Self-help e visioni in streaming
Ha ragione Kim ki-taek, il piano migliore è nessun piano. È l’unico su cui puoi fare affidamento. Sapete CineFatti vive e respira l’assenza di Francesca e andare avanti non è facile come sembra, certe cose cambiano e altre riconquistarle è veramente difficile. Io dopo aver vissuto in compagnia del cinema dall’adolescenza mi sono ritrovato a faticare per trovare il desiderio di rientrare in una sala cinematografica, a guardare film con entusiasmo.
In queste circostanze pur avendo la passione ancora accesa diviene necessario costruirsi dei meccanismi mentali per spingersi avanti. Se sia o meno la giusta direzione è tutt’altro discorso, cionondimeno agire è una buona opzione e fra le varie possibilità ho preso di petto la questione streaming. Con il lievitare di costi e servizi, ho pensato di unire due piccioni con una fava: ridurre a 30 giorni gli abbonamenti per costringermi nei tempi.
È un metodo utile a valorizzare il pagamento mensile e insieme dandomi un limite mi ha portato a guardare un ottimo numero di film, pre-selezionati sulla base di mie inclinazioni e consigli raccolti dall’esterno. Questo perché è possibile fare comunità anche senza l’esistenza di un luogo fisico, saranno amici e blogger di fiducia i nostri esperti del blockbuster-negozio indipendente di una volta. Perdonatemi se non sono un nostalgico!
Qual era il piano, allora? Ventuno film e undici serie televisive su Netflix dal primo al 29 febbraio. Ho visto anche altro al di fuori – su tutti the Outsider come saprete dal diario – e a causa di questo un paio di film sono rimasti fuori e idem la seconda stagione di Dark che ancora dovevo recuperare. L’obiettivo era di parlare un po’ alla volta su CineFatti del meglio che sono riuscito a vedere e limitarmi a quello, però poi è arrivata la quarantena.
E quindi via la testa del toro. Anziché spargere nelle prossime settimane queste visioni ho deciso di condividerle con voi se doveste essere ancora indecisi sul cosa vedere in queste settimane di #iorestoacasa. L’importante è tenerci pronti e scattanti quando riapriranno i cinema per dare loro tutto il nostro supporto. Eccovi qui nove dei film che ho visto e una singola serie che di sicuro non è sui radar di molti streamer. Buona visione!
☑️ Diamanti grezzi 💍
Coi fratelli Safdie ci vogliamo bene, the Pleasure of Being Robbed ed Heaven Knows What furono un colpo di fulmine. Sarò sempre grato a colui che mi consiglò di dare una sincera spolverata al vero cinema indipendente statunitense. Erano good time quelli – ah! – e adesso siamo usciti dalla grotta. Letteralmente nel caso della colonscopia subita dal gioielliere fanfarone da cui sbuchiamo fuori a inizio film con in mano un opale grezzo.
Sì, il diamante non c’appizza nulla, ma posso capire l’appeal sarebbe calato parecchio. Così come accade a chiunque scopra che Uncut Gems inizi con un volo di montaggio dalle miniere etiopi alle viscere di Adam Sandler. Un riassunto della sua filmografia recente – ehi, a me 50 volte il primo bacio piace, uccidetemi – e una intro calma rispetto alla frenesia pazzesca dei dialoghi e delle corse per scommettere soldi e vita sulla NBA.
Credo sia un film parecchio sopravvalutato – l’entusiasmo lo trovate qui su Melange – ma ciò non toglie che sia un prodotto fuori dalla norma per il cinema USA. Un martello pneumatico acceso fino all’inevitabile esaurimento della batteria, un tour de force che avrebbe guadagnato non poco se i Safdie avessero mantenuto il loro stile passato, ma con una sceneggiatura così si può perdonare e Sandler quando si impegna è un mostro.
☑️ What Did Jack Do? 🙉
Se avete l’abbonamento a Netflix e ancora dovete vedere il corto di David Lynch non va bene. L’interrogatorio alla scimmia Jack dura solo 17 minuti e state tranquilli: sarete talmente ipnotizzati e confusi che lo rivedrete almeno un’altra volta anche solo per chiedervi se è legittimo cercare o meno un senso. Dovesse esserci fatemelo sapere, io ancora non l’ho trovato, so però che alla seconda visione mi incantai come alla prima.
