The Stand - CineFatti

The Stand, un diario: Episodio 8

Per l’amor di dio, fate finire the Stand

Insomma, the Stand giunge alla sua conclusione naturale. Ora tocca attendere il prossimo 11 febbraio per conoscere quella artificiale prodotta quarant’anni dopo la pubblicazione, da Stephen King stesso. Prima di arrivare alle aspettative sul finale allungato, devo mettermi l’anima in pace e affrontare la pagliacciata caricata su CBS All Access giovedì scorso. Parrocchiale pagliacciata, the Stand va distrutto senza alcuna pietà.

Ha raggiunto vette talmente ridicole da essere causa involontaria di innumerevoli risate, nonché di parecchia rabbia, perché, come già scritto nelle passate pagine, non si è fatto alcun approfondimento. Con l’esplosione del caso Marilyn Manson, ho ripercorso alcune interviste e indiscrezioni passate, questo per scoprire se la CBS non avesse cancellato Manson dalla miniserie perché sapevano chi era: un chiavico, perché molestatore si dirà dopo la condanna.

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Glen in gabbia.

Il personaggio peggio trattato da the Stand è infatti legato a Manson, Pattume. Nel romanzo prima di arrivare a New Vegas da Randall Flagg, affronta un lungo viaggio con lo psicopatico the Kid che proprio Manson avrebbe dovuto interpretare. La produzione ha addotto motivi di budget per la cancellazione di Manson e anziché cercare un sostituto economico da ingaggiare, si sono limitati a strappare le pagine che lo riguardavano

È una mia supposizione, può benissimo non corrispondere alla realtà. È il mio cervello che lavora lavora e tenta di trovare una ragione alla follia vista sullo schermo, un capolavoro inverso di sceneggiatura. Ok, è percepibile che la sto tirando per le lunghe per evitare di ripercorrere il dolore causato da questo tremendo adattamento de L’ombra dello scorpione, ma quanto ho iniziato il 19 dicembre deve essere portato a termine. Forza e coraggio!

I tre porcellini

Il trio è incarcerato a New Vegas in attesa di essere processato. Fiona Dourif presiede il tribunale e Nat Wolff è l’ufficiale giudiziario incaricato di eseguire la sentenza. Sul banco degli imputati Irene Bedard siede terrorizzata e lagnosa, Jovan Adepo immerso nel suo mentale posto felice, Greg Kinnear impegnato a prendere sul serio un copione che più atroce non si può. È il bene nelle mani del male, cosa potrà mai succedere?

Mistero della fede! Qual modo di dire è più adatto in questa situazione? Non certo questo, perché di fede non se ne parla affatto. In sette episodi non abbiamo mai compreso chi fosse davvero Mother Abagail né che ruolo avesse come emissaria del padreterno, né ci è stato dato alcuno strumento per identificare in maniera adeguata i cittadini di Boulder come buoni e gli abitanti di New Vegas come cattivi. Fede? È un concetto fin troppo astratto.

È di paura che dovremmo parlare e per un istante Glen Bateman (Kinnear) ci prova: in Boulder sono accecati dal timore reverenziale per Mother Abagail, mentre in New Vegas striscia silente il terrore per Flagg. The Stand purtroppo a malapena accenna alla paura del sacro, preferendo impostare il discorso su un placido bianco e nero. Glen nomina la paura che attanaglia le due fazioni, Ray lo zittisce dicendo che a Boulder “sono cattivi”.

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Fiona Dourif fa la ramanzina a Nat Wolff.

Le verità nascoste

Il sovrannaturale è incompreso in the Stand. Glen nel capovolgere a suo favore il tribunale di New Vegas domanda apertamente a Lloyd cos’è che lo spaventa di Flagg e la risposta è mortificante: può volare e ha mangiato un uomo. Tutto qua. Eppure Randall Flagg ha liberato Lloyd col pensiero, è apparso nei sogni di centinaia e centinaia di persone, ha occhi per vedere le azioni di chiunque sul suolo americano. Vola, terrificante.

