Seven Sisters - CineFatti

Seven Sisters (Tommy Wirkola, 2017)

Seven Sisters, Noomi Rapace tra politica cinese e Orphan Black.

C’era una volta la fantascienza che per risolvere il problema della sovrappopolazione la gente la trasformava in comode tavolette commestibili, adesso il futuro guarda al passato e la distopia di Seven Sisters strizza l’occhio alla ex-politica cinese del figlio unico.

Tutti per uno, uno per tutti

Sulla Terra disegnata da Tommy Wirkola non possono esistere fratelli e sorelle. Glenn Close, la tiranna di turno, propone infatti di congelarli in un’enorme struttura, nell’attesa di un giorno in cui il problema della fame (e della sete) nel mondo sarà risolto.

Alla natura però non si comanda, quei god’s child di Gattaca sono inevitabili, a volte anche voluti, com’è il caso di nonno Willem Dafoe, trovatosi con ben sette gemelle omozigote. La soluzione viene da sé, vivranno come una sola persona.

Noomi Rapace ha per nome i giorni della settimana, a ognuna di loro sarà consentito vivere fuori casa con l’identità comune quando cadrà il giorno corrispondente al proprio nome, mentre all’interno ognuna si crea la propria personalissima identità.

Orfani invisibili

Tanto personali non lo sono, Seven Sisters, come le precedenti sceneggiature di Max Botkins, brilla pochissimo per originalità, ed è da subito evidente che il film del norvegese Tommy Wirkola si ispira tanto alla Cina quanto a Orphan Black.

Noomi Rapace riprende in 90 minuti quanto Tatiana Maslany ha dovuto tollerare per cinque stagioni su Space e BBC America, interpretare personaggi differenti, le cui caratteristiche, anche nei costumi, sono riprese, senza nasconderlo, da Seven Sisters.

È logico, bisogna ammetterlo, come le differenze tra i due media implichino delle variazioni nell’approfondimento dei personaggi, assai sottili nel film di Wirkola, ma accentuati abbastanza per dare corpi a un discreto sci-fi d’azione.

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In Wirkola We Trust

Altro che Italians do it better, spostandoci in altro contesto possiamo affermare con certezza che Scandinavians do it better. Tommy Wirkola appartiene a una bellissima generazione di registi nordici per cui la semplicità può superare sé stessa.

Un concept derivato dall’unione di differenti sorgenti, infatti, prende un aspetto interessante nella sua piega in stile Dieci piccoli indiani (giacché si parla molto di Agatha Christie questa settimana) e nella resa di una sorta di gerarchia tra le sorelle.

Se poco fa la sceneggiatura e ancor meno i costumi, stereotipi scavati da altri progetti – sul serio, Orphan Black dovete vederla – Wirkola, tra luci (José David Montero) e posizione dei personaggi, riesce a distinguere il ruolo delle singole sorelle.

È un dettaglio, un tocco intelligente che tra i vari vantaggi porta con sé quello di promuovere Seven Sisters a potenziale cult da guardare ripetutamente, per notare non tanto gli elementi scenografici – comunque interessanti – ma quelli registici.

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Chi se non lei?

Come accadde per Orphan Black, anche Seven Sisters non può essere considerato un successo senza considerare l’apporto particolare della sua protagonista, Noomi Rapace, per quanto mi riguarda una delle migliori attrici d’azione in circolazione.

Nel paragone con l’ora più celebre Charlize Theron, stravince. George Miller tirò fuori la Furiosa in lei, altrimenti dobbiamo pensare che Atomica bionda sia un fallimento solo del regista, tuttavia più che abile negli ottimi John Wick.

Noomi Rapace riesce invece a convogliare tra corpo ed espressioni fragilità e forza, a saltare da un costume all’altro e sapere sempre come utilizzare se stessa al fine di partecipare con passione alle coreografie di Seven Sisters, mai scontate.

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Fausto Vernazzani

Voto: 3.5/5

5 pensieri su “Seven Sisters (Tommy Wirkola, 2017)

  1. il film non l’ho visto ma su Noomi concordo con te…
    l’ho vista di recente nel Passion di De Palma, di cui parlerò prossimamente, ed è davvero un’ottima attrice, oltre ad avere un fascino tutto suo, senza essere la classica bonassa che va per la maggiore quando è ora di scritturare personaggi femminili…

    "Mi piace"

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