Messa al torchio dal detective Lynch per l’omicidio di Max Clegg, la scimmia aiutata da VFX evidenti è diretta in modo spettacolare. Non ho idea di come Lynch abbia fatto, ma è una lezione di arte cinematografica: ogni sguardo, movimento della testa dell’animale sembra ribollire delle emozioni espresse a voce e nell’insistenza della macchina da presa. In quegli occhi dove non c’è comprensione totale si percepisce rabbia, curiosità, tristezza.
Casomai What Did Jack Do? fosse davvero un assurdo esercizio di stile il frutto non sarebbe caduto lontano dal pero, Lynch è l’ultima persona sulla faccia della Terra a voler consegnare un messaggio al pubblico. Mi sembra una valida ragione per dargli maggiore considerazione e non relegarlo a una singola visione. Lo avete già visto? Rivedetelo. Programmate una seconda o terza visione, con Lynch non dobbiamo essere semplici spettatori.
☑️ Horse Girl 🦄
Io non sono nessuno per dare giudizi in merito alla rappresentazione della malattia mentale, però se dovessi scegliere chi trovo davvero convincente tra Joker e Horse Girl punterei senz’altro sul secondo. Jeff Baena insieme all’attrice Alison Brie descrive la spirale di follia in cui casca l’amante dei cavalli protagonista, una donna giovane e sola, con un lavoro monotono e senza passioni se non per uno show televisivo stile Supernatural.
Presto la solitudine la stritola e il narratore inizia a perdere l’equilibrio: seguiamo il filo dei suoi pensieri e dunque dovremmo credere alle sue visioni di rapimenti alieni e assurde coincidenze, oppure sarebbe nostro dovere riconoscere il segnale di una forma di malattia mentale, ereditata dalla madre e dalla nonna. Né Baena né Brie sullo schermo sanno chiarire cosa sta esattamente succedendo. Magari ci tocca scegliere.
Horse Girl abbraccia il cinema weird e con rispetto si preoccupa degli eventi, senza mai esprimersi davvero a favore dell’una o dell’altra parte. È una costante riflessione sull’importanza data ai personaggi e al loro punto di vista, non sempre il veritiero come Akira Kurosawa e migliaia di altri hanno diretto prima di Baena. Colpisce l’applicazione alle malattie mentali e il profondo senso di smarrimento che oscura la vita di chi ne è colpito.
☑️ Occhio per occhio 👀
Così come anche i ricchi piangono, pure i narcotrafficanti hanno bisogno di assistenza sanitaria in terza età. Capita ad Antonio Padìn in un momento di svolta per la sua famiglia. I figli governano al posto suo da anni mentre lui era in carcere e ora stanno per fare un importante cambio di programma senza il cuscinetto di sicurezza dell’eredità di papà, messosi al sicuro dentro una casa di cura e nelle mani fatate del capo-infermiere Mario (Luis Tosar).
Cosa potrà mai andare storto? Già, chissà. Paco Plaza mi ha sorpreso col cambio di rotta verso il finale, di cui non avevo forse bisogno tenendo stretto il disagio di Mario nel dover assistere un criminale di tale calibro. Eppure il colpo di scena arriva e non si allontana dal regno del plausibile, andando anzi a rispondere a una domanda che tanti di noi potrebbero porsi. Cosa faremmo se avessimo una vita così corrotta sotto la nostra cura?
Un attore come Tosar dovrebbe bastarvi come scusa per guardare Occhio per occhio. Sul serio, non dovrei aggiungere altro. È uno dei migliori nel pantheon spagnolo, Quien a hierro mata si aggiunge al suo magnifico portfolio grazie alla sensibilità della sua interpretazione, mai scontata, mai eccessiva, mai fuori dalle righe. Paco Plaza ormai è un maestro di casa España come l’ex-compare Balagueró e il qui presente thriller ne è la prova.
☑️ Ouija: l’origine del male 👿
Un paio d’anni fa alla domanda “qual è la tua serie preferita?” avrei risposto Mad Men senza battere ciglio. Arrivò il 2018 e the Haunting of Hill House sconvolse la mia classifica mentale. Ha pizzicato le corde giuste e tanto mi basta a non fare distinzioni tra oggettivo e soggettivo: in questo momento della mia vita Mike Flanagan è un autore fondamentale e recuperare i suoi lavori passati è un dovere. Enter Ouija: l’origine del male.
