Hunters - CineFatti

Nazi HUNTERS from Outer Brooklyn

Uccidere nazisti, tutto fuorché un divertimento

Al mondo nessuno potrà mai guardare un prodotto mediatico esente da polemiche. È escluso persino Numero 5 di Corto circuito dalla lista di “persone” capaci di seguire una serie o godersi un film senza aver sentito, letto o espresso un’opinione provocatoria – che aggettivo odioso è diventato. Non c’è velocità che tenga, il controverso sfonda la barriera del suono e il binge watching è impotente: consumerai sapendo che qualcosa non va.

Tredici fu impossibile guardarla senza tenere in conto l’onda anomala di polemiche scaricatasi contro la coraggiosa rappresentazione della rape culture e le sue nefaste conseguenze. Il 21 febbraio su Prime Video è uscito invece l’atteso show prodotto da Jordan Peele e subito insieme agli Hunters protagonisti è arrivata la controversia. Solo stavolta non è una protesta del Moige, sono i rappresentanti dell’Auschwitz Memorial Museum.

Loro non puoi respingerli con l’accusa di bigottismo.

Cos’è successo allora, qual è il problema?

Rewind, ricominciamo

Parto dall’inizio: Hunters di David Weil, nipote di una sopravvissuta al campo di Auschwitz, racconta la storia di un ragazzo ebreo (Logan Lerman) di fine anni Settanta introdotto all’interno di un variegato gruppo segreto di cacciatori di nazisti fuggiti e nascostisi negli USA, guidato da Meyer Offerman (Al Pacino), un ricco sopravvissuto con un’insaziabile sete di vendetta e assai mezzi a disposizione per compierla.

Al Pacino così investito in un ruolo – escludendo The Irishman – non lo si vedeva da anni e alla seconda in televisione come regular in una serie è ancora una volta straordinario. La prima fu Angels in America e se non l’avete vista vi siete persi uno dei momenti più alti della storia seriale, anche se a onor del vero si trattò del magnifico adattamento di una piéce teatrale scritta da Tony Kushner. Comunque, Pacino: magnifico, ruba la scena.

“Revenge is the best revenge.”

Logan Lerman lo adoro, è un protagonista nato. È il teenager ideale per introdurci nel crudele mondo macchiato dalla bestialità fascista partendo dalla sua fascinazione per la cultura pop fumettistica e cinematografica – è il 1977 e lo conosciamo fuori dalla sala dove proiettano Guerre stellari – per arrivare alle motivazioni dietro la nascita dei supereroi e dei mondi lontani nel tempo e nello spazio creati dalla mente di George Lucas.

Dorky nerdy teenager

Walter Murch in un libro intervista con Michael Ondaatje spiega come il maestro jedi volle raccontare il conflitto in Vietnam senza incorrere in una rappresentazione filologica. Il che corrisponde al suo desiderio di proseguire la trilogia mostrando Mark Hamill come un neo-colonnello Kurtz. Apocalypse Now era ed è ancora oggi una delle migliori visioni della guerra mai viste al cinema. Elem Klimov e Masaki Kobayashi seguono.

A Napoli in un talk recente per il Lezioni di Storia Festival il prof. Sergio Brancato – maestro! – incentrato sui supereroi ha invece ricordato le origini mitologiche di Superman: creato da Jerry Siegel e Joe Shuster, entrambi figli di famiglie ebree immigrate e fuggite all’antisemitismo, l’uomo d’acciaio mostra evidenti rimandi alla figura di Mosè. Le dinamiche dei superuomini hanno origini lontane e l’obiettivo di una catarsi per il lettore.

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Lo stereotipo del nerd immerso nella fantasia distante dalla realtà è quindi solo un’impressione, il Jonah Heidelbaum di Lerman entra nel ventre della balena armato di un immaginario fatto della materia di cui son fatti gli orrori del Novecento. Il suo cuore batte al ritmo delle lotte per la giustizia di Superman e dei vietcong/ribelli contro Darth Vader, mentre Batman e Robin gli forniscono gli strumenti per capire il ruolo di una persona nella società.

