Star Trek – La nemesi (Stuart Baird, 2002)

La commovente nemesi di Star Trek

For now we see through a glass, darkly; but then face to face: now I know in part; but then shall I know even as also I am known.
Prima lettera ai Corinzi 13:12, King James Bible

Nella seconda metà degli anni Novanta la Paramount rinnovò il suo interesse per Star Trek. All’apertura Star Trek: First Contact raccolse ben 30 milioni di dollari, dodici in più rispetto al miglior weekend precedente, la premiere di Star Trek VI: The Undiscovered Country.

Un risultato epocale: convinse lo studio a puntare ancor più in alto, ma tanta ambizione fu ripagata con il disastro dal titolo Star Trek: Insurrection.

La nemesi dietro l’angolo

Ora la Paramount aveva gli occhi aperti, Star Trek non era più un franchise marginale con entrate sicure, seppur non esorbitanti. Il pericolo era dietro l’angolo, un altro fallimento avrebbe significato gravi conseguenze per tutti quanti. Star Trek: Nemesis (in italiano Star Trek – La nemesi) era quel fallimento, che arrivò il 13 Dicembre 2002 circondato da Il signore degli anelli: Le due torri, Harry Potter e la camera dei segreti e il nuovo James Bond Die Another Die.

Non aveva speranze.

Il produttore Rick Berman fino a Star Trek: Insurrection si era sempre affidato a personale proveniente da vari reparti delle serie TV di Star Trek: Jonathan Frakes era uno dei protagonisti principali, David Carson un regista di spicco della serie, Michael Piller co-creatore di Star Trek: Voyager, Ronald D. Moore e Brannon Braga i due nuovi Maestri dell’ era post-Gene Roddenberry.

Slacciate le cinture!

La saga cinematografica legata a Star Trek: The Next Generation non si era mai sganciata dall’area di sicurezza, a cinture allacciate si è lanciata per non scoprire nulla di nuovo; l’esatto contrario di quanto fece Harve Bennett a suo tempo chiamando Nicholas Meyer per rinfrescare il franchise, dando così vita a Star Trek II: The Wrath of Khan e ad una collaborazione proficua col regista Leonard Nimoy.

Per il nuovo script serviva un volto mai visto e John Logan poteva essere la persona giusta, due anni prima candidato all’Oscar per la Miglior Sceneggiatura con Il gladiatore.

Doppia copia

Insieme a Brent Spiner il nuovo arrivato Logan stende una storia nuova in cui i personaggi storici della serie non sono più i soli protagonisti, ma un comitato di accoglienza per un nuovo nemico, lo sfondo di un nuovo contrasto.

Jean-Luc Picard/Patrick Stewart si prepara a vedere la USS Enterprise abitata da un rinnovato ponte di comando, il Numero Uno Will Riker/Frakes e Deanna Troi/Marina Sirtis sono finalmente convolati a nozze e pronti a prendere il comando della USS Titan, quando sulla strada una traccia positronica li spinge a scoprire un androide identico a Data/Spiner chiamato B-4.

Da lì all’essere improvvisamente inviati nel nemico Impero Romulano la strada è breve: la casta di schiavi dei Romulani, i Remani, si sono ribellati e Shinzon il loro capo è pronto ad aprire le porte alla pace con la Federazione dei Pianeti. Se solo non fosse che Shinzon è il clone di Picard, risultato di un vecchio piano d’attacco dei Romulani contro la Federazione.

Picard e Data si trovano faccia a faccia coi loro doppi, uno troppo ingenuo per capire chi o cosa sia, l’altro accecato dalla rabbia, un pericolo mortale per l’equipaggio dell’Enterprise e la Federazione tutta.

L’asso nella manica…

Per una storia così drammatica fu chiamato alla regia un altro volto nuovo (la voglia di freschezza era una sorta di malattia nelle salette di produzione di Star Trek: Nemesis). Ed ecco arrivare Stuart Baird, alla sua terza (e ultima) regia, una carriera secondaria rispetto all’enorme successo della sua vita da montatore pluri-nominato agli Oscar.

Berman deve averne tenuto conto: uno sceneggiatore e un montatore tra i più apprezzati del momento, entrambi sulla cresta dell’onda per riconquistare la vittoria dopo la sonora sconfitta di Star Trek: Insurrection.

Ovviamente tanta freschezza aveva i suoi lati negativi.

..giocato male

Nicholas Meyer non sapeva nulla di Star Trek quando accettò di dirigere Star Trek II: The Wrath of Khan, ma quel che fece fu impegnarsi a trovare altri riferimenti con cui lavorare, similitudini a cui accostarsi per trasformare la TOS in un oggetto a lui familiare.

Baird non fece nulla di tutto questo: non conosceva Star Trek né aveva intenzione di far qualcosa per riparare ad una mancanza che lo portò più volte sul set all’imbarazzo di fronte a un cast ormai così avvezzo al materiale narrativo da non aver quasi bisogno di alcuna direzione.

Chiede a Data di mostrarsi spaventato, chiede a Geordie di ricordargli a quale razza aliena appartiene: un disastro. Una regia immatura, sporca, in cerca di grandi sorprese laddove è difficile trovarne; quel che per lui è un mistero per gran parte degli spettatori è una routine maturata in 40 anni di amore appassionato per l’universo di Star Trek.

