Peninsula - CineFatti

Peninsula apre il diaframma

L’anello debole della trilogia zombie di Yeon Sang-ho

Quando Yeon Sang-ho disegnò il primo tratto della sua trilogia zombie con Seoul Station aveva chiaramente qualcosa da dire. L’affondo socio-politico non era un sottotesto, né un pretesto, per rimanere in rima: la storia era incentrata sulla disastrosità del sistema di welfare sud coreano, quella crepa nella società che rendeva impossibile alle fasce deboli di uscire dalla loro disgraziata situazione. È un pugno nello stomaco.

Il pregio di Train to Busan fu quello di dare un volto al distacco dall’umanità – sostantivo e aggettivo – delle classi agiate. La linearità del treno come strumento di appiattimento della società, una livella per dirla à la Totò, fu il colpo di genio che dette modo a Yeon Sang-ho di esasperare l’action in live action e concentrarsi dunque su un blockbuster che fosse anche grande intrattenimento e non solo un dramma horrorpolitico come Seoul Station.

Ora siamo al terzo capitolo e Yeon Sang-ho ha ulteriormente aperto il diaframma. In termini fotografici all’apertura del diaframma corrisponde un restringimento della profondità di campo, mettendo a fuoco una porzione limitata della vetrina politica finora evidenziata da Seoul Station a Train to Busan. Spostandosi geograficamente, è come se Yeon Sang-ho si fosse allontanato su Google Maps, riducendo i dettagli letteralmente al minimo.

Stringiamo sul soggetto

Così giungiamo a Peninsula, dove la terza città della Corea, Incheon – l’ho in bucket list per il suo aeroporto – è la nuova protagonista dopo la capitale Seoul del primo e la portuale Busan verso cui si è indirizzato Yeon Sang-ho nel secondo. Per soddisfare quale narrazione? Nessuna. L’aura socio-politica abbandona del tutto la trilogia a favore del consueto plot universale di facile appeal per una platea globale: buoni contro cattivi.

Visualizza immagine di origine
Prossimo capitolo a Daegu? Quarta città sud coreana, protagonista dell’epidemia di Covid-19 nel 2020.

Sono passati quattro anni dall’esplosione dell’epidemia zombie e la penisola è stata chiusa in quarantena per evitare che il virus si diffondesse nel resto del mondo. I coreani sono dei rifugiati sparsi per l’Asia e il nostro protagonista è la superstar Gang Dong-won, ex-soldato afflitto dal ricordo della sorella e del nipote morti praticamente sulla soglia della salvezza. Ma siamo a Hong Kong e come ci arriviamo a Incheon? Semplice, ammerecani.

Yeon Sang-ho ammicca agli sfottò antistatunitensi (capitalisti) presenti in the Host e Okja dando agli english speaker il ruolo di goccia nel vaso traboccante: su un ponte a Incheon vi è un camion con 20 milioni di dollari, chiunque lo recuperi se ne prenderà la metà esatta. Vuoi che l’amico interpretato da Gang Dong-won non si cimenti nell’impresa per accompagnare il cognato sopravvissuto e due anonimi expendable a battersi contro gli zombie?

Visualizza immagine di origine
Gang Dong-won col taglio scombinato dell’uomo in lutto

Ammiragli e capitan ovvio

È scontato che a Incheon la missione solo all’apparenza facile incontri delle difficoltà, è ovvio che a Incheon vi siano dei sopravvissuti organizzati in micro-società paramilitari. Niente di originale, però è forse questo che importa? No, la storia fila liscia e ogni pezzo si incastra là dov’è previsto dagli standard della comunità internazionale degli stereotipi, senza nulla togliere al godimento dell’azione, per carità. Ma è un divertimento volatile.

Come regista live action Yeon Sang-ho non ha ancora provato alcunché. Sì, Train to Busan merita, però in quel caso la situazione da lui tratteggiata a bordo del treno gli è venuta in aiuto con la sua innata dinamicità, ma già col netflixiano Psychokinesis il castello di carte è crollato. Peninsula è un film d’azione assai inferiore alla media del cinema coreano, tutt’altro discorso invece per chi è abituato solo agli amici d’oltreoceano.

Il ritmo delle scene action lo definirei adeguato, con una connotazione non troppo positiva. Basta a tenere attivi sguardo e mente dello spettatore, non però a intavolare un discorso formale o contenutistico degno di essere in seguito ricordato; tolta la metafora socio-politica di Train to Busan mi accorgo di quanto poco vi sia in Peninsula per cercare di dargli alcun peso in qualsiasi discorso, è uno snack senza infamia e senza lode.

