Il principio dell’epopea di Stephen King è la sua fine
[SPOILER ALERT: come con the Outsider questo inverno, ci sarà un diario per ogni singolo episodio di the Stand e questo significa spoiler. Chi lo seguirà episodio per episodio potrà farlo con me – e con Melange, dove Lucia de Il giorno degli zombi farà lo stesso – ma se desiderate attendere la conclusione per vederla, allora aspettate anche per leggere il diario. Partite da questo solo come incipit e lettura del pilota per capire che direzione potrebbe prendere.]
Chi nei mesi ha seguito il CineKing avrà notato com’è montato un mio pregiudizio negativo nei confronti della nuova miniserie the Stand ideata da Josh Boone (Colpa delle stelle, New Mutants) e Benjamin Clavell, basata sull’omonimo romanzo da noi tradotto come L’ombra dello scorpione. Posso chiamarlo the Stand e basta, vero? Ok, grazie. Bene, quel pregiudizio il primo episodio THE END lo ha annientato in un colpo solo con un paio di scelte davvero sorprendenti, destinate ad avviare un romanzo dal succo conservatore verso un percorso di rinnovamento.
La fedeltà al romanzo resta negli eventi della trama, sacrifica invece la linearità cronologica soffiando sulle vele dei personaggi: loro erano le grandi vittime nel romanzo di Stephen King, tanta era la netta separazione fra bene e male, lasciando a pochi antagonisti la possibilità di seguire un arco narrativo interessante. Fra loro abbiamo proprio Harold Lauder qui interpretato da Owen Teague e assoluto protagonista della prima di queste nove puntate, in una mossa del tutto inattesa. È il segno importante lasciato dalla nuova epoca della serialità televisiva: gli antieroi prima degli eroi, ormai una pratica in uso da oltre vent’anni nelle tv series statunitensi.
Gli indiscussi protagonisti del romanzo sono infatti tre: Stu Redman qui con gli occhi azzurri di James Marsden, Frannie Goldsmith che ora è nel corpo dell’ottima Odessa Young (guardate la perfezione che è in Shirley) e Larry Underwood adesso nelle mani di Jovan Adepo (lui lo abbiamo visto nel miglior episodio di Watchmen). È il loro punto di vista a contare nella lotta fra Dio e il diavolo – archetipi occidentali del bene e del male – e lo stesso Harold è introdotto sulle pagine principalmente attraverso gli occhi della giovane e gravida Frances Goldsmith.
Secondo nome di Frannie? Harold non lo sa.
È sempre sfizioso vedere dialoghi presi pari pari dal romanzo.
Contro il già visto
Stavolta la pandemia di Captain Trips con una mortalità del 99,4% inizia seguendo lo sguardo di Harold. Tocco di eleganza: è letteralmente così. Inizio: siamo in una chiesa piena di cadaveri marcescenti e con le gole talmente piene di muco da sembrare un mucchio di putridi ibridi rospo-uomo usciti da un racconto lovecraftiano, una congrega adoratrice di Dagon. Sono invece credenti, morti in preghiera di un Dio che non li ha ascoltati e in attesa di essere trasportati dai sopravvissuti a Captain Trips dentro immense fosse comuni fuori Boulder, Colorado.
È la città dove i buoni hanno deciso di ricostruire la società e per farlo bisogna ripulirla dalla putrefazione della precedente. È industriale a partire dalle enormi ruspe e container, qualcosa che la visione agricola di King e Mick Garris nella versione del 1994 per la ABC non si era mai sognata di mostrare. Passare da un mondo all’altro nell’era post-rivoluzione industriale è improbabile che prescinda dalla potenza delle macchine e dunque il sogno bucolico della prima miniserie può effettivamente essere archiviato come un disgraziato episodio luddista.

Nel 1994 fu Stephen King ad avere la parte di Teddy.
