Un’esplosione di immagini, un’implosione della fede
C’era una volta una donna, dipinta da Erri De Luca, che diceva “Lascio a voi il compito di sbrogliare la mia storia, perché chi ci sta dentro non ci vede mai chiaro”.
Quella di Pi e della sua vita – nota appunto come Vita di Pi – è una storia consegnata nelle nostre mani, forse ancora un po’ inesperte, più d’una volta: un doppio nodo da sciogliere sfogliando le pagine del bel libro di Yann Martel, e da districare o, semplicemente, ritrovare nelle vivide immagini del film di Ang Lee, eclettico regista taiwanese lungi (purtroppo) dall’essere veramente versatile.
E che non a caso mal gestisce la leggerezza dei toni con cui Martel, attraverso il suo esemplare protagonista Piscine Patel, affronta alcune fra le maggiori (ed eterne) incognite della vita umana: l’esistenza di un dio, degli dei, della fede.

Credere e sentire
Piscine – autoproclamatosi Pi per sfuggire agli sberleffi dei compagni di scuola – è uno che le divinità ha fatto di tutto per incontrarle. Finendo col vederle davvero, in un fumetto o una chiesa di campagna.
Ma la visione non equivale al senso, a un sentire completo e totalizzante, e questo Pi lo intuisce, configurandolo come limite a quel suo modo di pensare che, abitando costantemente la “stanza del dubbio“, attua l’illimite in una costante, finanche testarda, spinta alla ricerca.
Questo è quanto mostra Lee nella noiosa parte iniziale del suo film, introdotta da titoli di testa degni del più scadente film per famiglie, che scorre poco nel poco oliato meccanismo di una “cornice narrativa” utilizzata a mo’ di pretesto per ingranare il racconto principale: un Pi ormai maturo (Irrfan Khan) che svela le sue gesta a un giovane scrittore inceppato.
La lunga digressione prende così il volo al momento del tremendo naufragio che coinvolge la nave giapponese su cui stanno viaggiando Pi (adolescente, cui presta volto e corpo Suraj Sharma), la sua famiglia e gli animali dello zoo di suo padre, che aveva deciso di ripartire da zero emigrando in Canada.
Infame è perciò la sorte del signor Patel, che trova la morte negli imperscrutabili abissi della Fossa delle Marianne, ma forse è più crudele quella di suo figlio Pi, che sopravvive casualmente alla tempesta assieme ad una zebra, una iena, un orango… e a Richard Parker, nient’altro che un temibile esemplare di tigre del Bengala.
La sopravvivenza del segno
Facile indovinare, a questo punto, quali e quanti degli animali a bordo della piccola scialuppa riusciranno a sopravvivere. D’altronde, in Vita di Pi c’è molto poco spazio per la verosimiglianza: di più, e tanto, è quello per i simboli.
Moltissimi sono quelli lungo l’impervio viaggio di Pi, nella cui caratterizzazione visiva si sbizzarrisce – dopo un inizio non proprio esaltante – il direttore della fotografia Claudio Miranda, facendo di un percorso d’iniziazione e di lotta contro le dure leggi del mondo un’esperienza dello sguardo originale e avvolgente, già cult per il popolo cinefilo del web.
Labile è però il confine fra il barocchismo – quello della regia di Lee, insistente nel suo gioco di quadri e soluzioni visive stupefacenti – e la riduzione asettica di una rappresentazione mirabile e potente qual è quella suggerita dal romanzo di Martel: la narrazione di quel conflitto e di quella conflittualità di fondo, alla base della vita di Pi e di pochi illuminati realmente esistenti – ma anche di coloro che non vedono la luce, perché soccombono -, così vera da riuscire a scavare un solco attraverso lo schermo e le sue esplosioni di colore.

Dritto dritto al nodo finale, il secondo e più difficile da rompere, forse perché (all’apparenza) ambiguo, forse perché doloroso e struggente. “Una storia che non piace a Dio” e che, per questo, possiamo sforzarci di capire solo noi. Provando, ad esempio, a guardare negli occhi, senza troppa paura, una tigre del Bengala. Le lacrime, quelle, non le si può evitare: Ang Lee almeno garantisce qualcosa e, volendo coglierne il lato positivo, può aiutare a sbrogliare qualche matassa del tutto personale.
Un film tanto bello quanto ridicolo.
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Definizione breve, concisa e calzante ;)
– Fran
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