Unsane - CineFatti

Unsane (Steven Soderbergh, 2018)

Soderbergh e l’iPhone: ennesima sperimentazione di un regista eclettico

Steven Soderbergh aveva annunciato alla Berlinale 2013 il suo ritiro dalle scene cinematografiche come regista presentando quello che doveva essere il suo ultimo film, Effetti collaterali, un thriller di denuncia contro l’abuso di farmaci.

Il regista, invece, è ritornato successivamente con ben due film, La truffa dei Logan e l’appena uscito Unsane, presentato fuori concorso alla Berlinale 2018. L’Italia è uno degli ultimi paesi a poter vederlo al cinema (siamo davanti solo alla Francia e alla Polonia) grazie alla distribuzione della 20th Century Fox.

La fine dell’esilio dal set è ulteriormente confermata dal fatto che Soderbergh ha in pre-produzione altri due film: girato a tempo di record e in uscita entro la fine dell’anno abbiamo High Flying Bird, con André Holland, già attore per lui nella serie The Knick, e The Laundromat, film incentrato sui Panama Papers, ancora in fase di casting che vanta, al momento, Meryl Streep, Antonio Banderas e Gary Oldman tra gli interpreti.

La malasanità in soggettiva

Soderbergh ormai ci ha abituato alle sue sperimentazioni come, ad esempio, la serie Tv Mosaic dove grazie allo scaricamento di una applicazione sullo smartphone (non disponibile in Italia) si può guardare il serial in modalità anche interattiva oltre che nella classica linearità. Anche con Unsane il regista ha voluto provare a girare completamente con uno strumento alla portata di tutti, l’iPhone (per la precisione tre iPhone 7 Plus).

Qui ha per protagonista assoluta Claire Foy – la regina Elisabetta II di The Crown – e non si distacca moltissimo dagli argomenti trattati in Effetti collaterali, mettendo alla berlina aziende sanitarie private che costringono persone anche in buona salute a ricoverarsi, intascando il denaro dell’assicurazione, denunciando un sistema corrotto e mal funzionante.

Ma qui sono tutti pazzi…

Sawyer Valentini (Foy) è una ragazza che si è trasferita da Boston a causa di uno stalker. Una sera, durante un appuntamento combinato grazie a Tinder, la ragazza si tira indietro prima di consumare il rapporto col partner. Ciò la porta a chiedere supporto a una clinica psichiatrica, la Highland Creek Behavioural Center.

Purtroppo un semplice consulto si trasformerà in una degenza, all’inizio di 24 ore e successivamente aumenterà a ben sette giorni con una diagnosi: Sawyer ha tendenze suicide ed è quindi un pericolo per sé stessa e per gli altri. Perché?

Perché Sawyer scopre che tra i paramedici c’è proprio il colpevole dello stalking che l’ha costretta a cambiare città e a rivolgersi alla clinica, David Strine (Joshua Leonard), e nel cercare di farlo notare agli altri medici, in maniera non proprio ortodossa, viene sedata e punita col prolungamento della permanenza.

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…compresi i medici?!

La caratteristica del film è l’ambiguità: tutti noi, empaticamente, ci teniamo alle sorti di Sawyer, ingiustamente rinchiusa in una clinica psichiatrica, ma è davvero così? Cosa è vero e cosa no di quello che stiamo vedendo? Sawyer è davvero così sana come dà a vedere? Alla fine lo stress di uno stalking continuo è un trauma fortissimo.

L’iPhone, in fondo, è l’emblema della realtà soggettiva. Non è un caso che Soderbergh utilizzi questo strumento per girare un film come Unsane dove tutto ciò che è rappresentato può essere frutto di una paranoia o essere reale.

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Tutti noi utilizziamo il cellulare per fare foto o video da postare sui nostri profili social con l’obiettivo di esibire la realtà che decidiamo di voler mostrare. Anche Soderbergh lavora su questo con le sue inquadrature in alta definizione, quasi sempre fisse.

Ci mostra nei dettagli tutti i soprusi subiti da quella che lui vuole mostrarci come l’eroina che, però, sarà in grado di reagire e riprendere in mano la situazione in un modo che potrebbe ribaltare la considerazione che lo spettatore ha avuto di lei fino a quel momento.

Dentro la follia

Unsane è un ottimo thriller, con qualche spruzzata di horror (e anche di gore), appassiona e provoca anche qualche brivido e sorpresa, soprattutto nel finale.

Gran merito va alla sceneggiatura di Jonathan Bernstein e James Greer che riescono a tenere alta l’attenzione dello spettatore e a fargli vivere i giorni da incubo della protagonista con partecipazione e pathos.

Claire Foy è poi artefice dell’interpretazione meravigliosa di un personaggio dalle mille sfaccettature, una ragazza fragile ma allo stesso tempo determinata a risolvere il suo problema, costi quel che costi.

Roberto Manuel Palo

Voto: 4/5

 

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