Di stelle e mostri

Un brindisi alla caduta dell’Olimpo

Ci sono momenti in cui abbraccerei James Whale. È perché talvolta il mio affetto per the Bride of Frankenstein cresce più di altri giorni, sono fermamente convinto sia uno dei grandi film della storia del cinema. La sua innocente linea di separazione fra bene e male sarebbe la chiave ideale per comprendere il mondo, senza ricorrere ad alcuna complessità formale o narrativa. L’eremita cieco spiega alla Creatura che “c’è il bene e c’è il male” mentre Whale lo riprende in primo piano. Quella scena da sola, rappresenta la perfezione. Credo di averlo scritto mille volte e mai smetterò, è uno dei miei strumenti di analisi preferiti e oggi mi serve per scrivere di Johnny Depp.

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Perché mi interessa il suo caso? È di novembre la notizia, John Christopher Depp II ha perso la causa di diffamazione contro il The Sun: il giornalista che lo ha definito un picchia-moglie (eng. wife beater) non ha calunniato la mega-star hollywoodiana, ha solo detto quanto si può evincere dai fatti. Johnny Depp ha più volte usato violenza su Amber Heard. Ho letto le oltre 120 pagine della sentenza, dove si racconta “incidente” per “incidente” cosa la Heard ha subito e cosa lo stesso Depp pensa di se stesso: in terza persona, Depp parla di sé come del Monster. Lo fa con la ex-moglie Heard, con amici più o meno famosi (fra cui Elton John). Depp era consapevole del suo problema.

Johnny Depp è un mostro

La corte ha stabilito la sua colpevolezza – in attesa di un processo in Virginia che non cancellerà la sentenza inglese – e lui da solo negli anni ha osservato come l’abuso di sostanze chimiche e alcol lo abbia trasformato in un mostro incapace di controllarsi. Un mostro che distrugge le camere d’albergo e colpisce sua moglie. Sì, la leggenda vuole sia stato il contrario, ma sfido chiunque abbia letto quelle 120 pagine a continuare a sostenere come Amber Heard sia la violenta fra i due. Chi invece ritiene sia responsabile perché non lo ha lasciato alla prima avvisaglia, forse non ha mai conosciuto rapporti tossici. Chi crede un passato pulito – che poi così non è nel caso di Depp – sia un alibi, forse dovrebbe riflettere sulla cronaca nera, i femminicidi e sul mito dell’uomo che salutava sempre.

Questo non importa, però, perché è Depp a definirsi the monster, non è il tribunale a dirlo. Mi ha dato da pensare, perché il suo è un caso più unico che raro: durante l’esplosione del Me Too era impossibile schierarsi dalla parte dei colpevoli, condannati senza nemmeno l’ausilio di una sentenza di un giudice. Era sufficiente un dito puntato perché il Weinstein di turno potesse cadere. Johnny Depp invece è sporco agli occhi delle aziende a cui è legato da un contratto, ma il pubblico lo considera pulito. Perché lui non è Kevin Spacey, Louis C.K. o Brett Ratner. Johnny Depp è un Dio. Ora inizierete a capire perché citare la Sposa e avrete inteso anche a quale istante ho pensato.

To a new world, of gods and monsters!

Quel rapporto speciale fra scienza e mito nel gotico cui appartiene Frankenstein unì il terreno al divino. Nella sua seppur breve vita, lo star system di Hollywood ha vissuto la storia dell’umanità e il suo rapporto con l’irraggiungibile. Le stelle dell’epoca d’oro, fra luci lontane nel cielo e le migliaia di lettere come offerte al pantheon del fu cinematografo sono giunte ora al giorno in cui il cinema scopre l’umanesimo. Il dibattito dei giorni nostri si concentra infatti sulla netta separazione fra uomo e artista, citando l’arte come un qualcosa di separato dal creatore: Dio non commette ingiustizie, è l’uomo a perpetrare il male assolvendo Dio da ogni peccato.

Il tempo in bianco e nero dei grandi schermi è finito da decenni, tuttavia sappiamo come molte delle stelle nel nostro cielo siano in realtà fantasmi di sistemi già defunti e sopravvissuti nel ricordo della loro luce in viaggio nello spazio. Johnny Depp si è spento da molto, oggi però è sceso fra noi ed è uomo fra tanti. Ai giorni nostri e finché c’è un respiro, non possiamo dimenticare come la nostra sia un’epoca in cui convivono dei e mostri. Johnny Depp è entrambi, ha vissuto ed è tutt’ora considerato un Dio pur essendo anche ai suoi stessi occhi un mostro. È descritto attraverso la parabola di Jekyll e Hyde per via della sua tossicodipendenza da chi ne ha un’intima conoscenza, il pubblico però dovrebbe rispolverare invece il mito creato da Oscar Wilde, ovvero il terribile Dorian Gray.