Josh Boone che ha diretto il pilota vuole dunque tranquillizarci: in questo 2020 non vedremo il dipanarsi di una pandemia, sappiamo come funzionano e il cinema lo ha già raccontato. Captain Trips è arrivato, ha distrutto il mondo e ora possiamo guardare a cos’è davvero importante: quanto è possibile rinascere? Il giovane Harold è un giovane Peeping Tom, un guardone accovacciato dietro la staccionata di casa Goldsmith con l’occhio spalancato e fissato sul corpo di Frannie, mentre quest’ultima aiuta il padre in giardino, prima di essere scaraventato a terra.
Nature vs nurture
Harold è vittima. Bullismo. Abbandono. Disgusto. I suoi coetanei li vediamo inseguirlo per pestarlo, sua sorella Amy mal sopportarlo persino nella sua giustificata rabbia, Frannie mostrare un sincero disprezzo per quel ragazzino che un tempo era l’oggetto grazie a cui guadagnare qualche soldo facendo babysitting. Era amica dell’odiosa Amy Lauder, ma agli occhi di Harold stesso è tutt’altro che la brava ragazza descritta da King: sembra essere pavida, una cucciola rabbiosa, colma di ingratitudine verso quel ragazzo che desidera solo rendersi utile. Ed essere.. adorato.
Come Tom Cruise in Risky Business.

È una visione diversissima dal romanzo, dove Frannie-King introducono Harold descrivendone ogni difetto fisico con toni grotteschi. Le sue debolezze sono estratte come fango da un pozzo: Harold ha i rotolini di grasso accentuati dai pantaloncini corti di una taglia troppo stretta, ha delle mani sudaticce e piagnucola mentre si ingozza di tramezzini e kool-aid in un sol boccone. King e Frannie ne restituiscono un ritratto impietoso e in questa riscrittura del romanzo il fango non c’è più: è magro, slanciato, Harold non è né brutto né viscido a guardarsi.
Crescendo col mito della Frannie che da piccolo gli dette fiducia sul suo futuro di scrittore, mentre il mondo lo vessava, ha sviluppato una morbosa affezione per quella bella ragazza della porta accanto. Desidera mostrare di essere stato all’altezza di una fiducia riposta in realtà solo per cortesia. I puristi di King sui gruppi facebook già gridano allo scandalo: Frannie non è cattiva! Del resto chi ha detto lo sia? Gli audiovisivi possono trasmettere in modo diverso una narrazione soggettiva, lo show potrà ribaltare le sensazioni di Harold in futuro.
Un nuovo eroe
Insieme ad Harold non poteva però mancare il caro vecchio Stu e come da tradizione, se Stephen King ha deciso che sei un po’ rossiccio, nella trasposizione non lo sarai – Morgan Freeman docet. Frannie in questo frangente è un personaggio secondario legato ad Harold, Stu invece “protagoneggia” per dare un ordine alla pandemia attraverso i suoi misteriosi soggetti immuni. Qualche flashback lo presenta nel momento in cui soccorre Charles Campion, il paziente zero fuggito dalla base militare dove Captain Trips è stato creato in laboratorio, ma in linea di massima è la sua vita dietro un vetro nei centri di ricerca a esserci presentata con qualche novità assai gradita.

Il romanzo lo vedeva perennemente in contrasto coi medici, qui invece il dr. Ellis interpretato dall’ultranoto volto televisivo di Hamish Linklater, comincia dal conflitto per rivelarsi essere invece un uomo capace di empatizzare con l’involontaria cavia di nome Stu Redman. Anche in questo caso l’opposizione fra progresso e umanità è spazzata via: non è la pericolosa scienza, il volersi sostituire a Dio ad essere antagonizzato. I dialoghi fra Ellis e Redman sono anzi benvenuti, danno al nostro Marsden un’opportunità di essere dipinto più come una buona barca in balia delle onde piuttosto che come il macho da Mulino Bianco di Gary Sinise e di Stephen King stesso.
