Rotta verso l’ignoto per il più scespiriano degli Star Trek.
Who would fardels bear,
To grunt and sweat under a weary life,
But that the dread of something after death,
The undiscovered country from whose bourn
No traveler returns, puzzles the will
And makes us rather bear those ills we have
Than fly to others that we know not of?
Amleto, Atto III, Scena 1,
William Shakespeare
Con un budget di 30 milioni di dollari il minimo che ti aspetti di veder tornare nelle tue tasche è almeno 60 milioni. Non fu il caso di Star Trek V: The Final Frontier, un fallimento firmato William Shatner dai guadagni (domestici) intorno ai 52 milioni, una chiusa in positivo con un guadagno risicatissimo.
Alla fine degli anni Ottanta sembrava essere la fine. Star Trek avrebbe continuato a esistere solo in Tv con Picard, il cinema sarebbe stato abbandonato per evitare un ulteriore disastro. Eppure per qualche assurdo motivo la saga sopravvisse alle avversità, resistette nonostante il pericolo di fallimento.
Un nuovo capitano
La Paramount era in cattive acque e alla ricerca di un nuovo leader, scaricava il duo delle meraviglie Jerry Bruckheimer e Don Simpson prima di concludere il contratto quinquennale firmato e l’ultimo dei problemi era proprio Star Trek.
Producevano i film ispirati alla saga di Gene Roddenberry da più di dieci anni. Bene o male nessuno si era mai concluso con un rosso in bilancio e, con un nuovo produttore alle spalle, Ralph Winter, insediatosi dopo la fuoriuscita del suo superiore Harve Bennett, non sembrava essere un problema iniziare a pensare al sesto e ultimo film con il cast originale della serie iniziata negli anni Sessanta. D’altronde erano tutti invecchiati di oltre vent’anni.
Ritorno all’accademia
Più di un soggetto fu proposto alla produzione e il più quotato sembrava essere una vecchia storia che avrebbe permesso di gettare il cast per prenderne uno nuovo. Girare gli anni dell’Accademia, i giorni in cui il Capitano Kirk incontrava Spock e tutti gli membri del futuro equipaggio della USS Enterprise.
Scartata.
Serviva qualcosa per dare un adeguato addio a William Shatner, Leonard Nimoy, DeForest Kelley e gli allegri compagni della Enterprise. Fu Nimoy a trovare la soluzione e non appena la ebbe in mano corse a proporla a chi con lui collaborò alla sceneggiatura del suo Star Trek IV: The Voyage Home, Nicholas Meyer, anche regista, come ben sappiamo, di Star Trek II: The Wrath of Khan.
La caduta del Muro
Star Trek e la fantascienza sono sempre stati (in parte) specchio della realtà odierna, dei suoi mali e dei suoi pregi e nel 1989 un cambiamento a dir poco epocale aveva ridisegnato le cartine geografiche, aperto nuovi capitoli sui libri di storia e chiuso uno dei momenti più oscuri del Novecento.
Il muro di Berlino cadde, Mikhail Gorbaciov aprì la Russia al mondo e la Guerra Fredda terminò. Gli ultimi anni del conflitto URSS-USA si riflettevano in toto nell’idea di Nimoy: il pianeta minerario dei Klingon, Praxis (nella realtà lo conosciamo come Chernobyl), è distrutto da un incidente che mette in ginocchio la loro intera civiltà rendendo impossibile continuare il conflitto.
La pace è l’unica chance di salvezza per loro e adesso vecchi nemici devono unirsi per il bene comune. “The needs of the many outweighs the needs of the few” recitava Spock nel triste finale de L’ira di Khan.
Uccidete la colomba bianca
La conclusione perfetta, tutti insieme un’ultima volta prima della pensione, l’equipaggio della USS Enterprise è chiamato per scortare il Cancelliere Gorkon/David Warner (l’immagine aliena di Gorbaciov), carica suprema della civiltà Klingon, sulla Terra, dove i termini del trattato di pace saranno siglati.
Qualcuno sembra però esser contro e scatta un complotto per eliminare Kirk e impedire che sia siglata la tregua definitiva, scatenando un guaio intergalattico che imporrà agli imbolsiti uomini del Capitano un ultimo sforzo per salvare la civiltà come la conosciamo.
Così come Meyer salvò ancora una volta il franchise dall’ombra della rovina grazie al suo amore per la letteratura, utile a creare atmosfere vicine a più generi, creando più linee narrative atte a tener alta l’attenzione e la tensione dello spettatore con soggetti familiari.