Lloyd ha ragioni abbastanza scarne per temere il suo boss, eccezion fatta per le viscere sbranate di Bobby Terry. È poco per definire esattamente il potere di Flagg sui cittadini di New Vegas alla vigilia della totale distruzione. Intanto Bateman è ucciso in un momento di debolezza di Lloyd e il duo sopravvissuto attende la condanna a morte. O meglio, Larry l’attende con classe e dignità, Ray piagnucolerà per l’intero episodio senza dare mai alcun contributo.

Curioso, proprio la donna che ha affiancato Mother Abagail per mesi ha la fede meno salda. Chiudiamo qui con Ray, altra verità nascosta della serie, un personaggio che come la giudice Farris finisce per essere solo un esempio di tokenism nelle produzioni audiovisive: cambiato il sesso a un personaggio solo per aumentare la quota rosa, senza però dare ad alcuna delle nuove donne un ruolo di rilievo. Ray appare più di Farris, ma vale altrettanto.

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Quanto mi dispiace per Greg, lui ci ha provato.

Rappresentatività

È esclusa dal comitato pur essendone parte nel romanzo, è esclusa dai flashback che possano raccontarne il passato oppure l’arrivo a Boulder. È una presenza utile esclusivamente come corpo: una donna nativa americana. Stop. La sua utilità svela quel progressismo sbandierato all’inizio e poi gettato al vento. Eppure Rita Blakemoor stravolgeva il ruolo della donna lagnosa e debole del romanzo per presentare un personaggio solido e fuori dagli stereotipi.

Un ragionamento simile lo potremmo fare accostando Tom a Pattume. Naturalmente parliamo di due personaggi differenti: il primo nasce con una disabilità intellettiva ed è però correttamente rappresentato come un essere umano reale che cresce e diventa adulto, il secondo soffre di disturbi della personalità acuiti dalle vessazioni subite. Il disturbo di Pattume è esasperato al limite del realismo, rasenta la massima vetta dello stereotipo del pazzo.

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Julie Lawry è inconsistente, ma dopo Frannie Goldsmith e Amber Heard è il personaggio femminile con maggior screen time della miniserie. Con buona pace di Ray, Dayna e Mother Abagail.

Il peggio però è toccato ad Amber Heard. Arrivata e ingravidata da Flagg nel deserto antistante New Vegas, sfoggia quella pancia da nono mese a destra e manca e la sbatte in faccia a Larry con un sottinteso: “potevi essere tu”. Larry uomo tutto d’un pezzo raccoglie il guanto della sfida e per convincere Nadine di aver commesso un errore prende la prima superficie riflettente che trova e le dice di guardare com’è diventata fisicamente.

È emaciata, chioma candida e occhiaie pesanti: Nadine è diventata… trascurata? Scusate, ma brutta è un aggettivo che non riesco ad associare ad Amber Heard. E neanche dovrei preoccuparmene, perché è assurdo come Nadine cambi idea sulla sua condizione di regina dell’Inferno solo perché si è vista brutta su un vassoio. Clavell, Boone, sul serio? Giorni a New Vegas, luogo pieno di vetri e specchi e Nadine non si è mai vista riflessa? Possibile?

Brad Dourif II

Voglio arrivare presto alla conclusione e per farlo mi servirò del sosia di Brad Dourif. Lo vediamo inizialmente nel pubblico del processo, un uomo sulla sessantina con una camicia color borgogna. È lì che si gode lo spettacolo finché le parole di Bateman non gli danno da pensare. Non lo dice, ma è inquadrato talmente tanto da rendere inutile qualsiasi dialogo. Rispunta successivamente in più occasioni, fino all’esecuzione di Larry e Ray.