È credibile la sua transizione da adolescente incazzato a cacciatore di nazisti, in quell’atmosfera da exploitation un po’ comica con Josh Radnor (Schmosby!) ad alleggerire i toni mentre Louis Ozawa e Tiffany Boone raccontano altri lati del fascismo provenienti da terre ben lontane dall’essere europee e legate alla seconda guerra mondiale. Lì inizi a capire quanto Hunters odi il concetto di nazismo ben oltre i confini del Terzo (e quarto?) Reich.

Give a little respect

È l’odio il vero bersaglio di Hunters, a tal punto da rendere vana l’idea di divertimento, in senso etimologico, dietro la punizione del contrappasso a cui sottopongono quei nazisti scovati in America. Weil riesce secondo me laddove Jojo Rabbit inciampa e barcolla: l’orrore come contralto alla farsa per Taika Waititi creava una sequela di dislivelli dove il pericolo non era mai percepibile. In Hunters è vivissimo, nei flashback e non solo.

Il dramma dei campi di sterminio è nei ricordi della nonna di Jonah e di Meyer, una eroina, l’altro un essere umano sofferente, ma soprattutto della commovente coppia Saul Rubinek e Carol Kane. I nazisti sono introdotti come un oggetto da eliminare con gli applausi del pubblico – il che andrebbe anche bene, in stile Cap – ma è sangue versato senza gloria: gli episodi Shalom Mother****** e The Jewish Question la strappano via senza pietà.

I nazi hunters hanno profonde ragioni personali per lottare contro il nemico, fantasticano e nella propria testa immaginano le atroci sofferenze a cui sottoporre il mostro in possesso di quel loro particolare passato. Cosa succede quando la bestia ritorna a respirare la tua stessa aria? Hunters propone una serie tv con una vendetta appagante, ma in realtà sa bene di voler strillare quanto non vi sia nulla di tutto ciò nella caccia ai nazisti.

È una lotta partigiana la loro, esiste un complotto pilotato dalla nazista Lena Olin e loro devono sventarlo. Hunters si evolve a partire da un “semplice” jewxploitation divertente dove il bastardo di turno ha quello che si merita. Persino il colpo di scena finale – forse l’unica forzatura che non ho tanto apprezzato – evidenzia quanto il dolore non sia una ferita da poter ricucire versando altro sangue. È impossibile evadere dal passato.

Partita a scacchi con la morte

Dov’è allora il problema secondo l’Auschwitz Memorial? È in una partita a scacchi con la morte. Meyer racconta a Jonah di un incredibile scacchista ebreo costretto a giocare una partita con un ufficiale del campo usando i prigionieri come pedine. Dovevano uccidersi tra di loro ed è una storia chiaramente non ispirata a un fatto realmente accaduto ad Auschwitz. A riguardo su twitter hanno condiviso il pensiero seguente:

Trovo giustissima la lotta per una corretta e pedissequa esposizione dei fatti in tempi dove si nega persino l’esistenza dell’acqua calda, tuttavia Hunters resta un prodotto di finzione e Weil ha voluto rispettare la realtà mettendola a lato, a tal punto da scrivere eventi e personaggi un passo fuori da quanto accadde realmente. Il numero identificativo tatuato sulle braccia va oltre la massima numerazione registrata storicamente, ad esempio.

Inoltre la scena mi ha ricordato qualcosa di assai simile letto nel romanzo d’esordio di Paolo Maurensig, La variante di Lüneburg. Interamente dedicato al mondo degli scacchi, nella sua seconda parte segue il ricordo di un maestro di scacchi in eterno conflitto col suo sfidante nazista, ritrovato in un campo di concentramento dove a ogni perdita volontaria dell’ebreo corrispondeva l’esecuzione ogni notte di sempre più prigionieri.