Calcio d’angolo

Il sentimentalismo, il romanticismo della saga è affidato alla sola sceneggiatura, datacentrica forse proprio perché lo stesso Spiner si decise a metterci mano, dopo il rifiuto alla sua richiesta di morire in Insurrection.

Entrambi i doppelgänger sfidano il proprio fratello a comprendere cosa ci rende umani, se la nostra esperienza oppure qualcosa nei nostri cuori, la cara vecchia lotta tra nature vs nurture, natura contro educazione: Picard sarebbe violento e aggressivo se avesse vissuto come Shinzon?

Una domanda a cui ovviamente viene data risposta nel finale, momento che salva in corner la pellicola con azione a tutto spiano, un’eredità acquisita da Baird lavorando come montatore per Arma Letale e Die Hard, più tre grandi attori al meglio di sé: Patrick Stewart, il capitano senza famiglia con un clone da osservare come un lontano figlio perso; Brent Spiner, un androide più umano degli uomini stessi, disposto al sacrificio ultimo per amore di un amico, di un padre, Tom Hardy, giovane attore al suo primo ruolo importante, in lotta con se stesso e ciò che rappresenta.

La (giusta?) conclusione

Un finale commovente per chiunque avesse seguito la saga per molto tempo.

Star Trek più volte ha avuto a che fare con la morte: Spock ci lasciò in lacrime in The Wrath of Khan, Kirk con coraggio sacrificò la sua vita per salvare due volte l’Enterprise in Star Trek Generations, ma mai come nel finale di Star Trek: Nemesis si era sentito un peso così grande.

Il guaio di Baird salvato dall’affetto, dalla maturità raggiunta dal cast e da una lunga storia ormai affaticata, sopravvissuta in televisione solo con la già morente serie Star Trek: Enterprise, dopo anni dalla chiusura sia di Deep Space Nine che di Star Trek: Voyager (conquistatasi uno spazietto con la breve apparizione di Kate Mulgrew nei panni del suo personaggio, l’ora Ammiraglio Janeway).

This is the end…

Star Trek: Nemesis fu il peggior film di tutti sul fronte economico. Aprì per la prima volta senza essere il numero uno al botteghino, schiacciato da Un amore a 5 stelle, una commedia romantica con Jennifer Lopez (il che è tutto dire).

Star Trek: Nemesis non avrebbe dovuto essere l’ultimo film: Logan e Spiner erano al lavoro su un altro film per il cast di Star Trek: The Next Generation dal titolo di lavorazione Star Trek: The Beginning, in cui tutte le serie avrebbero trovato un finale definitivo.

La Paramount si espresse però contraria e, dopo la bellezza di dieci film e 23 anni di vita al cinema, Star Trek dovette chiudere. Il 13 Maggio del 2005 Star Trek: Enterprise, nonostante le proteste dei fan, si concluse alla quarta stagione.

Dopo i titoli di coda

Nessun’altra serie era prevista, ma in qualche saletta vari creativi si stavano dando da fare, qualcosa stava rinascendo, un vecchio script di cui tanto si era chiacchierato sin dagli inizi era risuscitato, gli anni dell’Accademia di James Tiberius Kirk erano tornati a interessare la Paramount. Attori nuovi, una trama diversa.

Quel che mancava era solo la tanto desiderata freschezza, una mania ormai, e quello show sulla ABC iniziato nel 2004 e curato da Roberto Orci, Damon Lindelof e J.J. Abrams stava avendo un successo incredibile; potevano essere loro le persone giuste. Il resto lo conosciamo.

Per chiudere non ci sono parole migliori delle tre scelte da Picard per salutare Data: To absent friends.

Il ciclo di focus sulle opere cinematografiche di Star Trek prosegue in concomitanza con la loro messa in onda estiva su Rai4 ogni venerdì alle 21:10.

Qui ai link trovate tutti i titoli già affrontati su CineFatti da Fausto Vernazzani:
– Star Trek: Nemesis, di Stuart Baird (it. Star Trek – La nemesi)
Star Trek: Insurrection, di Jonathan Frakes (it. Star Trek – L’insurrezione)
Star Trek: First Contact, di Jonathan Frakes (it. Star Trek: Primo contatto)
Star Trek Generations, di David Carson (it. Star Trek VII: Generazioni)
– Star Trek VI: The Undiscovered Country, di Nicholas Meyer (it. Rotta verso l’ignoto)
 Star Trek V: The Final Frontier, di William Shatner (it. L’ultima frontiera)
– Star Trek IV: The Voyage Home, di Leonard Nimoy (it. Rotta verso la Terra)
– Star Trek III: The Search for Spock, di Leonard Nimoy (it. Star Trek III – Alla ricerca di Spock)
– Star Trek II: The Wrath of Khan, di Nicholas Meyer (it. Star Trek II – L’ira di Khan)
– Star Trek: The Motion Picture, di Robert Wise (it. Star Trek)

5 pensieri su “Star Trek – La nemesi (Stuart Baird, 2002)

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