Mad Max: Fury Road, il ritorno al cardiopalma di George Miller.
Gli ci sono voluti quasi due decenni per arrivare al quarto capitolo della sua saga post-apocalittica, ma George Miller in tutti questi anni non si è arreso, si è anzi adattato ai nuovi tempi, producendo un film che si incastra alla perfezione nel panorama cinematografico attuale: Mad Max: Fury Road sembra un figlio dei nostri giorni, un’apparenza che ne costituisce un enorme pregio e un piccolo difetto.
È come un castrato da opera lirica, gli manca qualcosa rispetto al Mad Max del 1979, ma la sua voce è ancora più bella. Miller esplode, letteralmente, abbandona il cruento e sporco outback australiano e la paura dei giorni che furono prima della caduta del Muro di Berlino e abbraccia il terrore ecologico, con scenari sabbiosi, ma così puliti che verrebbe quasi voglia di andare a fare un pic-nic nel deserto.
La storia non si allontana però dai predecessori. È Max, in viaggio per il nuovo mondo fatto di sangue e fuoco, come lui stesso recita all’inizio, col nuovo volto di Tom Hardy contro il vecchio di Mel Gibson. Una trama più avanzata non esiste, se non la sua fuga continua dai Figli di Guerra di Immortan Joe, Hugh Keays-Byrne, già villain nel primo Mad Max come Toecutter, con cui però non esiste legame.
Nella sua corsa verso la salvezza diventa prigioniero della folle Cittadella dove Immortan Joe è trattato come un dio dalla sua popolazione assetata, ma dove tutto cambia quando la sua imperatrice Furiosa (Charlize Theron) decide di portare in salvo le sue cinque mogli, tenute come oggetti per produrre bambini sani, senza malattie da radiazioni.
Un manifesto femminista lo hanno definito alcuni, migliore ancora Ombre rosse fatto d’acido, perché, come ben notano i critici di IndieWire, come tale appare: un’unica carrozza da portare al sicuro dalla follia dei selvaggi. Più numerosi, più attrezzati. Mad Max: Fury Road deve del resto tutto a John Ford, più dei tre che l’hanno preceduto, ma più di ogni cosa è uno spettacolo grafico impressionante.
In 3D sarebbe stato un capolavoro, ma già così, sullo schermo più grande possibile, ci si rende conto di come l’avventura di questo film di fantascienza caschi in secondo piano rispetto ai meravigliosi quadri costruiti con le auto in corsa, le tempeste di sabbia e lotte simili più a uno show del Cirque du Soleil che a un action movie. Risultato prevedibile quando ci si mette al lavoro prima con lo storyboard e poi con la sceneggiatura.
Metodo di lavoro che a sua volta porta degli svantaggi, come il passaggio dal male al bene del Figlio di Guerra di Nicholas Hoult, così conveniente da risultare fastidioso. Non son quisquiglie, piccoli aspetti che se curati meglio avrebbero dato maggior profondità a Mad Max: Fury Road, ma continua a essere un action movie spettacolare (scenografie, fotografia, colonna sonora, tutti da Oscar), superiore alla massa pur facendone parte.
di Fausto Vernazzani
Voto: 4.5/5
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