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L’unico Dorian Gray che riconosco, in Penny Dreadful.

La dualità creata dallo schermo separa il divo dall’uomo e mentre il quadro marcisce in soffitta, noi spettatori osserviamo con meraviglia una bellezza che non sfiorirà mai. È il classico potere necrofilo delle arti che catturano l’immagine dei vivi: dalla fotografia al cinematografo dei Lumière sino ad arrivare ai giorni nostri. Quelle lezioni giunte a noi dal XIX secolo andrebbero ora rispolverate per brindare all’arrivo dell’epoca di Dei e mostri, quando possiamo osservare con un rinnovato sense of wonder l’incredibile connivenza fra divinità e orrore nel nostro moderno Olimpo, che di contemporaneo ha sempre meno: il Me Too ha dato fuoco al tempio. Johnny Depp lo potremmo dunque paragonare a una sorta di persistente fanatismo religioso in un’epoca umanista.

Distruggere le statue

Lo dimostra come ogni interprete sia chiamato all’ordine dal pubblico, basti pensare a the Mandalorian. Niente e nessuno sugli schermi di Disney+ può concedersi di essere se stesso: Gina Carano deve essere cancellata a causa della sua appartenenza politica anti-progressista, persino l’inesistente Baby Yoda è soggetto alla violenza degli spettatori, in cerca non di nuovi miti, ma di umani finiti proprio come loro. Non è importante se il soggetto sullo schermo sia tutt’altro che umano: finché è vivo, dovrà rispettare norme e comportamenti tali da abbassarne lo status da divinità a uomo. Un eccesso, è chiaro, ma gli USA sono sempre stati la terra del grano alto due metri e dei bisonti giganti. Le mezze misure non le conoscono e potrebbe essere dovuto all’ostinazione di non adottare il sistema metrico.

Sono esempi che raccontano l’odierna realtà in cui il concetto di separazione fra uomo e artista si fa sempre più fragile. Determinati artisti ricoprono un ruolo pubblico e devono inoltre lavorare in spazi dove la collaborazione con altri è necessaria e com’è giusto che sia, nessuno ha una gran voglia di andare in ufficio per avere a che fare con uomo che ha picchiato sua moglie, molestato una ragazzina e violentato una collega. Voi lo fareste volentieri? È semplice per chi le stelle le osserva solo da lontano chiudere il fascicolo con un “non sono fatti miei”, “cosa succede nella sua vita privata non mi interessa”, ma le persone non sono le creature immaginate in Flatlandia, non sono bidimensionali e non è quindi sostenibile questa millantata separazione.

Ricordiamo Charlie Chaplin quando nel 1936 portò in sala quel magnifico sfottò al taylorismo e fordismo, quelle teorie di management industriale che deumanizzavano gli operai stringendoli in mansioni sempre più piccole fino ad alienarli completamente: deumanizzare non è una soluzione accettabile. Johnny Depp è uomo innanzitutto, solo in secondo luogo artista e le sue capacità, su cui potremmo scrivere per ore, non possono essere nettamente divise dalle sue colpe né dai suoi pregi. Perché esistono anche stelle capaci di fare del bene, una Scarlett Johansson che usa la sua visibilità per chiedere la liberazione di prigionieri egiziani come Patrick Zaki, ne è un esempio recente. Questo per ricordarci che esiste umanità non solo nell’errore e nella violenza, ma anche in slanci di bontà.

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5 pensieri su “Di stelle e mostri

  1. Un articolo veramente molto interessante e profondo. Sono rimasto affascinato dal collegamento che hai fatto con il capolavoro di Whale per parlare di Depp e non solo di lui ma di come molte personalità del cinema, un tempo irraggiungibili e considerate delle divinità, siano adesso considerati delle persone normali capaci di sbagliare e di commettere errori tremendi. È un articolo davvero molto bello e l’ho apprezzato tantissimo.

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      1. È questo il problema delle persone. Considerano le stelle del cinema come qualcosa di irraggiungibile e lontano proprio come delle divinità. A volte il pubblico stesso conferisce a queste persone uno status al di sopra dell’uomo e a volte il pubblico stesso non riesce a distinguere la persona dall’attore. Questo è un problema che dobbiamo assolutamente superare.

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