Questo post prende spunto dall’idea del cinecollega Viga, contenuta nel suo blog Lo spettatore indisciplinato e intitolata Mai più senza movies – I film della nostra vita (la trovate cliccando qui: lospettatoreindisciplinato/ifilmdellanostravita).
Una di quelle cose più facili a dirsi che a farsi – ultimamente mi capita spesso il contrario. Ma, come suggerisce l’amico e lettore Viga, uscendo dall’ottica della classifica ed affidandosi completamente alle suggestioni del cosiddetto ‘flusso di coscienza’, diventa più semplice farsi prendere. E, magari, prendere e basta, afferrando per la coda l’attenzione di chi, curioso, vien qui a leggere.
Dunque cominciamo e proviamo a dire tutto in 20 punti.
1
La prima cosa che mi viene in mente, collegando la parola ‘vita’ a un film, sono le lanterne: le Lanterne Rosse di Zhang Yimou -di cui ho già parlato, e probabilmente non mi stancherò mai di farlo. Questo perfetto teatrino delle imperfezioni umane, figurine vacillanti sull’orlo del baratro della mostruosità, possiede la regalità dell’Oriente unita ad una certa consapevolezza della violenza trasversale a più luoghi, fisici e mentali. È un manuale d’esistenza che è bene mettere via nei momenti in cui l’incertezza si fa sentire, ma alle cui lezioni pirandelliane bisognerebbe sempre attingere, per “salvarsi dai fantasmi”.
2
Di Charlie Chaplin invece andrebbe citata l’intera filmografia, se non altro per quel mai rinato talento nel fondere l’istinto del gioco alla maglia della logica e del raziocinio, il più lucido realismo alla speranza più luminosa: in poche parole, il pianto al sorriso e la gioia al dolore – che coesistono, come direbbe Saramago. E se per forza poetica il finale di Luci della città resta superiore agli altri, la conclusione che rende al meglio lo spirito del suo creatore, perché pregna della sua mai scanzonata spinta alla reazione, è quella di Tempi moderni. Fonte eterna di ispirazione.
3
Altri toni, di quelli che cambiano il modo di guardare (soprattutto quando le luci sono spente e ha inizio la dura lotta con i mostri notturni), ce li ha l’eterno capolavoro espressionista di Friedrich Wilhelm Murnau: Nosferatu. Visto a 5 anni, rivisto in seguito e sempre con il medesimo terrore. Di quelli che segnano.
4
The Wrestler di Darren Aronofsky è il ritorno all’immedesimazione – spesso eccessivamente ricercata nella Settima Arte, cosa per cui abbondano i rimproveri a mio carico da parte dei “puristi”. Nudo, crudo e sporco come la realtà, ma con quel tentativo di poesia in cui non posso far altro che ritrovarmi.
5
Per un certo tipo di amore, per contrassegnare un momento decisivo di crescita e di relazione, la scelta cade su Lars e una ragazza tutta sua. Diciamocelo, a suo tempo rafforzò anche la mia adorazione senza ritegno per Ryan Gosling, oggi ancora forte come allora.
6/7
Metto insieme invece Sciuscià di Vittorio De Sica e Gomorra di Matteo Garrone per il modo in cui hanno saputo dire (e dirmi) quanto l’innocenza violata riesce ad essere sinonimo di un irreversibile atto di censura nei confronti del sogno e del futuro.
8
L’inquietudine adolescenziale, la sofferenza derivata dal sogno appallottolata negli angoli del labirinto della mente: del resto, chi non ha pianto con Rebekah Del Rio nel Club Silençio di Mulholland Drive (immortale cult di David Lynch), regredendo per un momento allo stadio di giovane viaggiatore morboso della memoria? E nonostante fosse tutto falso e “registrato”, e forse proprio per questo.
9
Gli umori, i dis-sapori e gli indescrivibili dolori di un reduce: Lupo solitario di Sean Penn è la finzione che insegna ad impattarsi con il reale. E rende la norma della solitudine un po’ più speciale di quel che dovrebbe.
10
Su un tema simile a quello di Lupo solitario, ma con protagonisti meno forti e più dimenticabili del fantastico Mortensen e dell’intensa Arquette, si incastona una piccola perla del nostrano Gabriele Salvatores, realizzata per il progetto PerFiducia e intitolata Stella. Riassume se stessa – riassumendomi a sua volta – quando dice: “Una vita difficile non è una colpa. In effetti non dovrebbe essere nemmeno un alibi”.
11
Up ha a che fare con la commozione vera, di quelle sincere e “adulte” che riescono a proiettare in una dimensione futura più grande di chi guarda, quasi impensabile, eppure intuibile. E quindi possibile.
12
“Chi avrebbe mai potuto amare una bestia?” è un interrogativo al quale un bambino sa rispondere con la semplicità delle favole, pur non essendo consapevole dell’enormità con cui si rapporta e che capirà solo poi, quando sarà in grado di mettersi anche dall’altra parte, dietro le fattezze spaventose del principe senza cuore, finalmente capace di conoscersi. È questo il vero lieto fine de La bella e la bestia, quel che sento che m’appartiene.