Esecuzione che ha del paradossale. Abbiamo visto gente crocifissa e uccisa da motoseghe, sbranata da Flagg e ora come faranno fuori due spie di Boulder? Li affogheranno nella piscina. Ok. Sugli spalti a guardare abbiamo proprio Brad Dourif II, sconcertato come noi davanti al balletto improvviso di Flagg (gesù!) ed è chiaramente il simbolo della caduta di New Vegas: il regista Vincenzo Natali continua imperterrito a inquadrarlo.

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Randall Flagg prima di esibirsi in un balletto, letteralmente.

Ovviamente Larry regge il confronto con Lloyd e con le mani incatenate inizia a urlare Non temerò alcun male e guarda caso Brad Dourif II sarà uno dei primi a ripetere quelle parole. Oh, chi lo avrebbe mai detto che era sul punto di pentirsi. Sapete cosa però lascia capire che sotto sotto Dourif II è buono? L’abbigliamento, è ovvio. Al contrario degli altri abitanti di New Vegas lui è vestito in modo abbastanza sobrio, non come gli altri. Esibizionisti!

Brad Dourif II è l’esempio di tutto ciò che c’è di sbagliato in the Stand: una ode alla morale del wasp. Noi crediamo che sia il 2021 e per quanto gli sceneggiatori con un fesso riferimento a Game of Thrones vogliano convincerci che l’anno è quello, in realtà siamo negli anni Cinquanta. La sensazione è quella e il Dio qui presente è ancor più vecchio: vendicativo e pronto a fare strage come già fece millenni fa con le due città di Sodoma e Gomorra.

Il fatto che la mano gigante di Dio appaia anche in questa versione di the Stand è uno dei passaggi meno ridicoli e rilevanti. Mi preoccupa come nel 2021 si creda di dover ancora rappresentare la sete di sangue del padreterno, che fulmina e trucida ogni abitante di New Vegas con dei fulmini castigatori, annientando definitivamente anche gli scappati facendo saltare in aria la bomba atomica recuperata da Pattume nel mezzo del deserto.

Giù nel pozzo

Ed eccoci qui, nemmeno vi ho raccontato ogni sviluppo della storia, ma si risolve così: i cattivi muoiono male. Però pure i buoni, perché Larry e Ray sono al centro del fungo atomico che regalerà un magnifico inverno nucleare ai cittadini di Boulder. Ehi, sceneggiatori, ci avete pensato che un’atomica del 2021 potrebbe essere leggermente più potente di quelle utilizzate 40-60 anni fa? Perché mi sa che baby Frannie uscirà più morto che vivo.

Aspettative per il futuro? Mah. Sappiamo che Tom riporterà Stu sano e salvo a Boulder, potremmo vedere Nick nelle visioni del ragazzone interpretato da Brad William Henke e dovrebbe nascere il bambino di Frannie. Lei sarà la protagonista indiscussa, perché a quanto pare King nei decenni si è accorto di aver maltrattato quel personaggio ed era intenzionato a cambiare ancora una volta il suo romanzo epico. Come lo farà è un mistero.

Così come è un mistero la presenza di Moire Kiyingi. Cercando il vero nome di Brad Dourif II – dovrei spulciare i titoli di coda – sull’imdb ho notato la presenza di Kiyingi come madre di Abagail. Hanno tagliato dei flashback che spiegassero la natura della centenaria? Possiamo sperare in una edizione estesa di the Stand in cui figureranno spezzoni lasciati sul pavimento della sala di montaggio? Oddio, sperare è una parola grossa.