Visualizza immagine di origine
Lee Jung-hyun, sopravvissuta all’apocalisse… fino a Peninsula

Una ulteriore differenza, in questo caso anche pecca, è l’assenza di un contatto empatico coi personaggi. A bordo del treno facevamo il tifo contro alcuni e ci innamoravamo di Ma Dong-seok, colpo di fulmine per chi lo ha incontrato qui per la prima volta. Lo ha notato persino la Marvel, cambiandogli il nome in Don Lee. Gesù, che orrore. In Peninsula dovremmo forse interessarci al protagonista? Alle ragazzine? Difficile farlo, per una ragione.

Train to Busan aveva sì e no solo un paio di personaggi sulla cui sopravvivenza si poteva scommettere, il resto era soggetto al rischio e ai pericoli dell’imprevedibilità di un’apocalisse zombie. Nella situazione di Peninsula ormai i non-morti hanno subito un certo livello di addomesticazione: sono una carta conosciuta, si riesce a convivere con loro, dunque sai quale destino attende ognuno dei personaggi. Investire su di loro non darà sorprese.

Persino volendo considerare le sue ambizioni commerciali non vi è molto da valutare. La scelta di Gang Dong-won cade forse per la sua presenza in altri film a distribuzione internazionale come Illang di Kim Jee-woon su Netflix, ma la sua fama è dovuta principalmente al migliore A Violent Prosecutor (qui sotto), con grandi incassi solo in patria, ed è dura vendere il suo ruolo da protagonista al di fuori della cerchia dei cinefili filo sud coreani.

Gang Dong-won in un’iconica scena di A Violent Prosecutor

Inoltre sembra non aver imparato la lezione proprio dal film-origine: se Train to Busan ha avuto tanta fortuna a livello globale è anche per l’universalità e la semplicità con cui ha toccato importanti temi politici. La situazione della Sud Corea degli ultimi trent’anni è un melting pot di guai capitalisti socio-economici di cui l’intero mondo occidentale soffre, la differenza è che in quel paese sanno raccontarlo meglio.

Eliminare proprio questa carta è un errore madornale. Lo stesso Parasite a cavallo fra 2019 e 2020 ha conquistato il mondo con la sua rappresentazione delle disuguaglianze. Se Peninsula avesse mantenuto fede alle promesse di Seoul Station e Train to Busan poteva in questo momento capitalizzare su quel successo, invece di essere battuto al box office persino in casa sua, dal thriller Deliver Us from Evil, di gran lunga più attraente.

Deliver Us From Evil è il secondo maggior incasso domestico sud coreano del 2020, dopo the Man Standing Next

Ed ecco dove credo stia l’errore: non importa in quale angolo di mondo abbia origine l’idea, al giorno d’oggi si confonde il termine globale con vuoto. Si considerano specifiche tematiche troppo locali, troppo personali, troppo ermetiche per essere comprese da una sala in Germania e una in Singapore allo stesso modo. È un errore tipografico, perché viviamo l’era glocale e cancellare non fa che creare distanze anziché degli utili ponti.

Spesso e volentieri “l’altra parte del mondo” la leghiamo un immaginario quasi ottocentesco. L’esotico oriente, così come noi dobbiamo essere per loro l’esotica vecchia Europa. Vi sono sostanziali differenze, è ovvio, ma il sistema su cui i nostri mondi si reggono non sono poi così distanti l’uno dall’altro e il cinema destinato a un largo consumo dovrebbe iniziare, anzi, ritornare a tenerne conto. Ne va della sua stessa qualità.

Peninsula è un film di cui si può fare a meno. Quanto mi interessa invece è the Cursed, una serie tivvù in 12 episodi scritta da Yeon Sang-ho e a giudicare da quel che ho letto della trama, siamo in un territorio degno dei tre film animati da lui diretti: politica a tavoletta. Può darsi che rivolgere uno sguardo in quella direzione sia tempo speso meglio, Peninsula lasciamocelo solo se abbiamo quel paio d’ore che non sappiamo come occupare.

Oppure rivediamoci Train to Busan.

https://www.kchatjjigae.com/wp-content/uploads/2017/03/ma-dong-suk.gif
Ma Dong-seok in Train to Busan.
Pubblicità

3 pensieri su “Peninsula apre il diaframma

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.