La mummia (Terence Fisher, 1959)

La mummia ci fa veramente paura.

Ammettiamolo: la mummia, intesa come mostro-personaggio, di fatto è la creatura del terrore meno rivisitata dai prodotti dell’industria culturale. Sarà perché non fa poi così paura? O perché è a tutti gli effetti il simbolo di una profonda e inattesa tristezza? Proprio quest’ultimo elemento, è da notare, sta al cuore della rivisitazione del mito bendato che all’epoca portò a compimento il regista Terence Fisher, sotto l’egida immancabile della Hammer Film.

L’anno era il 1959, fiorente per i film di genere (e di questo genere specialmente). Nel racconto, invece, siamo a fine Ottocento: ne è il fulcro il ritrovamento di una tomba egizia principesca, sul sito archeologico di alcuni ricercatori britannici (e viene subito da pensare al Sir Malcom Murrey di Penny Dreadful). Uno di questi, l’anziano Stephen Banning (Felix Aylmer), rimasto da solo nell’antro scova un antico papiro e ne legge il contenuto ad alta voce.

Poco dopo un suo urlo scuote gli scavi: l’uomo, trovato sotto shock, sostiene di aver visto una mummiaprobabilmente evocata dalla lettura dei geroglifici. Il sepolcro viene dunque distrutto e sconsacrato, e i resti trasportati nel Regno, dove la vendetta di Kharis – un giovanissimo e statuario Christopher Lee – si abbatterà sui tre profanatori, grazie anche e soprattutto ai comandi dell’infido Mehemet (George Pastell). Peter Cushing, nei panni di Banning jr., dovrà difendere se stesso e la sua bellissima compagna Isobel (Yvonne Furneaux).

Con La mummia di Fisher è posto nuovamente l’accento sulla paura dello straniero, declinata in chiave mistica ed esotica. Un aspetto così caricato che in molti sensi infastidisce, al punto da mettere in discussione l’intera qualità del film se non fosse – come in un altro caso citato di recente, quello di The Reptile – per la sorpresa che quest’ultimo nasconde: l’approfondimento del mostro.

Non c’è benda che tenga per le ferite d’amore

Dietro la possente figura di Kharis, implacabile assassino di cui i primi piani mostrano soltanto lo sguardo e le bende in putrefazione, vi è una storia tormentatissima cui la sceneggiatura di Jimmy Sangster e la discreta regia di Fisher donano spazio e ruolo dignitosissimi, nel corso di un flashback a dir poco appassionante.

Per il suo arcaico e doloroso passato, fatto d’amore e morte, la mummia Kharis suscita quasi compassione; il che non direbbe nulla di nuovo se solo si considerasse il personaggio in relazione al Fantasma dell’Opera o alla stessa Creatura del Dottor Frankenstein. Ma nella pellicola di Fisher a essere sottolineata è la molteplicità del suo martirio: da amante, da uomo, da mostro ridotto a schiavo. Kharis potrà anche avere la divinità dalla sua parte, ma se l’Amore gli sarà sfavorevole finirà con l’ucciderlo. Ancora una volta.

Forse questo spiega il perché la mummia faccia parte di quel rimosso che viene rimosso da se stesso. Da noi che temiamo così tanto d’immedesimarci.

La_mummia_1959

 Francesca Fichera

Voto: 3.5/5

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