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Vedremo…

Sfoglia le pagine del diario:

Episodio 1, The End (Josh Boone)
Episodio 2, Pocket Savior (Tucker Gates)
Episodio 3, Blank Page (D. Krudy e B.S. Cole)
Episodio 4, The House of the Dead (D. Krudy e B.S. Cole)
Episodio 5, Fear and Loathing in Las Vegas (Chris Fisher)
Episodio 6, The Vigil (Chris Fisher)
Episodio 7, The Walk (Vincenzo Natali)
Episodio 8, The Stand (Vincenzo Natali)

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11 pensieri su “The Stand, un diario: Episodio 8

  1. Mio Dio, il balletto di Flagg… in quel momento ho proprio riso, ha distrutto qualsiasi seppur minima credibilità che il personaggio poteva avere. A me andava anche bene che fosse vestito in jeans con la pettinatura cool, ma il balletto proprio no.
    E’ curioso che nell’episodio si citi Game of Thrones, visto che secondo me hanno lo stesso problema: a un certo punto pestano l’acceleratore sulla trama, partono in quarta fregandosene dei personaggi e del worldbuilding e se le cose non hanno senso pazienza: tanto ci sono i draghi (o la gente che fa sesso a New Vegas).
    Quello che mi scoccia è che, alla fin fine, che il commando di Boulder parta o non parta è indifferente: alla fine è Dio a distruggere Flagg e New Vegas, aiutato da Pattume che porta la bomba in città, cosa che, mi viene da pensare, avrebbe potuto fare anche prima se proprio gli davano così fastidio. Perché aspettare ora? Perché la gente si è “ribellata”? Perché Larry ha dimostrato la sua “fede” accettando il sacrificio nella piscina? Almeno nel libro c’era una sorta di climax con le tensioni tra i seguaci di Flagg che scatenano una sua reazione che sfugge di mano e distrugge tutto.
    Ancora una volta è tutto troppo veloce e buttato lì, come anche il pentimento di Lloyd, che giunge di punto in bianco senza che nulla, prima, lo avesse mai fatto presagire.

    Nadine in realtà si era vista allo specchio anche nello scorso episodio, sull’ascensore, ma lì si vedeva ancora florida e bellissima; qui non ho capito perché, di punto in bianco, si veda per come è in realtà. E’ la magia di Flagg che vacilla? La sua fede in lui?

    "Mi piace"

    1. Vedo che anche tu sei pieno zeppo di punti interrogativi, è in pratica una narrazione irrisolta. Il romanzo in mille pagine almeno dà delle ragioni, anche se spesso sono abbastanza sceme. Davvero rivalutato L’ombra dello scorpione e pensare che era il mio preferito da ragazzo. Bisogna uccidere i propri eroi non c’è nulla da fare.

      Mi trovi concorde sul parallelo con GoT, stesso identico problema, ma qui in piccolo e quindi ancora peggio. Vien da piangere al pensiero di quello che avrebbero potuto fare e hanno deciso di lasciare fuori la porta. Tu hai una qualche curiosità per il nuovo finale? Personalmente mi è morta tutta, anche perché hanno ancora materiale dal romanzo da poter sfruttare e ridurre il “nuovo” a poca cosa.

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      1. Non ho curiosità o aspettative di sorta: tutto l’interesse che mi era sorto con i primi episodi mi è abbastanza morto. Alla fine penso che Frannie diventerà la guida di Boulder, mi sembra l’unica cosa sensata visto che King ha promesso qualcosa di grosso per lei senza che le sia mai stato dato granché durante la serie: non ha mai avuto altro oltre al consiglio di Boulder, un lavoro, interessi, relazioni, perfino qualcosa di soprannaturale, insomma qualsiasi cosa!

        Come ho già detto più volte, non sono un fan del romanzo, per cui il mio interesse verso la serie era dettato solo dal nome di Stephen King. Anche per questo non sono troppo arrabbiato per la sua riuscita mediocre; ovvio che mi dispiaccia, ma in realtà il distacco era sufficiente da farmi prendere la cosa con molta filosofia, e credo che mi vivrò allo stesso modo l’ultimo episodio.

        In giro però si è parlato pochissimo di questa serie, mi pare, per cui credo che la freddezza nei suoi confronti sia un sentimento piuttosto condiviso.

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