Non c’è leone senza discussione, anche per Guillermo del Toro.
Il malcontento lo trovate tra le pagine del programma del festival, consegnato insieme all’accredito nel momento in cui lo ritirate nell’ufficio di turno. Il patto sancito tra pubblico e schermo agli eventi prevede senza ombre di dubbio né cavilli la possibilità di essere in disaccordo coi premi assegnati dalla giuria. Un gruppo di professionisti ogni anno cambiato, un True Detective che a una stagione può colpire e all’altra lasciare meno gioiosi. Su CineFatti siamo contenti per Guillermo del Toro a Venezia 74.
La presidentessa Annette Benning in una edizione fortunata insieme ai suoi giurati ha consegnato il Leone d’oro all’ultima opera del contemporaneo maestro del fantastico, The Shape of Water. Un film che dalla sua sinossi è un incubo per i fanatici del realismo sfrenato particolarmente vivo in Italia: nell’epoca dei grandi sogni della presidenza Kennedy si affaccia nelle basi segrete una storia d’amore tra una inserviente muta come un pesce e un uomo-pesce dell’Amazzonia, prigioniero del vero mostro, la paura.
Commerciale chi?
Sul film vorremmo poterci esprimere, ci piacerebbe dirvi di essere stati a Venezia, ma, come già le nostre cinque visioni dei desideri vi avevano confermato, al Lido non eravamo presenti. Non sappiamo se Tre manifesti a Ebbing, Missouri o Mektoub, My Love: Canto Uno meritavano di più, è sicuro però che ci fideremo di molti colleghi e correremo al cinema sperando di condividere l’entusiasmo. Quello che non digeriamo sono le accuse a Guillermo del Toro come artista. Commerciale, dicono.
Un Leone anche a Michael Bay, a questo punto, dicono. Come scrive Emiliano Morreale sulla Repubblica, The Shape of Water è un film colto e raffinato (dispiace, invece, la contrapposizione dei due aggettivi alla definizione di genere) e così, per noi, lo sono stati i precedenti. Sì, anche Pacific Rim. Perché sul cinema di quell’uomo ossessionato dalla sua pesantezza e dai mostri non ci si può fermare alla superficie, il livello dei dettagli e dei riferimenti viaggia a una velocità superiore a quella della singola visione in sala.
Un cinema da sfogliare
Crimson Peak, flop al botteghino come gran parte della sua produzione (commerciale?), era un lungo omaggio alla tradizione gotica di cui ammiriamo i rappresentanti. Forse dovremmo riconsiderare il valore di Edgar Allan Poe e dell’intero capitale letterario moderno cui Del Toro fa riferimento, secondo alcuni. Come il gothic romance anche altri titoli erano densi di riferimenti, spesso lontani dalla letteratura e vicini ad altri mondi ancora poco frequentati: fumetti, videogiochi, illustrazioni.
Un patrimonio artistico e culturale celebrato negli USA all’interno dei musei dove è ospitata At Home with Monsters, mostra in cui è esposta una frazione dell’immensa collezione del fantastico posseduta dal regista di Guadalajara. Eppure tutto questo è nascosto agli occhi dei più insieme alla sua lunga opera di divulgazione, anch’essa presto da applaudire al TIFF Bell Lightbox dal 29/09 al 13/12, con la masterclass (?) sulle influenze dietro il cinema di Guillermo del Toro.
La breccia tra pubblico e schermo
La verità, senza sproloquiare oltre sul mondo attorno e dietro il Gordo, come lo chiama con affetto Alejandro González Iñárritu in questo simpatico aneddoto che vi riportammo, è che si è creata troppa distanza tra una fetta di pubblico e un certo tipo di cinema. Tale da convincere stagionati critici che la gaffe della traduttrice non fosse tale e che davvero anziché dire io credo nei mostri, Guillermo avesse detto io credo nella senape. Una simile convinzione vuol dire non sapere di chi o cosa si sta parlando.
Quella stessa separazione che ora non permette a molti di vedere come sta cambiando il cinema coi flop dei blockbuster e i successi immensi di Split, Get Out e It adesso. Senza più alcuno strumento non si riconosce il cinema se non nella invecchiata dicotomia commerciale/artistico, dimenticando quanto siano categorie dipendenti l’una dall’altra se non in rari casi. Quando un anno fa Lav Diaz vinse il Leone non ci augurammo tutti che uscisse in sala? Non avevamo forse il desiderio che avesse successo?
Ci sono tre cose da imparare dalla vittoria di Guillermo del Toro alla Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia. La prima è l’inefficacia del termine commerciale come categoria, priva di argomentazioni per descrivere un’opera filmica. La seconda deriva dalla prima ed è ovvero la necessità di comprendere come l’arte può benissimo essere anche nel cinema prodotto (non creato) per incassare. La terza è che Del Toro è un regista ben più complesso di quanto si creda. Riguardatevelo e ricredetevi.
Ora aspettiamo The Shape of Water.
Un pensiero su “Il Leone di Senape: sulla vittoria a Venezia 74 di Guillermo del Toro”