The Handmaid's Tale - CineFatti

Reductio ad medioevum

Il rassicurante e spaventoso mostro sconfitto dai cavalieri del passato

Rivendico il male del mio tempo, esigo appartenga ai miei giorni e si smetta di umiliarlo sottoponendolo a confronti impari. La prima volta che pensai di scrivere a riguardo di questo argomento, fu per lo scandalo Rula Jebreal. Oggi è perché, dopo giorni che paiono minuti, parliamo di quanto è accaduto ad Aurora Leone. Nel mezzo c’è stata ache una donna “incattivita” e chissà quant’altre sfuggite perché le mie lancette son ora troppo spesso distratte dentro un ufficio. Ciascuno dei salotti messi in piedi a tempo di record dai suddetti eventi ha fatto tornare a galla un nuovo mantra: stiamo tornando nel Medioevo.

Cher compie 75 anni e in coro intoniamo la sua If I could turn back time, immaginando le masse soffiare la sabbia verso il cono superiore della clessidra, in un tentativo di indietreggiare, dando per scontato ci sia stato un definitivo passo avanti. Compiere il ballo del gambero è faccenda tutt’altro che nuova – quante volte girano le foto delle donne nell’Iran pre-rivoluzione di fine anni Settanta? – ma all’Occidente così prepotentemente evoluto nell’immaginario dell’uomo comune, non sembra possibile credere di non avere mai superato determinate istanze, di non essere così progrediti.

In questi giorni mi sto dedicando al lento recupero delle stagioni di the Handmaid’s Tale successive alla prima, per poter seguire in contemporanea le puntate finali della quarta distribuita su TIM Vision. Quanto vedo non è uno sguardo al rassicurante terrore di un passato dominato dall’integralismo religioso, ma l’esasperazione di eventi quotidiani, pericolosi perché mettendo insieme i puntini, scopriamo il nostro presente. Ed è così facile da vedere il decadente disegno che unisce quei punti neri che potremmo trovarlo all’interno delle pagine di una Enigmistica per bambini.

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In the Handmaid’s Tale abbiamo la reazione/giustifica di un popolo alla tragedia di un potente calo demografico, attribuita, come spesso capita per molte catastrofi globali, all’allontanamento del popolo dagli dei delle grandi religioni monoteiste. Scuse per poter afferrare il potere, vero obiettivo dell’imposta prevaricazione dell’uomo sulla donna – leggevo come nelle violenze sessuali, una componente importante è l’esercitare un controllo sul corpo della donna – e in termini di immaginario più che raccontare il terrore di un passato riemerso, abbiamo solo la sottolineatura dei fatti attuali.

Quando si riscontra una mancanza di rappresentazione di genere nei dibattiti televisivi, si demonizza la presenza femminile nello sport, si giudicano le persone inacidite dalle esperienze di vita – che spesso e volentieri è collegata alla famigerata isteria con la sua lunga storia alle spalle – si dovrebbe comprendere come l’esperienza di the Handmaid’s Tale sia un’opera di fantasia non fondata su potenziali ritorni al Medioevo. La sensazione è che ridurre i dibattiti al semplice “è il 1021 e non il 2021” sia un eccessivo attestato di stima nei confronti del nostro tempo, come se nonostante tutto dovessimo sentirci superiori.

Reductio ad hitlerum

Perché se vedo foto di bambini cadaveri appoggiati alle saracinesche di un negozio chiuso a Gaza, oppure i loro corpi spiaggiati sulle prime pagine dei giornali senza che questo sia causa di rumorosi dibattiti politici a livello europeo, allora il 2021 non ha diritto di ridere del 1021. Questa reductio ad medioevum rischia di stringersi all’ormai comune reductio ad hitlerum, per cui tutto ciò che è male lo si può annodare agli orrori nazisti, rimpiccolendo la storia della crudeltà umana a un sì atroce momento storico, ma di certo non il primo né l’ultimo. Abbiamo disegnato dei baffi sul male per riderci su e dimenticare.

