Greta Gerwig alla conquista delle Piccole donne
Ho fatto un acquisto per un neonato e alla scelta del colore la commessa si è sentita in dovere di chiedere: “è maschio, ne è sicuro?” A pochi metri da questo pregiudizio ne esiste un altro che per tanti anni mi ha tenuto fuori dai radar Piccole donne di Louisa May Alcott: è un romanzo per ragazze, sono forse femmina io? Il tempo vola e nemmeno ci pensi più finché non arriva sorridente Greta Gerwig e ti ricorda quante cazzate si dicono nel mondo.
Perché che tu lo voglia o no ogni minuto di veglia è una silenziosa battaglia a pregiudizi maturati nel tempo. Perché quell’ottimo episodio di Watchmen racconta bene come la storia si eredita, la persona davanti a te potrebbe avere decenni, se non secoli di soprusi e discriminazioni alle spalle. Il cinema non manca di ricordarlo, nelle sale Hollywood si lava le mani per tenere lucido il suo falso progressismo, smascherato a ogni award season.
Bombshell va candidato perché le donne si ribellano e vincono. Harriet merita la nomination perché libera schiavi. Entrambe storie vere, di rivalsa di una categoria discriminata. Denzel Washington candidato per Flight è una rarità e Piccole donne pur essendo uno dei più espliciti manifesti per le pari opportunità è lasciato fuori la porta perché sa esserlo con l’eleganza con cui la Lady Violet di Downton Abbey sa dire vaffanculo a qualcuno.

Di chi è la storia?
Le protagoniste di Greta Gerwig piangono, hanno monologhi socio-politici, il pacchetto Oscar completo. È assente la tragedia umana – risponde all’appello il dramma personale, familiare – è presente invece un dito medio in fondo al film dove chiunque può votare per gli Academy Award si potrebbe sentire chiamato in causa. Sarebbe degno delle infinite ricerche su Google “spiegazione finale Piccole donne” che tanto piace ai fan di Inception.
Purtroppo la badilata di Jo March (Saoirse Ronan) non somiglia a una trottola che come la giri giri non nasconde alcun mistero. Neanche Leonardo DiCaprio ha compreso cosa volesse dire Nolan! Poffarbacco, laurea honoris causa in filosofia alla Federico II di Napoli. La tiro in ballo però con una ragione: Inception lascia allo spettatore un suo finale, gli allunga una penna e gli dice: “come finisce il film, lo deciderai soltanto tu”.
Jo sappiamo sin dalla prima scena non avrà mai questa possibilità, è una piccola donna. Il rispetto per le sue capacità avrà davanti a sé l’ostacolo del suo sesso dall’inizio alla fine, quando capirà qual è lo strumento ideale per raggiungere la sua vittoria. Il nostro finale, la sua vittoria: quanto Nolan fece con un trucco da 4 salti in padella Findus, Greta Gerwig lo ottiene con la forza di una scrittura costante e coerente.
Avrei tanto voluto aver letto Piccole donne per individuare i meriti narrativi della regista – dopo quell’orrore di Lady Bird sono assai sorpreso da questo balzo in avanti – ma è sicuro che con rispetto dei tempi e grandi interpreti la Gerwig ha saputo strutturare le sue protagoniste senza perdere mai di vista gli elementi di crescita utilizzati per fare da scheletro alla loro evoluzione. È pur sempre una storia di formazione, Piccole donne.

Riscaldamento acceso
Con la guerra di secessione in corso le quattro sorelle March sono un esempio di virtù e modernità: la fiera Jo vuole fare carriera e scrivere, la vanesia Amy (Florence Pugh) conquistare amore e l’arte della pittura, la calma Meg (Emma Watson) sogna la recitazione con imbarazzo e la piccola Beth (Eliza Scanlen) di poter solo fare del bene senza far rumore. Ognuna divisa tra passato e presente, con la propria specifica palette.
Gerwig scalda il colore dei ricordi e raffredda la vita vissuta con la fotografia di Yorick Le Saux. Distingue due separati momenti – le timeline non lineari sono trendy – educando lo spettatore a guardare al colore. Perché non molto cambia nelle attrici nei pochi anni che dividono lo scorrere degli eventi, con vari istanti destinati alla ripetizione dovuta alle abitudini, ai movimenti costretti dagli ambienti presentati.
Le location sono introdotte nella loro totalità quando sono l’estensione dei personaggi, altrimenti le sale da ballo o i grandi giardini fanno solo da sfondo ai dialoghi. Sono una spiaggia e un mare qualsiasi su cui poggiano le colonne portanti della storia, qualche guizzo estetico a cui non puoi dir di no in talune occasioni, anche l’occhio (e le copertine Facebook) vuole la sua parte. E l’avrà, specialmente vicino al commovente climax.
In quell’istante lo spettatore smetterà di riconoscersi nei personaggi come se stesse rispondendo a un quiz Sei più Amy o più Jo? e scopre di essere stato educato dalla regista: un rapido montaggio alternato non fa paura quando conosci ogni centimetro di casa March, sei a conoscenza della maturità di Amy o dello specifico taglio di capelli portato da Jo. Sei improvvisamente uno della famiglia, entri nel club delle sorelle March ed è fantastico.

Le fantasticherie di una scrittrice solitaria
Il ricordo è un colore caldo e lo diventa anche l’immaginazione, le fantasticherie di Jo si impadroniscono della scena con la regia orgogliosa di sé per aver raggiunto il proprio scopo con un colpo di mano inatteso. Nell’ultima mezz’ora Greta Gerwig spiega cosa vuol dire essere regista e non mera esecutrice di una sceneggiatura, in chiusura la direzione artistica dimostra di esser sempre stata lì davanti a te, come una benevola presenza superiore.
Non c’è Meryl Streep che tenga né sorriso di Laura Dern ad attirare l’attenzione più della regista quando è giunta l’ora del conto. Greta Gerwig è l’artefice di Piccole donne e con lei quella Saoirse Ronan che sì, sono d’accordo a definire la Meryl Streep del futuro. Che fosse un talento straordinario lo diciamo tutti all’unisono dai lontani giorni di Espiazione e da allora di grandi film ne ha fatti. Avete mai visto quant’è brava in Brooklyn?
Fausto Vernazzani
Voto: 5/5
Ho recuperato questo film di recente e devo ammettere che il colpo di scena (?) finale mi ha annientato. Ha caricato di dolcezza e malinconia un film per niente lezioso. E’ come ho sempre pensato dovesse finire il libro e il film.
E lo sguardo finale di Saoirse Ronan (e il primo piano delle sue mani – e del suo anulare ‘spoglio’ – che stringono il suo libro finalmente edito) commovente più di tutte le altre versioni di questo film sin qui realizzate e viste.
Menzione speciale per il Laurie di Timothée Chalamet.
"Mi piace""Mi piace"
È un finale da urlo e standing ovation, c’è poco da fare. Arriva totalmente inatteso, magnifico. Non vedo l’ora di riguardarmelo dopo aver letto il romanzo, cosa che quest’anno ho proprio intenzione di fare!
"Mi piace""Mi piace"