Mad Max Fury Road - CineFatti

Gli anni ’10 in 10 trend

Le storie che hanno segnato un decennio

Con un 2019 ancora da recuperare e tsunami di film da mandare in play non sarebbe facile stilare una classifica dei “migliori” film del decennio. Aggiungerei che le liste escono dale fottute pareti e allora preferisco rivolgere un pensiero diverso al decennio:

Quali sono le storie degli anni ’10?

Chiamiamoli trend, movimenti o tendenze: sono stati il cuore di numerose conversazioni, sulle prime pagine dei giornali oppure nascosti per evitare che facessero rumore.
Ma hanno lasciato il loro marchio indelebile.

Sono uno sguardo al passato utile a prendere di petto i neonati roaring twenties e soprattutto un modo di guardare al cinema che non sia solo attraverso i singoli film. Ma dato che in un modo o nell’altro sono i rappresentanti dei trend qui citati, ognuno sarà accompagnato da un film che riassume in sé il tema centrale per forma, contenuti, produzione o distribuzione.

Universi: prendeteli e condivideteli tutti

Abbiamo vissuto un periodo in cui ogni studio proclamava in pompa magna la nascita di un nuovo shared universe sul modello del MCU. Li avete visti voi? La verità è che gli universi sono complicati da produrre, comportano rischi eccome, e negli anni la maggioranza ha fatto una brutta fine.

I migliori dentisti della Oral-B ancora si chiedono che forma abbia il DCEU e altri come il Dark Universe sono stati ripensati in formato low budget. È comunque un trend che ha dimostrato la sua fallibilità scendendo dal podio con la coda tra le gambe nel giro di un decennio.

Ci hanno provato in tanti solo in due ci sono riusciti: Disney e Jason Blum. Il Conjurverse è uno dei due universi condivisi di successo*, con una saga principale e tanti spin-off col loro franchise personale a corredare le disavventure col diavolo dei coniugi Warren. Il tre arriva nel 2020!
* questo escludendo l’esperienza televisiva dell’Arrowverse.

Cornuti e schiantati, gli stuntman malmenati

La nostra meraviglia sono le loro cicatrici. Capita siano gli arti persi per uno stunt, addirittura la loro vita. Il cinema non è la fabbrica dei sogni è una fabbrica, punto. Tolto l’aspetto artistico abbiamo centinaia di lavoratori e gli stuntman rischiano la loro vita per lo spettacolo.

Anche questo decennio ha avuto troppe vittime, ma la principale è stata la loro dignità calpestata: nonostante TUTTI i blockbuster d’azione si fondano sul loro lavoro, l’industria ancora si rifiuta di riconoscerlo con lo stesso glamour e rispetto con cui si accolgono altri professionisti.

Olivia Jackson ha perso un braccio e ha rischiato la paralisi per uno stunt andato male sul set di Resident Evil: The Final Chapter, una saga piagata da incidenti di questo tipo. Il film in sé non sarà straordinario, ma guardato sapendo cos’è successo fa capire cosa significa fare cinema.

J’accuse. #MeToo!

Finalmente l’industria dell’entertainment si è accorta di avere un enorme problema. Per ora ne ha preso atto e cambiamenti reali se ne percepiscono pochi, tuttavia è importante discutere finalmente di quanto accade dietro le quinte, perché si riflette sullo schermo. Sull’immaginario.

Il movimento #MeToo ha colpito il patriarcato dello show business come le locuste l’Egitto e un giorno ne vedremo forse i risultati. Ha senz’altro aperto gli occhi al pubblico – e l’industria ne fa parte – e se usciamo dalla maniacalità del politically correct ne potremo avere solo vantaggi.

Il cinecomic ha definito il decennio, ma Wonder Woman è di più grazie a Patty Jenkins. La sua Diane non è oggettificata né diretta in modo da metterne in risalto le forme (cosa che fece Zack Snyder) dando così una protagonista femminile che non fosse pensata per un pubblico esclusivamente maschile.

Itali’è mille culure

Parafrasando Pino Daniele, l’Italia è una carta sporca, è un’Italia dai mille colori.

Rispetto ai decenni passati abbiamo di che festeggiare: il cinepanettone è caduto – sì, stappiamolo questo spumante – il cinema di genere sta riemergendo dalle ceneri e la serialità italiana ha qualche cartuccia niente male da giocare sul palinsesto internazionale.