In Hunters ho visto una versione ridotta e d’impatto del tragico ricordo inventato da Maurensig, peraltro uscito negli USA in una nuova pubblicazione proprio nel 2016. Sarebbe interessante verificare se esiste un collegamento diretto. Entrambe hanno comunque un tratto in comune ed è la crudeltà nazista che considera i prigionieri alla stregua di sacrificabili pedine. Una metafora poi non così ricercata, diciamocelo, ma efficace.

Cattivo gusto?

Capisco come una differente sensibilità e conoscenza possa produrre un’irritazione dinanzi a determinate narrazioni – se avete suggerimenti per farmi leggere Hunters diversamente, sono benvenuti – io al momento ho visto una serie tutt’altro che violenta per puro divertimento. È uno strale lanciato contro l’odio e numerose ingiustizie storiche. In realtà il vero colpevole agli occhi di Weil non è la Germania nazista, ma gli Stati Uniti d’America.

It Really Happened è una frase che apparirà spesso sullo schermo, è una serie costellata di riferimenti alla storia USA, interessati esclusivamente a essere un passo avanti la U.R.S.S. senza curarsi della giustizia. Ecco perché la nota sulla lotta per i diritti civili (Tiffany Boone) e le atrocità vissute in Vietnam (Louis Ozawa). Esiste un’ampia gamma di sofferenze causate non solo dai cari vecchi nazisti, il nemico per eccellenza.

Ed è in questo che Hunters mi ha conquistato. Il cinema e la televisione USA hanno sempre cercato di identificare un nemico contro cui coalizzarsi senza dubbi o domande: chi meglio dei nazisti? O perché no, dei russi o dei terroristi islamici. Weil ha voluto essere duro: quell’avversario non può essere ridotto a una macchietta. È lo sconfitto dal coraggio degli alleati e dell’armata rossa, è anche uno scomodo alleato, è un’idea ancora viva e pericolosa.

In questo il finale potrebbe rivelarsi un boomerang.

8 pensieri su “Nazi HUNTERS from Outer Brooklyn

  1. Gli anni 70 ci hanno regalato non solo Star Wars, ma anche altri splendidi film come … e giustizia per tutti, Sindrome cinese e L’uomo di mezzanotte: li hai visti?

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    1. Eccetto Sindrome cinese, sì :D ma gli anni Settanta sono stati un decennio meraviglioso, gli anni della New Hollywood e del cinema politico in Italia, la Nouvelle Vague evoluta in Francia e il Nuovo Cinema Tedesco in Francia, mentre negli UK Ken Loach dava il meglio di sé e Mike Leigh iniziava. Insomma, un decennio fantastico :)

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      1. Complimenti per la tua cultura cinematografica: L’uomo di mezzanotte lo conoscono in pochissimi, perché è stato fuori commercio per oltre quarant’anni (è stato edito in dvd giusto il mese scorso). Sindrome cinese si trova facilmente in rete e devi assolutamente vederlo, è un capolavoro. Di Mike Leigh non ho visto niente, cosa mi consigli?

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      2. Mike Leigh direi tre film molto diversi tra loro: Naked è il capolavoro, poi Happy Go Lucky è un minore ma bellissimo e infine Mr. Turner perché è il biopic d’uno dei miei pittori preferiti!
        Io intanto mi occupo di procurarmi Sindrome cinese :D

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      3. Veramente bello, un ottimo consiglio :D Jack Lemmon è straordinario, ho scoperto vinse anche la palma d’oro a Cannes per La sindrome cinese. Ci voleva proprio un bel thriller giornalistico scritto come si deve!

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      4. Mi fa molto piacere che ti sia piaciuto. Anch’io l’ho adorato così tanto che l’anno scorso gli ho dedicato un post. Grazie mille per aver dato fiducia al mio consiglio e per avermi fatto conoscere il tuo parere, in tempi rapidissimi tra l’altro! :)

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