Il cinema e la televisione in questo da un lato provano ad aiutare a imboccare un percorso di riconoscimento della nostra contemporanea colpevolezza, dall’altra in the Boys passa in secondo piano il nazionalismo sanguinario di Homelander per tirare un triplo calcio alla violenza nazista. Come andrà avanti la storia ce lo dirà la terza stagione, tuttavia è quanto è accaduto: reductio ad hitlerum. La questione femminile è un brutto prurito, non la si vorrebbe riconoscere e pertanto si deve forzare il dibattito verso un’unica direzione: la società l’ha già risolta, è un problema che non si pone perché siamo avanti.

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Spoiler? Sì, ma la seconda stagione ormai è uscita da un pezzo

Perciò a mio giudizio viene messo in campo il Medioevo, eppure io leggo le molte ricorrenze proposte dalle tante attiviste sui social e gli avanzamenti conquistati duramente nella maggioranza dei casi non hanno compiuto nemmeno cent’anni. Diamine, esistono ancora oggi persone che possono ricordarsi quando non era concesso loro di votare. La reazione della narrazione audiovisiva è quella di approcciarsi a una maggiore inclusività e a un potenziale ribaltamento dei ruoli, che possa mostrare la stupidità dell’appropriazione di genere su tutti i ruoli giocati dall’uomo nella società occidentale.

Il gender swap non è altro che questo e chi lo realizza è chi lo scrive non solo chi lo finanzia per poterne trarre un profitto. Da qui l’assurda teoria secondo cui Hollywood cambierebbe sesso ai personaggi solo per far soldi, come se fosse una scommessa vinta a tavolino. Non lo è mai stata e ancora oggi, nonostante il peso economico di film come Wonder Woman, non è un cavallo sicuro. Così come non lo è l’assegnare la direzione di molti progetti a donne – attrici, registe, sceneggiatrici, direttrici della fotografia, montatrici, ecc. – sempre considerati appannaggio di chi ha storicamente avuto l’argilla tra le mani.

La ripresa

Ai miei occhi questo appare lontano dal Medioevo, il punjball delle epoche storiche. Quando vi è una stortura nel quotidiano, puntiamo subito il dito contro di lui, pur sapendo che quel giorno del 1492 è una convenzione e non un certo il momento in cui i monarchi del mondo che fu si riunirono per dire “no, basta Medioevo, da oggi cambiamo aria”. Apri la finestra ed esce il Medioevo, oppure, com’è il caso dei commentatori odierni, accade il contrario: rientra. Il mio personale consiglio è di non affezionarsi allo sprezzante paragone col Medioevo, anche se in qualche caso è certamente calzante.

Affrontiamo la narrazione audiovisiva e le sue evoluzioni pro-inclusività guardandole con gli occhi del mangaka Atsushi Kaneko, che nel 2020 è uscito in Italia per la JPOP col suo remake di Dororo, classico del Dio del manga Osamu Tezuka, dove al posto del ragazzino che deve recuperare il proprio corpo dai demoni, vi è una ragazza i cui organi e arti sono stati offerti in premio a degli androidi. Smembrata e con ben poco di umano, Hyaku vola nella metropoli a caccia dei suoi pezzi per riprendersi la sua umanità, ciò che le appartiene: il proprio corpo, considerato un oggetto da scambiarsi.

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Un’immagine dal primo dei tre volumi

Hyaku strilla decisa SONO I MIE! quando si riprende gli occhi che le furono rubati quand’era in fasce. La presa di uno spazio nell’audiovisivo è in effetti la medesima cosa: Hyaku che un passo alla volta e con grande dolore, riconquista ciò che le sarebbe dovuto sempre appartenere, il corpo e lo spazio che questo occupa nella società. Ecco perché ritengo sia un discorso importante da affrontare anche e soprattutto in quanto strumento di analisi delle produzioni audiovisive contemporanee, non solo oggetto di dibattito sui social. Non è solo sport, non è solo un’ospitata televisiva, sono la forma del sistema.

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