Up (Pete Docter, 2009)

Light UP your dreams

Quando il cinema era muto, per commuovere poteva – e doveva – bastare poco. Laddove la carenza dei mezzi è stata a lungo considerata un limite, non si può negare che tanto le forme quanto i contenuti abbiano trovato spazio e realizzazione sulla scia di parametri diversissimi da quelli a cui oggi siamo avvezzi.

È ciò che André Bazin definirebbe, non a torto, scienza della chiarezza.

Up è uno di quei casi preziosi in cui l’essenza viene ritrovata con l’aiuto della tecnologia. Bob Peterson scrive, Pete Docter dirige, la Disney-Pixar ci mette il 3D.

Vertiginosa bellezza

La sensazione che ne scaturisce è un’infinita e coloratissima vertigine, un salto (o sarebbe meglio dire un volo) diretto nella vita di Carl, anziano vedovo tenacemente aggrappato a un sogno, al punto di estraniarsi dal mondo e dal tempo, che a quello stesso sogno sono stati ostili fin troppo a lungo.

Così va via, il vecchio Carl, a bordo della sua casa/nave meravigliosamente strana, tenuta su da migliaia di palloncini, verso la terra di avventure tanto agognata dalla compianta moglie Ellie, unica compagna di giochi.

Un viaggio verso l’ignoto ma anche e soprattutto a ritroso, in un cielo costellato di ricordi, dove agli adulti viene offerta l’occasione di ritrovare l’entusiasmo e la curiosità dei bambini che erano. Perché Up, ancor più di Wall-E, è un film per grandi camuffato da cartoon tridimensionale.

Il Chaplin del cielo

E la sua veste, bisogna dire, piace così com’è, con la sua apparente leggerezza e quell’innata capacità di provocare stupore nei momenti più inattesi. Un esempio su tutti: la sequenza di appena cinque minuti che riassume l’intera vita d’amore di Carl ed Ellie.

Chi l’avrebbe mai detto che si dovesse mettere mano al fazzoletto ben prima del secondo tempo? Ebbene, la casa volante fa questo e molto altro: trasporta, in una parola.

Quasi sembra di rivivere la magia chapliniana, discreta e silenziosa, di Tempi Moderni, quando il vagabondo e la monella sostavano ai bordi di una strada persa nell’orizzonte e riconquistavano la speranza con un sorriso e una sgangherata passeggiata romantica. Solo che stavolta al posto del bastone c’è un palloncino azzurro e, all’orizzonte, il Sud America.

Forse Bazin avrebbe apprezzato.

Francesca Fichera

Voto: 5/5