È evidente che si tratta di un brav’uomo, ma se sfugge a un atroce destino non è interamente merito suo. Quando lo incontrammo sulla ABC nel 1994 fu grazie a una dura lotta che scampò alla morte, in questa occasione senza l’aiuto dell’amico Ellis lo avremmo visto riverso sul pavimento della sua “cella” sotterranea. In più, c’è anche l’aiuto di un altro personaggio con interprete di alto bordo, J.K. Simmons, a cui spetta forse l’unica scena… direi brutta, ma è in qualche modo necessaria: a lui tocca un sonoro spiegone, ma Simmons è grande e così ne esce fuori di lusso. Stu proiettato all’esterno finirà presto nel mondo di Harold Lauder, pronto anche lui a essere odiato.

Dov’è Dio?
Whoopi Goldberg la vediamo invece per pochissimo in un sogno di Frannie, nel suo campo di granoturco. È un’apparizione talmente breve che a malapena si nota né comprende – immagino chi non conosce il romanzo avrà difficoltà a capirne il senso – mentre del diavolo Randall Flagg, con la bonaggine di Alexander Skarsgård, è presente solo col classico zampino del diavolo e nella sua forma animale di lupo.
Devo dire che la sua (quasi) rivelazione in cima a un fantastico monologo di Harold Lauder sull’odio e l’orgoglio è stata eccellente. Talmente tanto dal farmi chiedere che bisogno c’era di allungare l’epiologo mostrando la fuga di Campion dalla base, una scena che da mesi era stata annunciata come tolta, cancellata.
Invece si trattava solo di uno spostamento dall’inizio alla fine del pilota. In realtà solo per mostrare chi è il reale colpevole della fuga di Captain Trips, un’assoluzione immediata a un sub-personaggio diventato noto nel canone kinghiano per l’irresponsabilità che uccise miliardi e miliardi di persone. Cos’altro dire?
Sì, è un recap fiume e vorrei scrivere altre mille ipotesi e sensazioni, meglio riservarle per il futuro. Anche perché non vorrei la mia rinnovata fiducia mi accechi, ci sono altri otto episodi e può ancora cambiare tutto. In peggio o in meglio. Chiudo col brano che segna the End. Niente Blue Oyster Cult come nei celeberrimi titoli di testa della miniserie di Mick Garris con (Dont’ Fear) The Reaper, stavolta abbiamo i Black Sabbath.
Sfoglia le pagine del diario:
Episodio 1, The End (Josh Boone)
Episodio 2, Pocket Savior (Tucker Gates)
Episodio 3, Blank Page (D. Krudy e B.S. Cole)
Episodio 4, The House of the Dead (D. Krudy e B.S. Cole)
Episodio 5, Fear and Loathing in Las Vegas (Chris Fisher)
Episodio 6, The Vigil (Chris Fisher)
Episodio 7, The Walk (Vincenzo Natali)
Episodio 8, The Stand (Vincenzo Natali)
Concordo su tutto: bellissimo primo episodio, mi aspetto che il prossimo presenti i personaggi ancora mancanti, come Larry e Nick, in una sorta di pilota diviso in due parti. Lo spostamento di focus su Harold è stato una sorpresa, ma una di quelle fatte bene che riescono a intrigarti invece che darti fastidio. Non mi sembra che Franny sia cattiva, semplicemente lui le dà fastidio e non si trova a suo agio con lui; mi sembra un atteggiamento comprensibile, così come la sua scelta di seguirlo con l’atteggiamento fatalista di chi non ha altra scelta.
La scena con JK Simmons in effetti serve unicamente come spiegane, ma la citazione da Yeats è stata davvero un bel tocco, secondo me, con l’anticipazione della venuta di un Anticristo che può identificarsi sia con la pandemia che in quel momento stava devastando il mondo ma anche con Flagg, ovviamente, che si preparava a stabilire a Las Vegas la sua Betlemme.
Mi è piaciuta anche la storia del chiodo, una cosa che King stesso racconta di aver fatto in On Writing e che è stato un bell’Ester ego da vedere qui.