Eppure siamo ancora bipolari noi spettatori italici: un giorno il cinema italiano è morto, un altro è finalmente rinato. La verità sta nella seconda che ho scritto, è in ripresa. Sarebbe carino se la qualità facesse la conoscenza con un adeguato riscontro economico per i nuovi autori.

Attori stranieri per una produzione interamente italiana che non ha paura di confrontarsi col mercato straniero. La coppia Fabio Guaglione e Fabio Resinaro scrisse un war movie profondo e senza una sbavatura, a riprova del grande talento anche delle nuove generazioni italiane.

Consiglio doppio perché si tende a identificare la serialità italiana esclusivamente con Gomorra – La serie, di indiscutibile qualità ma non l’unica. La Rai negli anni si è fatta coraggio e con produzioni come Rocco Schiavone e Il cacciatore ha tirato fuori il coraggio nascosto. In più la seconda torna nel 2020.

I stream, you stream, we all stream for a nice streaming!

Con la fine di Orange is the New Black si è chiusa la più longeva delle serie originali Netflix. Significa che lo streaming forte esiste da meno di una decade e in così poco tempo ha cambiato tutto. Il cinema per primo, compreso il suo rapporto con gli altri media, non più di concorrenza.

Il modo di girare, la qualità e quantità dei contenuti, il costo di un film. Lo streaming è stato il Big One nel mondo dell’entertainment e sono sicuro ancora non ha finito di sventrare il sistema: la proliferazione di canali ora porterà a nuove forme di lotta.

Il budget nella serialità è lievitato e non è esclusiva delle produzioni di genere come Westworld sulla HBO. Netflix con The Crown ha investito oltre cento milioni a stagione per la ricostruzione della vita dei regnanti d’Inghilterra. Un prezzo altissimo da pagare per una serie straordinaria.

Il chiasso degli innocenti: infanzie rovinate à gogo

Lagnarsi sui rifacimenti a Hollywood e oltre è stato il trend più fastidioso. Conosciamo il caos associato a Ghostbusters, accolto da lamentele – peraltro sessiste – prive di fine e senso. Oggi è impossibile annunciare un remake/sequel senza l’annesso coro delle prèfiche.

La questione assume una discreta importanza quando il piagnisteo spinge gli studios a apportare modifiche alle produzioni in corso. Volendo cedere all’ottimismo potremmo vederla come l’alba del cinema interattivo. A quel punto piattaforme come change.org avrebbero ben altro valore.

Mad Max: Fury Road è uno dei migliori film del decennio, ma anche George Miller fu oggetto di accuse. Quante infanzie rovinate e soprattutto il peccato orrendo: Tom Hardy è inglese e non australiano. Gogna per Miller che ha rovinato per sempre il (suo) franchise di Mad Max.

Il sesso è in dissesto

Quand’è l’ultima volta che avete visto qualcuno fare sesso? Voyeurismo a parte (maniaci) è un dato di fatto: il cinema è il sesso hanno bisticciato. Il pudore è cresciuto in popolarità e le love scene sono piano piano scomparse dal grande schermo a favore dell’esplicito piccoletto domestico.

Parlo dei blockbuster USA, prima che mi tiriate i DVD di Abdellatif Kechiche addosso…

La HBO ci scherzava sopra promuovendo HBO Go con la scusa dell’imbarazzo in famiglia davanti ai nudi di Game of Thrones ed è quanto è successo: il sesso è onnipresente in Tv, è diventato un fatto troppo privato per essere condiviso con la famiglia, figurarsi con una sala intera.

Al di là della qualità Red Sparrow è uno dei pochi blockbuster – anche se mid-range – dove il sesso ha un ruolo importante. Di recente il regista Francis Lawrence ha sottolineato la difficoltà di farlo accettare agli executive. Il cinema USA lo ha reso sempre più secondario, sempre più innocuo.

La morìa degli animaTi

Vi ricordate quando la morte era un tabù nel cinema d’animazione rivolto ai bambini? Capitava sempre ai genitori di questo o quel personaggio (Bambi, Tarzan, Il re leone, ecc.) ma era una perdita che caratterizzava momentaneamente il personaggio e non la storia intera.