13
Magdalene di Peter Mullan è un film che non può non cambiare chi lo vede: al di là della denuncia su cui si fonda, racconta con sapienza rara, con preziosa durezza, il danno e la reazione, l’incommensurabilità del vuoto lasciato dalla perdita – di un affetto, della giovinezza, della dignità. Mostra, senza filtrare, senza inutili convenevoli, i vinti e i vincitori, le vittime e i sopravvissuti. E di questi ultimi molti di noi fanno incoscientemente parte, anche se a diversi gradi.
14
Nel suo De brevitate vitae, Lucio Anneo Seneca sostiene che gli uomini virtuosi son tali perché temprati dalle (apparenti) ingiustizie della sorte: anziché tentare l’impossibile, ossia consolare i meritevoli colti da un fato infausto, sottolinea con disprezzo l’inutilità delle persone fortunate, perché esse non verranno mai chiamate a compiere azioni decisive per il destino del mondo. Vedere il discreto biopic La vie en rose di Olivier Dahan, dedicato alla tormentata vita della cantante francese Edith Piaf, mi ha convinta ancor di più di questa cosa, pur lasciandomi con un magrissimo premio fra le mani – che forse considererò meno magro in tempi prossimi.
15
I sentimenti di Noémie Lvovsky è una commedia amara, trovata per caso su una rete privata durante una notte piena di noia, che ha saputo dirmi qualcosa in più sull’importanza degli addii. E su quanto spesso ne vengono sanciti senza che nessuno se ne accorga, ad eccezione di chi li dà scegliendo il modo del silenzio.
16
Rashomon: rivisto in versione restaurata in occasione dell’omaggio fatto al maestro Akira Kurosawa durante il Festival di Roma del 2010, ha il valore di lezione singola ma anche di compendio di arte cinematografica, filosofia, scienza di vita. L’immagine di una perfetta architettura che riesce a sciogliere il cuore.
17
Vittorio De Sica ritorna una seconda volta per ritrarre l’umanità dei vinti – anch’essa oggetto e soggetto di un ciclico riproporsi. Il suo Umberto D ha saputo disegnare in me tutto questo superando le barriere dell’infanzia.
18/19
Steven Shainberg immortala il lato più perverso e malato dell’amore in Secretary. Dimostrando che non è sbagliato pensare alla possibilità di un fiore nato dal letame, del Bene scaturito dal Male. Qualcosa di simile sta anche fra i molteplici significati nascosti dei Racconti del cuscino di Peter Greenaway, capolavoro dall’inquietante fascino e con uno Ewan McGregor da amare (come fin da allora ho fatto).
20
Per chiudere questa lunga (eppur ridotta!) lista di 20 film che hanno in qualche maniera modificato il mio modo di vedere, dentro e oltre lo schermo, non poteva mancare il grande Federico Fellini e quel suo imperituro carosello che è 8½, che sa dire tutto di tutti, soprattutto di me: “Ma questa confusione sono io, io come sono, non come vorrei essere adesso”.
Il racconto della vita del vecchietto di Up all’alba a tradimento no. Questo non me lo dovevi fare. Mi fa piangere sempre come una fontana, non c’è verso!
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Eh, cara Vale, Up ritorna sempre, e il bello (o il brutto?) è che ogni volta è come la prima… e ci si commuove come femminucce. Diciamo che, se ti può consolare, condividiamo lo stesso tipo di debolezza ;)
– Fran
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molti sono film che conosco benissimo ed amo profondamente,faccio parte anche io della squadra che si commuove guardando Up,la scena dell’album di fotografie e tutto il resto. La commozione è il dono prezioso che la vita ci fa per farci capire che siamo vivi. Il problema è con cosa ci si commuove perchè alcuni ne han fatto merce dozzinale,però non ci devono essere problemi nel commuoversi vedendo un film, ma anche ascoltando una canzone eh…ci sono certe ballate soul e blues degli anni 70 che maddo…
Ho segnato i sentimenti e Lars e una ragazza tutta sua,che non ho mai visto
A Lanterne Rosse dovrebbero fare un monumento e anche a quel critico inglese che vi ha visto un attacco al comunismo,per via del colore delle lanterne,vagli a spiegare che Zahng Yimou è membro del pcc ^_^
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“La commozione è il dono prezioso che la vita ci fa per farci capire che siamo vivi.”
Sappi che ti citerò (e se vuoi i credits basta dirlo) :)
Avevamo già parlato di Lanterne Rosse e del nostro comune sentire, invece, mentre non sapevo affatto di questa chicca sul critico inglese, che mi rende ancora più astiosa nei confronti di quegli individui (forse più pericolosi degli ignoranti dichiarati) che non fanno altro che parlarsi addosso riempendosi la bocca di concetti che non conoscono realmente. Li schifo, senza mezzi termini.
E a te invece ti voglio bbbene, anche perché recupererai quei due film che non hai visto – e in particolare Lars, che è più reperibile dell’altro, credo ti piacerà ad alti livelli. :)
– Fran
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si,si,citami pure- basta che non sia in tribunale eh- il critico inglese fa parte della schiera di intellettuali liberali a parole sostenitore delle libertà di espressione e poi superficiali e pieno di presunzione su temi come il comunismo che non capiranno mai.
Cercherò Lars e i sentimenti,nel frattempo ho emule pieno di cose danesi e svedesi,pure la serie di Wallander :-)
ma anche io ti lovvo,viviamo sempre in una eterna summer of love,maddo come siamo pucciosi!
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ma LOL :D
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