Insomma, promosso in pieno per il momento. Ora sono ancora più curioso di vedere come si svilupperà.
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Frannie cattiva perché vista solo attraverso lo sguardo di Harold e in questo pilota dove si empatizza per lui, in un certo senso, è facile considerarla non proprio la più buona delle donne. Mi aspetto anche io una sorta di doppio pilota e sono pronto a scommettere sarà anche questo un punto di vista originale, per cui non mi stupirei se fosse stavolta l’occhio di Nick con Tom come secondario – stile Harold e Frannie in questo pilota – e Nadine in sottofondo, per equilibrare fra “buoni” e “cattivi” e anche perché Nadine consentirebbe un maggior coinvolgimento di Randall Flagg. Poi che so, finale di episodio con Randall Flagg che libera Lloyd dalla prigione? Mi ha gasato talmente tanto che ora mi scrivo le sceneggiature in testa!!
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Visti tutti i nove episodi. Né il romanzo (uno dei più belli di King) né la magari un po’ ingenua trasposizione del ’94 meritavano questa pagliacciata. Gli attori sono fuori parte, bravi ma costretti in personaggi che non sono che macchiette buoniste. Impossibile identificarsi con alcun protagonista. Non hanno nessuna personalità confronto al libro o al ’94.
Bravo l’interprete di Herold e caratterizzato bene il suo personaggio e bravo Greg Kinnear che ha fatto del suo meglio con il suo personaggio a cui per lo meno un po’ di personalità l’hanno lasciata.
Povero Nick. Rimpiango Robe Lowe.
In realtà credo che per scrollarmi di dosso questa inutile trasposizione rileggerò il libro, per la quarta o quinta volta e cercherò di recuperare la vecchia trasposizione. Con un finale meno pietoso.
King lo adoro ma dalle sue opere sono uscite poche cose buone: Le ali della libertà, Stand by me e Il meglio verde i migliori. Shining, nonostante non incarni le intenzioni di King è un capolavoro comunque. E IT. Quello vecchio.
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Mi son riletto L’ombra dello scorpione in questo ultimo anno per tenermi pronto alla serie e come ho scritto più volte nel corso del diario dedicato alla miniserie, mi sono dovuto ricredere. Era il mio King preferito, adesso lo leggo come un romanzo parecchio conservatore e me ne dispiaccio, perché King è tutto fuorché un tradizionalista. Questa miniserie mi è piaciuta molto nel trattamento di Harold Lauder – Owen Teague è stato un fenomeno – e anche in come ha (brevemente) reso dignitosi i personaggi di Rita Blakemoore e Tom Cullen. Il resto è davvero una caduta verso gli abissi, dopo il quarto episodio è sempre peggio. Mi ha fatto rimettere in buona luce quella del ’94 pur essendo una versione agro-cristiana abbastanza noiosa, escluso la prima puntata. Sul caro Greg Kinnear concordo, davvero bravo, anche Odessa Young. Ma è scritto malissimo.
Riguardo al numero di buoni adattamenti però non sono d’accordo, è vero che rispetto al numero non sono tantissimi, ma oltre a quelli che citi ne aggiungerei tanti altri e, mi sa che non concordiamo, ci metto anche il primo capitolo del nuovo IT. Adoro poi i due adattamenti di Mike Flanagan, Il gioco di Gerald e Doctor Sleep, mi è piaciuta moltissimo la serie Haven e anche la miniserie tratta da 22.11.63, the Night Flier è un gran horror B Movie, The Mist è straordinario, Misery pure davvero niente male, Carrie, Creepshow, mi piace anche il primo Pet Sematary, Dolores Claiborne è STRAORDINARIO (il migliore per m), L’allievo è un ottimo dramma, 1922 è davvero carino e pure Nell’erba alta. Per me sono tanti i buoni adattamenti kinghiani.
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Ah dimenticavo: La zona morta.
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