The Post, sulla libertà di stampa.
Lunedì 15 gennaio, al cinema Odeon di Milano, si è tenuta l’anteprima nazionale dell’ultimo film di Steven Spielberg: The Post, in uscita nelle sale il 1° febbraio. Io ci sono stato.
Una bella esperienza, anche se non è stato possibile assistere al red carpet e Steven Spielberg, Tom Hanks e Meryl Streep hanno concesso solo cinque minuti di chiacchiere prima di andarsene. In compenso ci ho guadagnato una bottiglietta d’acqua con l’etichetta del film (asd).
Una celebre decisione
The Post narra la storia vera di una decisione da prendere, la vera protagonista del film. Siamo nel 1971 e bisogna scegliere se pubblicare o meno i Pentagon Papers, documenti top secret sulla guerra del Vietnam del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti copiati da Daniel Ellsberg (Matthew Rhys) economista che lavora al Pentagono.
Il New York Times per primo divulga parte dei Papers ma incappa quasi subito nel divieto di pubblicazione emanato dalla Corte Suprema. Ora spetta al Washington Post e, in particolare, alla editrice Kay Graham (Streep) e al suo direttore Ben Bradlee (Hanks) prendere questa importantissima decisione che salvaguarderà la libertà di stampa dando un duro colpo alla presidenza Nixon.
Ritorno al passato
Sappiamo tutti che Spielberg, prima della salita di Trump al potere, era al lavoro su un altro progetto. La presidenza Trump lo ha spinto a cambiare idea e mettersi al lavoro su The Post, portando con sé una delle anti-trumpiste più accese: la Divinità cinematografica Meryl Streep. La quale non a caso interpreta il ruolo di una donna forte capace di imporsi su un mondo prettamente maschile.
Durante tutto l’arco del film si respira il pericolo che tutto quello che è accaduto in quel 1971 stia per riaccadere di nuovo – qualcosa che quello che sentiamo tutti i giorni al telegiornale a suo modo ci conferma. The Post è di un’attualità pazzesca. Ma come è la confezione?
Partiamo dai costumi: meravigliosi. Anne Roth ha fatto un lavoro meticoloso, curando anche il minimo dettaglio dell’abbigliamento di tutti i personaggi, protagonisti e comprimari; da nomination agli Oscar.
Non c’è nulla fuori posto. L’occhio vuole la sua parte e con The Post viene soddisfatto ampiamente non solo da un punto di vista registico. Vanno menzionate infatti anche le scenografie di Rena DeAngelo, fotografate perfettamente da un ispiratissimo Janusz Kaminski. Io dico sempre che se il set è allestito bene, il direttore della fotografia non può far altro che dare il meglio di sé.
Divinità e santi
Mi sembra inutile parlare della Dea e del Divino, invece mi preme fare i complimenti a tutti gli attori comprimari, dai cinque minuti di Sarah Poulson (American Horror Story) nei panni della moglie di Ben Bradlee all’interpretazione a mio avviso straordinaria di Bob Odenkirk (il Saul Goodman di Breaking Bad e Better Call Saul) aka Ben Bagdikian, personaggio tutt’altro che secondario- è colui che si procura i Papers e li consegna a Bradlee – per arrivare a Carrie Coon (The Leftovers) nel ruolo di Meg Greenfield.
Possiamo dire che Ellen Lewis, in fase di casting, ha fatto un lavoro straordinario.
L’unica nota dolente di The Post, film essenzialmente dialogico, è nella mancanza di ritmo che riguarda proprio i dialoghi, specialmente nella parte centrale del film. Non si è ai livelli (bassi) di David O. Russell, però una maggiore dinamicità sarebbe stata gradita. Del resto solo Sidney Lumet è riuscito a far diventare adrenalinici i 110 minuti di dialoghi de La parola ai giurati.
Non prendete impegni per il 1° febbraio
The Post si trasforma drasticamente a partire dal momento della pubblicazione dei Papers stanno per essere pubblicati, proponendo una fase finale molto gradevole che comincia con la bellissima scena in cui le rotative all’azionarsi delle rotative al piano terra il piano superiore trema tutto, metafora perfetta dell’America sconvolta dallo scandalo.
Le scene finali funzionano anche grazie all’incalzante colonna sonora di John Williams. A questo punto del film sembra veramente di essere catapultati in un action, nonostante sullo schermo si alternino solo le immagini delle rotative e di un tribunale, che ci accompagnano fino alla conclusione ed a un soddisfacimento complessivo che fa dimenticare quella parte centrale un po’ debole.
Ripeto, The Post esce nelle sale il 1° febbraio e dovete andare a vederlo. Chi dice che Spielberg non fa più un buon film da Prova a prendermi potrebbe finalmente riappacificarsi con lui.
Roberto Manuel Palo
Voto: 4/5
Sono d’accordo su tutto, tranne sul fatto della colonna sonora. A mio avviso Williams nel finale esce un po’ dal seminato, ma è una mia opinione personale sia chiaro😉😀
Per il resto non posso che concordare su quanto hai scritto
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Io, più che un’uscita dal seminato, lo considero un gradevolissimo cambio di registro che, in quel momento, ci voleva (ed è voluto) perchè l’uscita dei Papers è come l’inizio di una battaglia che poi si svolge in tribunale. Tutto la pellicola è incentrata sui preparativi e le strategie di battaglia, quindi Williams, come dire, si tiene “tranquillo” e, poi, quando la guerra inizia, si scatena, una reazione che ci sta in pieno. Almeno io così l’ho interpretata :)
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