Spock Holmes and company
Da una parte il processo a Kirk e il prison movie nel pianeta gelato dei Klingon (Siberia), dall’altra l’indagine sulla Enterprise, dove Spock, senza neanche tanto pudore, sostiene che un suo antenato usava dire “se elimini l’impossibile, quello che rimane, per quanto improbabile, deve essere la verità”, una frase di culto ormai a tutti nota: il vulcaniano è un discendente dell’inquilino di Baker Street 221b, Sherlock Holmes.
Al regista Meyer doveva sembrare un gioco interessante creare tutti questi intrecci, al punto da riuscire a ottenere quanto voleva per The Wrath of Khan e riutilizzarlo qui, in questa sua seconda chance come regista: il titolo che avrebbe voluto per Star Trek II viene utilizzato per il VI e nasce dunque Star Trek VI: The Undiscovered Country (in italiano si perde la citazione scespiriana e diventa Star Trek VI: Rotta verso l’ignoto), dove San Francisco non è più il centro della Federazione, ma lo è Parigi.
Un modo per rendere Star Trek un po’ più internazionale.
Shakespeare il klingon
Il titolo trova un motivo di esistere in una delle più belle scene della saga. Klingon e l’alto comando dell’Enteprise insieme a cena chiacchierano del più e del meno cercando di evitare le tensioni palpabili da un lato e dall’altro. Kirk e il suo odio dovuto alla morte del figlio David per mano di Kruge (Star Trek III: The Search for Spock) e il disprezzo per la flotta del Generale Chang, Christopher Plummer, villain di tutto rispetto, con un nome cinese che lascia poco all’immaginazione.
William Shakespeare è tirato in causa, The Undiscovered Country… the Future è a quanto brinda il Cancelliere Gorkon, una citazione dell’atto III dell’Amleto subito colta da Spock, a cui in pronta risposta arriva la declamazione in Klingon di Chang del soliloquio Essere o non essere: perché non hai mai letto Shakespeare se non lo hai fatto nell’originale in Klingon.
Ebbene sì, Spock è il discendente di Sherlock Holmes, e i Klingon ritengono che Shakespeare era… Klingon?
Rotta verso l’ignoto
Dei giochi veri e propri che imbellettano Star Trek VI: The Undiscovered Country, una riflessione su un universo fatto di nuove scoperte giorno dopo giorno, dove la morte citata dal Bardo nel soliloquio non è più la sola “terra ignota”, ma lo sono anche il futuro e la pace, una landa di misteri da risolvere prima di imbarcarsi nella prossima avventura.
Fu un piccolo successo commerciale, ricordato ancora oggi come uno dei migliori film del franchise, l’ultimo con Kirk al comando e l’ultimo con l’intero cast originale presente sul set, già qui in parte diviso con le poche apparizioni di Sulu/George Takei, promosso a Capitano della Excelsior.
Insieme, in una piccola scena neanche troppo riuscita, diventeranno eroi per l’ultima volta prima della conclusione, armati di phaser contro traditori dell’Impero Klingon e della Federazione.
Così se ne andranno prima che la Next Generation prenda il loro posto anche al cinema, così se ne andò anche Gene Roddenberry il 24 Ottobre 1991, pochi giorni dopo aver visto Star Trek VI: The Undiscovered Country, pochi giorni prima della premiere ufficiale. Una conclusione perfetta, ma amara.
Il ciclo di focus sulle opere cinematografiche di Star Trek prosegue in concomitanza con la loro messa in onda estiva su Rai4 ogni venerdì alle 21:10. Qui ai link trovate tutti i titoli precedenti già affrontati su CineFatti da Fausto Vernazzani:
– Star Trek: Nemesis, di Stuart Baird (it. Star Trek – La nemesi).
– Star Trek: Insurrection, di Jonathan Frakes (it. Star Trek – L’insurrezione).
– Star Trek: First Contact, di Jonathan Frakes (it. Star Trek: Primo contatto).
– Star Trek Generations, di David Carson (it. Star Trek VII: Generazioni).
– Star Trek VI: The Undiscovered Country, di Nicholas Meyer (it. Rotta verso lignoto).
– Star Trek V: The Final Frontier, di William Shatner (it. Lultima frontiera).
– Star Trek IV: The Voyage Home, di Leonard Nimoy (it. Rotta verso la Terra).
– Star Trek III: The Search for Spock, di Leonard Nimoy (it. Star Trek III Alla ricerca di Spock).
– Star Trek II: The Wrath of Khan, di Nicholas Meyer (it. Star Trek II Lira di Khan).
– Star Trek: The Motion Picture, di Robert Wise (it. Star Trek).
Fausto Vernazzani
Voto: 4/5
9 pensieri su “Star Trek VI: Rotta verso l'ignoto (Nicholas Meyer, 1991)”