Le tredici ragioni per cui non torneremmo mai al liceo.
Quando si parla di disgrazie funziona un po’ come con le morti illustri: tutti sembrano voler segnare il territorio, dire io di più, tu non puoi capire. Invece Tredici aiuta a far passare un concetto molto semplice e a suo modo balsamico: siamo stati nella stessa barca.
Ci ho pensato tante volte ricordando F. (non scrivo il suo nome per discrezione) un mio ex compagno di scuola bullato sin dai tempi delle elementari che a un certo punto della sua adolescenza decise di suicidarsi. Nei tanti romanzi che ho cominciato e poi abbandonato gli ho sempre riservato un posto speciale, una dedica. Anche se quando sono venuta a sapere di lui non lo vedevo da più di quindici anni.
Un invito a guardarci attorno
Sì, Tredici (13 Reasons Why) racconta una storia di suicidio e di bullismo. Li mette insieme in un contesto preciso ma, come gran parte delle buone storie dimostra, si allarga fino a toccare il mondo intero. Ci mostra l’incubo quotidiano del sistema scolastico in America, la cui bandiera si costella di giovani cavalli da corsa dopati da famiglie e istituzioni ottusamente ipocrite e arriviste, senza però smettere di ricordarci che viviamo situazioni uguali e diverse. Qui, ora, tutti i giorni.
Contro il silenzio
L’atteggiamento intimamente mafioso di questo tipo di società, coacervo di omertà e menzogna, non può far altro che avvertire Hannah Baker come un corpo estraneo da espellere, sputare via. Non solo per via di quelle origini modeste che non le consentiranno mai di gareggiare assieme agli altri cavallini addestrati: Hannah (nella serie l’esordiente Katherine Langford) ha il grosso difetto di parlare chiaro. Batte i pugni contro il muro del sotterfugio e del pettegolezzo perché sa bene che danneggia più di proteggere. E la sua caccia al tesoro postuma, fatta di nastri incisi, mappe e indizi non rappresenta altro che un tentativo estremo quasi più del suo gesto: far sopravvivere la verità.
Per una donna è diverso
E la verità è anche questa: le classifiche su tette e culi sono una nostra prerogativa. Come lo è, dall’America ai paesini del Sud Italia, l’epiteto di cagna non appena ci si mostra un poco più curiose o esuberanti della norma… Quale norma poi? Quella che ci incatena al nostro corpo rendendolo oggetto sessuale privato della volontà, della libertà, del puro e semplice diritto di godere della vita. Tredici ci mostra che il sessismo che in molti credono defunto è in realtà vivo come non mai – e lotta assieme a noi. Per chi ha subito violenze e abusi – Netflix ci tiene a specificarlo mettendo mani e disclaimer avanti – la visione di questa serie potrebbe dunque risultare piuttosto pesante. Diciamo pure dolorosa.
In cima al monte dell’adolescenza
Poi ci sono Clay (Dylan Minnette) e Tony (Christian Navarro) raro esempio di amicizia da mettere sotto vetro. Un pomeriggio, senza apparente motivo, si arrampicano a mani nude lungo una parete scoscesa. Rischiano di cadere, farsi malissimo, eppure continuano finché non arrivano dall’altra parte. A scapito dei graffi e delle ammaccature. Ecco, la metafora è tutt’altro che sottile – uno dei difetti della serie di Brian Yorkey sta nel suo essere insistentemente didascalica – ma conserva la sua efficacia. Scopre e accarezza le cicatrici per ricordarci che ci siamo passati tutti ma, sì, qualcuno con meno fortuna e meno amore dalla sua parte. C’è chi le chiama drama queen perché sfigate pare brutto: io preferisco definirle persone sensibili.
Last night the DJ saved my life
Non è il caso della povera Hannah, benché il suo triste quanto avvincente racconto possa contare su una selezione musicale ben scelta e ben utilizzata. Però pensateci, quante volte ci siamo ritrovati a ringraziare una canzone perché ci aveva salvato la vita? È pur vero che ce n’erano altrettante pronte a sminuzzarci il cuore, ma era la dura legge dei 16, la sua atmosfera impregnata di lucidalabbra alla frutta, amori violenti, sigarette fumate in bagno, autolesionismo, capelli tagliati per dire qualcosa al mondo, psicologi da rinchiudere, diari segreti, l’alcool, il profumo dell’erba, le notti insonni in compagnia delle pareti, il vomito, i pensieri neri, l’avercela fatta nonostante tutto o tutto il male di chi non ce l’ha fatta.
Un promemoria di cui avevamo bisogno e che dedico a F.
This mess was yours / Now your mess is mine
Francesca Fichera
L’ha ribloggato su La finestra di Hoppere ha commentato:
13 Reasons Why
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Che cosa bella che hai scritto.
Grazie, mi sento solo di dire questo.
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Grazie a te :**
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Bello sia l’articolo che la serie TV che promette bene :) ho visto il trailer quasi quasi la inizio a vederla
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Grazie! Fammi sapere. La serie ha sicuramente dei difetti ma vale una visione ed è sicuramente molto intensa ed emotivamente coinvolgente!
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Grazie del consiglio un bacio
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Grazie a te per la lettura!
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A me è piaciuta perché descrive benissimo un certo periodo della vita, senza giudicarlo né sottovalutarlo. E questa, di per sé, è già una cosa difficile.
Secondo me ci sono diverse incongruenze di sceneggiatura ma la descrizione dei personaggi è potente e vengono rispettate moltissime sfumature.
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Soprattutto senza sopravvalutarlo, brava.
Qual è l’incongruenza che hai riscontrato? Sono curiosa di sapere se è la stessa (o se sono le stesse) che ho notato anch’io.
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