Disperdendo ogni lacrima fra le onde.
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