La Pixar questo tabù lo ha messo sotto i riflettori, ha spianato la via a una discussione aperta sul cadere stecchiti a terra. Anche i ricchi piangono e ora pure i personaggi animati muoiono.

Up uscì in chiusura anni ’00 ma Coco è il portabandiera del nuovo decennio. Toy Story 3 si chiede cosa succede ai giocattoli quando muoiono e il 4 ne racconta in un certo senso la perdita di significato. Non c’è da stupirsi se DreamWorks e Illumination si sono dati a Minion e Troll per alleggerire.

Fan o meno di Inside Out siamo d’accordo che la piccola Riley conosce emotivamente la morte quando la sua memoria perde per sempre contatto con l’amico immaginario Bing Bong. Sì, spoiler. Mi dispiace. È un momento strappalacrime pianificatissimo per portare la morte al centro del discorso.

Galleggiano, qui tutti i VFX artist galleggiano

Oscar 2013: Vita di Pi vince l’Oscar per i migliori VFX e non appena i problemi di una categoria in rivolta sono espressi sul palco ecco che il microfono gli viene strappato via. Ribadisco ancora una volta la natura del cinema: è un’industria, un luogo di lavoro per migliaia di artisti.

I VFX Artist non rischiano la vita come gli stuntman, ma la dignità sì. Sottopagati, dislocati in paesi lontanissimi, costretti a deadline pazzesche e a rispettare contratti firmati da creature assurde che non sanno da che parte si comincia per la postproduzione di un film.

Il 2010 – 2019 li ha visti protagonisti di numerosi scioperi e campagne per mostrare al pubblico la verità: senza di loro né cinema né televisione, anche i più insospettabili, potrebbero sopravvivere. E cosa è stato fatto? Vorrei dire “poco e niente”, ma la risposta esatta è la seconda.

Vita di Pi è esemplare. Lontano dall’essere un capolavoro a 360 gradi: la sua bellezza è nelle immagini ed è il risultato del lavoro strabiliante compiuto dagli artisti della Rhythm & Hues. Andarono in bancarotta proprio mentre ritiravano il loro Oscar. A vedere Vita di Pi oggi mi chiedo come sia possibile permettere un simile scempio. Claudio Miranda che non ringrazia i VFX Artist agli Oscar? Mah.

Risalire la China

Si è chiuso il decennio cinese. Se c’è stato un elemento destrutturante per il cinema oltre lo streaming quello è stato la crescita esponenziale del mercato cinese parallelo alla politica del soft power promossa dal governo Xi Jinping. Hollywood ha dovuto fare i conti con la PRC.

I mercati internazionali hanno corteggiato la Cina e gli USA in particolare: un miliardo e mezzo di potenziali spettatori fa gola a chiunque e se quel pubblico è soggetto a determinate leggi censorie, allora anche Hollywood le rispetterà. È stato anche il decennio che ha visto rinascere la censura nel cinema? Purtroppo sì e va detto che questa è una vittoria del capitalismo.

Dangal è stato uno dei maggiori successi commerciali internazionali distribuiti in Cina. Gli USA non sono mai stati i soli in questa nuova corsa all’oro, gli indiani con l’attore Aamir Khan hanno puntato in alto e hanno vinto senza snaturare la produzione locale di una virgola, puntando sui contenuti.

9 pensieri su “Gli anni ’10 in 10 trend

    1. Ammetto alcuni che hai citato non mi sono piaciuti, ma è una lista del cuore e già per questo è bellissima. In più al primo posto c’è un film che adoro e non smetto mai di consigliare, il mio Spotify l’ho riempito con la sua colonna sonora!

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      1. Uno in particolare è A United Kingdom, mi ha fatto conoscere una storia interessante ma l’ho trovato non poco noioso. Come il primo film di Amma Asante, scopro nuove fette di storia del mondo, ma non riesce mai a coinvolgermi. Infatti non so se vedrò il suo terzo film, Where Hands Touch.

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      2. Avevo sentito parlare di Where hands touch, ma non sapevo che la regista fosse la stessa di A United Kingdom: adesso che lo so lo guarderò di sicuro. Anche se difficilmente sarà bello come l’ultimo film che ho visto (Speed Kills). Grazie per la risposta! :)

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