Il salto verso la fantascienza di Leigh Whannell
Ricordo ancora quando scoprii chi tra Gondry e Jonze era il vero genio, fu quando entrambi si separarono dal genio (bis) di Charlie Kaufman. Le collaborazioni artistiche rivelano il talento dei singoli quando si spezzano e ora in sala con Upgrade scopriamo finalmente se la penna Leigh Whannell vale senza la regia dell’artigiano malese James Wan.
Il paragone ovviamente non sta in piedi – Kaufman è lassù con Chayefsky, D’Amico e altri nella terra dei giganti – ma il concetto resta e Whannell dopo tanti anni alle prese con storielle scritte sul filo del rasoio e rese entusiasmanti dall’occhio di Wan si dimostra capacissimo di gestire il repertorio immenso di cliché per farne un ottimo prodotto cinematografico.
Il mondo dei fantasmi tecnologici
Orrore e fantascienza volenti o nolenti raccontano entrambi la sfida dell’uomo contro la morte. Da un lato si tenta di sopravvivervi col soprannaturale, dall’altro è la ricerca scientifica a tentare di sconfiggere il peggior nemico dell’essere umano. Upgrade a suo modo non fa differenza, è un futuro dove la tecnologia cerca di migliorare il corpo e superare la sua inefficienza.
È il classico gioco dell’invidia verso la macchina, l’uomo cerca “Dio” e vuole essere un suo pari, ma non Grey Trace (Logan Marshall-Green lo ricorderete in Prometheus e Mentre morivo). Ancorato nella bellezza analogica delle automobili d’epoca fugge dall’innovazione, finché non arriva il momento di cercare vendetta per la moglie assassinata.
Diventa quindi necessario affidarsi a un guru tecnologico (Harrison Gilbertson, stereotipo del genio recluso) per potenziare il proprio corpo distrutto impiantando una AI capace di co-gestirne le funzionalità. Il risvolto finale ovviamente è una sorpresa – per davvero – che mi ha fatto pensare a un horror recente. Aspetto futuri sequel per scoprirne gli sviluppi!
Grey Trace tra John Wick e Nada
Il revenge movie è vecchio come il cucco, eppure oggi il nuovo standard è John Wick e con lui è necessario realizzare un primo confronto: Leigh Whannell è ancora alle prime armi (Insidious 3 si abbevera alla sorgente di Wan) ma si ambienta subito nel revenge estetizzante, color correction pesante e contrasti forti degni della nuova moda targata Leitch e Stahelski.
La distanza se la prende non con l’ironia – ormai un marchio di fabbrica del genere da oltre un trentennio – ma con un pizzico di carpenterismo, infondendo nella sua storia una trama orizzontale sepolta non troppo in profondità e riflessa nella semplice azione di superficie. Essi vivono e 1997: Fuga da New York sono gli avi a cui guarda con ammirazione Upgrade.
È la fantascienza, baby
Resta un prodotto Blumhouse e come tale gode di un budget non elevato – e tante, tante speranze di poter diventare un franchise – sfruttato da Whannell senza sprechi. Upgrade è indiscutibilmente futuristico nel design (ne rappresenta almeno una visione) e nei dettagli, soprattutto però lo è nel coreografare l’azione e i risultati di quest’ultima.
Sfiora somiglianze con Matrix e il debito con Gareth Evans, Yayan Ruhian e Iko Uwais, nei movimenti col primo e nell’uso della macchina da presa col gruppetto indonesiano. L’azione non è solo messa in mostra senza eccessivi stacchi di montaggio, ma anche seguita con l’obiettivo nelle direzioni più disparate prese da Marshall-Green e i suoi antagonisti.
Cazzotti per chi?
Se manca qualcuno quello è proprio un villain riconoscibile. Nada aveva gli alieni e il consumismo sfrenato, John Wick un ottimo Michael Nyqvist – manca, assai – mentre a Grey Trace tocca aspettare il finale per capire chi è il vero avversario.
Certo, ci sono i colpevoli dell’omicidio della moglie, ma sono così sottili da non rappresentare né una minaccia né meritare rispetto.
È forse in questo che Upgrade si perde un po’, nel non avere alcun elemento “umano” a cui aggrapparsi oltre Logan Marshall-Green (debole anche l’agente di Betty Gabriel), tuttavia l’azione e la spigliatezza della storia col suo gioco nascosto – è sempre l’autore di Saw – ne fanno un piccolo grande film d’intrattenimento da cui aspettarsi un discreto futuro.
Fausto Vernazzani
Voto: 3/5