Nasce come sequel di Ouija e se lo magna in un sol boccone, fidatevi. Potrete vederlo ignorando il padre nel franchise e tornare indietro di qualche decennio con Alice Zander (Elizabeth Reaser) in una casa infestata scoperchiata dalla maledettissima tavoletta ouija che mi chiedo come possa ancora essere sul mercato. A voler comprimere Ouija non avremmo chissà quante differenze da un horror-snack come se ne vedono in quantità industriale.
La differenza è Flanagan, è sempre Flanagan. È uno sciamano, un medicine man a cui affidarci quando un dolore abbacinante ci impedisce di vedere il mondo attorno a noi. La famiglia Zander soffre e Flanagan adottando una terapia d’urto rammenda gli strappi, ricuce le ferite e utilizza la paura come catarsi. Ma il mondo non fa sconti, nessuno colpisce duro come fa la vita disse Rocky e raddrizzare i torti non è sempre possibile.
☑️ Sotto il burqa 🧕🏾
Cercando il sinonimo di animazione sul dizionario troviamo sempre le orecchie del topo, Cartoon Saloon di sicuro non è considerato uno studio competitivo pur essendo arrivato agli Oscar con tre film su tre. Il segeto dei Kells era un capolavoro visivo tanto quanto lo è stato La canzone del mare e Sotto il burqa, traduzione di The Breadwinner, non cala di qualità, perde solo la magia dei predecessori dovendo radicarsi in una dura realtà.
Nora Twomey dopo essere stata co-regista con Tomm Moore, esordisce col romanzo di Deborah Ellis e disegna la vita dell’undicenne Parvana nell’Afghanistan controllato dai Talebani. È il tragico ritratto di un paese controllato da leggi ingiuste e governanti fanatici pesanti sulle spalle delle donne. Donna, una parola e insieme il futuro di Parvana già crollato sul presente di un padre mutilato e arrestato lasciando una famiglia senza uomini.
Le linee geometriche abbracciate ai colori decisi distinguono lo studio irlandese da chiunque altro al mondo. Sono una carezza per gli occhi e con la loro bellezza accompagnano dolcemente una storia triste adatta all’intera famiglia senza essere mai una distrazione. Il segreto dei Kells a volte era talmente bello da guardare da scaricare in secondo piano il racconto, in Sotto il burqa persiste e resiste invece un messaggio da comunicare.
☑️ A sun ☀️
Un’amica disse una cosa giustissima: su Netflix ci vai per le serie. Torto non ha, il catalogo cinematografico lascia a desiderare, richiede un impegno non indifferente trovare dei titoli meritevoli come i nove che vi propongo, ma l’eccellenza è A Sun, il vincitore del Golden Horse 2019 diretto da Chung Mong-hong. Se cercate un film che possa concorrere con the Irishman e Storia di un matrimonio per qualità allora lo avete trovato.
I suoi primi due film ancora non li ho visti e dovrei fare ammenda per aver mancato the Fourth Portrait, ma da Soul – un horror veramente inquietante – e Godspeed in poi Chung Mong-hong è cresciuto: A Sun è tanto lungo quanto maturo e, forse non sarebbe l’aggettivo usato dai più, dolce. Il focus è una famiglia povera e i suoi due figli: uno destinato a diventare un medico, l’altro uno scarto della società, finito subito in carcere per aggressione.
Cosa accade a entrambi non posso scriverlo, ma ancora mi commuovo pensando al finale sotto il sole titolare. Vissuti all’ombra di un motto e una speranza, perdono di vista la bontà dell’esistenza – non il suo senso – e a caro prezzo scoprono gli errori commessi. Tuttavia Chung Mong-hong con una magnifica corsa sul ponte mostra la via per la redenzione e una vita lontana dalle sbarre, fisiche e metaforiche. Questo è davvero imperdibile.
☑️ Andhadhun 😎
Al suo posto avevo selezionato Jallikattu, uno pseudo-horror in Malayalam su un bufalo selvatico. Purtroppo la sua uscita su Netflix era limitata agli USA e per restare in India ho puntato sull’hindi Andhadhun ricordando il suo successo critico all’uscita nel 2018 e l’affetto per Badlapur, il precedente film di Sriram Raghavan, conosciuto seguendo uno dei giganti della recitazione globale, il piccoletto Nawazuddin Siddiqui.
