Dragon Trainer 2 (Dean DeBlois, 2014)

Dragon Trainer 2: non uno ma ben due colpi di fulmine

Colpo di fulmine, Dragon Trainer fu una rivelazione: la DreamWorks Animation con l’assunzione di Chris Sanders e la sempre più forte collaborazione con Dean DeBlois stava dando i suoi frutti.

La qualità ha iniziato a prendere piede, I Croods sono arrivati e finalmente la competizione con Disney e Pixar si è spostata non più solo sulla quantità di moneta raccolta dalle casse dei cinema di tutto il mondo.

Il 2014 ci ha messo alla prova, Dragon Trainer 2 è uscito con il solo DeBlois alla regia, lasciando Sanders a lavorare a I Croods 2 – la DWA e i sequel, un amore senza fine – e chi temeva un fallimento può stare tranquillo: le avventure di Hiccup sono state di un pelo inferiori alle precedenti.

Riprendiamo il discorso

Anni dopo la pace raggiunta tra draghi e Berk, ai vichinghi non resta che godersi la nuova amicizia, tra gare di velocità, giochi e una sana tranquillità. L’unico inquieto è e resta Hiccup/Jay Baruchel, cresciuto con l’eredità del comando a pendergli sulla testa come una spada di Damocle, al di là del suo vero interesse: esplorare il mondo col suo amico e drago, Sdentato.

A nuovi orizzonti corrispondono nuovi pericoli, e tra una conversazione e l’altra col padre Stoick/Gerard Butler e la compagna Astrid/America Ferrera, Hiccup si ritrova col timore di avere a che fare con Drago/Djimon Honsou, un cacciatore spietato, e la paura della figura misteriosa riemersa dal passato a cavallo di uno stormo di draghi.

Fra il serio e il faceto

Il cinema mainstream d’animazione USA ha sempre avuto come baricentro la trasmissione di valori condivisibili, ridotti all’osso, guardati con superficialità. Negli ultimi anni questa tendenza ha subito una virata notevole, la vita degli uomini in CGI ha preso a rassomigliare con la verità, assumendone poco alla volta anche le sue forme negative.

Big Hero 6 è un esempio calzante, prima di lui perfetto fu anche proprio Dragon Trainer: Hiccup e Sdentato perdono entrambi un arto a causa l’uno dell’altro, ma allo stesso tempo è insieme che riescono a risollevarsi.  Una nota adulta, sacrificio e gratitudine, dietro la comune storia di intolleranza tra popoli diversi, draghi e uomini.

Dragon Trainer 2 prosegue sul medesimo trend, a proprio modo è una versione edulcorata della tragicità della Disney anni Novanta – con traumi indelebili come la morte di Mufasa – senza dimenticare la corsa al divertimento, il dictat della DWA che prevede l’entertainment in cima alla lista delle priorità.

I meriti di DeBlois

DeBlois in assolo e senza Sanders riesce a far evolvere la storia, non riproduce punto e a capo in forma lievemente diversa le vicende di Dragon Trainer, scandaglia il territorio esplorato e come Hiccup si domanda cosa può esserci oltre: segue la materia della fiducia, imparare a conoscere e conoscersi come gesto altruista nei confronti dei nostri cari.

La saga di Dragon Trainer è una sorta di guida al rapporto con gli altri e, del resto, il titolo originale How to Train Your Dragon sembra il nome di un manuale su come imparare a gestire le emozioni negative e reagire con atteggiamento positivo.

La colonna sonora fa il suo, John Powell compone un secondo capolavoro, e ora le note di Berk sono in corsa per l’Oscar al Miglior Film d’Animazione. Combatte contro l’eccellente Big Hero 6 della Disney, la tenerezza di The Boxtrolls della Laika, la bellezza visiva di La storia della principessa splendente dello Studio Ghibli e il magnifico stile dell’irlandese Tomm Moore e il suo Song of the Sea, l’unico a non essere stato distribuito in Italia.

Chi vincerà non si sa, ma i Golden Globe hanno già detto la loro: Dragon Trainer 2 è il favorito. Peccato per quel The Lego Movie rimasto a casa.

Fausto Vernazzani

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