Il cacciatore La serie - CineFatti

5 punti per Il Cacciatore

Seguire ed essere seguito: il destino de Il cacciatore.

Canneseries, prima edizione: 10 storie per la tv selezionate da tutto il mondo. Se c’è anche l’Italia? La risposta (una volta tanto) è sì e porta Il cacciatore di Stefano Lodovichi Davide Marengo direttamente sul pink carpet.

Lo porta fra star e concorrenti internazionali, in una gara che raccoglie spunti e tendenze innovative spingendole al di qua di qualsiasi confine.

Niente orgoglio tricolore di facciata, nessun salto sul carro di chi ha vinto: in casa CineFatti la brillante serie Rai aveva fatto il proprio ingresso ben prima della prestigiosa nomination e non si vedeva l’ora di parlarne.

Non si vedeva l’ora di dire che a prescindere dai verdetti di tutte le giurie (quella cannense inclusa) il suo posto è là come qui, fra le serie tv italiane migliori degli ultimi anni. Ed ecco in sintesi perché.

Serie, non fiction

La fiction lavora sugli stereotipi, la serie sull’umanità“, ci ha tenuto a precisare l’attore protagonista Francesco Montanari in un’intervista per Repubblica.

Verosimiglianza è la parola chiave della produzione RaiFiction, CrossProduction Beta, libera riscrittura del libro autobiografico di Alfonso Sabella Il cacciatore di mafiosi  che racconta le imprese del pool antimafia negli anni successivi alle stragi di Capaci e via d’Amelio.

Due puntate alla volta, nel pieno rispetto dell’equilibrio fra attesa e abitudine essenziale alla fruizione seriale, Il cacciatore tiene alta la tensione con una storia e una messinscena perfettamente orchestrate e curate.

Una selva oscura

Qui è dove la verità storica si mescola all’immaginazione, dove i mafiosi hanno il nome che tutti ricordano mentre chi li insegue no, perché a distinguere gli uni dagli altri basta il peso dei fatti. Come in Narcos ma con molta patina in meno: “Noi raccontiamo personaggi fallibili“, continua Montanari.

Uomini ambiziosi, arroganti, bugiardi, i giusti borgesiani cambiano faccia e con Saverio Barone e Carlo Mazza (un Francesco Foti in stato di grazia) diventano stronzi senza esserlo per forza fra le righe.

A loro, dall’altro capo della via smarrita, si contrappone un inferno fatto di individui spietati, come il Leoluca Bagarella di David Coco e i fratelli Brusca di Edoardo Pesce Alessio Praticò, dagli sguardi pieni di buio e di morte.

Il mare geloso

Intorno rivive una Sicilia brulla e dorata, tutta sterpaglia e Barocco, mare gelososelve oscure usate come riparo dai cinghiali più feroci. Benjamin Maier e Davide Manca riescono a catturarne luci e ombre, centro e margini, contribuendo a donare al Cacciatore atmosfere profonde e palpabili almeno quanto i personaggi che le attraversano.

E poi c’è la musica degli anni Novanta, ci sono le musicassette da ascoltare a palla con l’autoradio della Duetto, pause di finta allegria nell’incalzare solenne e avvolgente del commento musicale composto da Giorgio Giampà (qualcosa ci dice che figurerà nella playlist cinefattiana dell’anno prossimo).

Il vecchio e il nuovo

Ci sono però anche gli anni Settanta, l’omaggio al cinema italiano di genere – fra ralenti e scritte in sovrimpressione il ringraziamento ai registi merita di essere doppio – e all’identità di una tradizione artistica di tutto rispetto, che fa ancora scuola in ogni parte del mondo, come dimostra il Cacciatore, senza perdere il suo smalto.

Lodovichi e Marengo tengono gli occhi bene aperti sul contesto, guardano all’attualità sfruttando le tendenze nel modo giusto con la creazione di un prodotto di respiro internazionale che non rinuncia a personalità e professionalità delle maestranze locali.

E alzi pure la mano chi non ha visto in Mico Farinella (Giulio Beranek) un po’ dello zingaro di Jeeg Robot

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Viva quest’Italia

Chi ci legge sa che da 8 anni a questa parte siamo restii ai facili entusiasmi, quindi capirà meglio la portata della nostra sorpresa nell’assistere all’esordio di una serie italiana come non se ne vedevano da tempo.

Perché? Perché è equilibrata, magnetica, disegnata col compasso. Fa parlare Dante in siciliano, vanta una schiera di attrici e attori che sembrano non sbagliare un colpo (ed è un peccato non poter citare tutti insieme) e ci mostra con discrezione (ma quando vuole anche senza complimenti) la grande macchia che rovina il corpo del nostro piccolo e complicato Paese, in uno splendido esercizio di memoria e ricostruzione.

Dall’11 aprile 2018 in edicola, fino al 18 su Rai2 con il finale di stagione.

Francesca Fichera

4 pensieri su “5 punti per Il Cacciatore

  1. Ho molto apprezzato questa serie. E Francesco Montanari che dieci anni dopo il (memorabile) Libano lascia nuovamente il segno. Ma la scoperta, almeno per me, è stato Francesco Foti. Gli sceneggiatori e la regia hanno lavorato di fino sul crescendo del loro rapporto e entrambi ci hanno messo talento e energia nel farlo crescere. Un piccolo appunto, l’uso eccessivo del rallenty. Ma è giusto un neo minuscolo in una serie maestosa.

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    1. Esattamente, ci vuole un gran talento per delineare in maniera così profonda due personaggi e il loro rapporto sulla scena. Oltre a Foti e Montanari vale anche per i “villain” del caso, dal Bagarella di Coco ai Brusca di Pesce e Praticò, senza contare i ruoli secondari! Maestosa resta la parola giusta per definire la serie del Cacciatore, dove anche il ralenti e gli altri “eccessi grafici” assumono una funzione sensata e motivata nell’ordine delle cose: omaggiano in modo vibrante (e senza sconnettersi dal tempo attuale) la tradizione del cinema di genere, a cavallo fra identità nazionale e storia del mondo.

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