Come numerosi film hindi anche Andhadhun si divide equamente tra commedia e drammatico: Akash (Ayushmann Khurrana) è un pianista cieco solo all’apparenza, si finge disabile per concentrarsi sull’arte e nel frattempo inganna il prossimo senza curarsi delle possibili conseguenze. Come l’essere testimone oculare di un efferato omicidio. Imbrigliato nella sua stessa menzogna, Akash dovrà decidere se salvare sé stesso o la sua coscienza.
No, il risvolto di Andhadhun non è prevedibile come può sembrare. Anzi, Sriram Raghavan non ha alcuna paura di sbattere ripetutamente sul fondo la faccia dei suoi protagonisti, in situazioni macabre trattate col giusto realismo in toni da commedia. È un sano thriller colmo di sorprese e black humour quanto basta per farsi adorare. La cattiva Tabu non cessa mai di stupire con la sua scorta di risorse per sopravvivere al pericolo.
☑️ A spasso con Bob 🐱
Esistono tre ottime ragioni per cliccare play su A spasso con Bob: abbiamo un gatto co-protagonista, Luke Treadaway ci fa pensare al gemello Harry e quindi a Penny Dreadful e Netflix lo segna nella categoria ottimista. Capirete che nella mia situazione non fa male guardare un film con una visione meno fatalista del solito. Cazzarola, in questa lista è il solo insieme alla serie qui sotto a non essere fondamentalmente una tragedia.
La storia vera a cui si ispira non è comunque delle più felici: James Bowen è un senzatetto in pessimo rapporto con gli stupefacenti, a cui cambia la vita un bellissimo gatto randagio – e l’ottimo lavoro dei servizi sociali, credo non vada messo in dubbio. I gemelli Treadaway sono ottimi attori e Roger Spottiswoode ha una lunga esperienza in buddy con animali, basti ricordare il cult Turner e il casinaro (1989) e l’ultimo Il mio amico Nanuk (2014).
Perché vederlo: si affida all’abusata struttura del salita-caduta-salita raccontando questo spicchio di vita con alti e bassi prevedibili, tuttavia ha di bello la volontà di non perdere mai la fiducia in James. A spasso con Bob ha un protagonista e si dimostra fedele nei suoi confronti, dando a noi spettatori l’opportunità di una storia-piumone. Ci avvolge, ci coccola, non dimentica però da dove ha origine la sua riabilitazione.
☑️ Midnight Diner: Tokyo Stories 🍜
Ho visto ben 10 stagioni per 10 serie diverse a febbraio. Sono ritornato con entusiasmo sulla USS Discovery, ho amato follemente la terza di the Good Place e che-ve-lo-dico-a-fare la quarta di Rick and Morty, applaudito la numero due di Sex Education e della fantapolitica norvegese Okkupert (un must!) e ho finalmente iniziato Peaky Blinders. Il bello dei gangster di Cillian Murphy è poterli seguire anche su Prime Video poco alla volta.
Le novità mi hanno invece lasciato annoiato, confuso, disinteressato. Mi riferisco a the Witcher in particolare e Locke & Key subito dopo. Discorso a parte per Ares, prima original dal Belgio, da cui mi attendo grandi cose dopo le ottime ma troppo lente premesse schierate in questa prima stagione. Con otto episodi da 30 minuti ciascuno è un sacrificio fattibile. Chi mi ha davvero colpito è la nipponica Midnight Diner: Tokyo Stories.
Novità per me, Midnight Diner esiste dal lontano 2009 e su Netflix sono pubblicate solo le ultime due stagioni, peraltro prodotte proprio da loro nel 2016 e nel 2019. Il che non rappresenta un problema: adattato dal manga di Yaro Abe, l’unica costante sono il Master protagonista interpretato da Kaouru Kobayashi e la sua tavola calda, aperta da mezzanotte alle sette del mattino. Le storie entrano insieme ai suoi clienti, abituali e non.
Volete la definizione di relax? Eccola, ogni puntata ha un lieto fine e una storiella calda come i piatti cucinati dal maestro, con tanto di ricetta spiegata velocemente in fondo alla puntata di 20 minuti. Si spazia da amori segreti con pornostar al ritrovamento di fratelli perduti e giovani idol stile Power Rangers diventate tassiste. Un solo effetto collaterale: avrete fame e voglia di un abbraccio alla fine, sempre. Esistono desideri più belli?
Vi lascio con la sigla, così vi iniziate a rilassare.