di Francesca Fichera.
[ Questo post rappresenta la seconda e ultima parte di un breve resoconto in due episodi. Potete leggere la prima al seguente link: Canne(s) al vento e la banalità del male, pt. I ]
Insomma, per dirla in soldoni – rimanendo in tema, lol: Cannes è uno di quei luoghi, fisici e traslati, che stanno lì a ricordarti l’antica scissione fra dei dell’Olimpo e comuni mortali. Certo, ti è sufficiente cambiare casualmente rotta del tuo giro turistico per imbatterti, altrettanto a caso, in una sfilza infinita di divi(nità) quali Marion Cotillard, Guillaume Canet, Christoph Waltz, Zoe Saldana, James Caan (che fa pure ciao-ciao con la manina ed è tanto simpatico e affabile). Tutte stelle vomitate dal retro del lussuosissimo – e un po’ pacchiano – Carlton Hotel, con il prezioso corredo di una Lamborghini verde fluo e di una serie di divertentissimi paparazzi che andrebbero acquistati in blocco solo per il modo in cui urlano “Marion” con il più tipico degli accenti francesi (quasi una parodia della parodia).

Ma questa mescolanza è di facciata: i confini, anche se trasparenti, ci sono. E sono sostanzialmente invalicabili – se non per la classica foto o l’autografo strappati alla sorte di cui potersi vantare con gli amici. E dunque, di quella condivisione che, di norma, un festival cinematografico dovrebbe comportare, resta solo il simulacro: Cannes è il regno del “pezzo”, dell’intravedere che vince sul vedere, del mostrare a distanza (con transenne, steward, porte e un qualsiasi ostacolo nel mezzo), in maniera incompleta. Bisogna andarci avendo già accettato quest’assioma per poterselo godere a pieno. Così anche le (all’apparenza?) futili chiacchiere di alcuni giornalisti e critici più imbellettati che altro – a parte Enrico Ghezzi: lui è sempre LUI, uguale a se stesso, ritratto vivente della coerenza che irradia luce sulla croisette – scivoleranno con facilità: sarà chiaro che le ovazioni forzate a La grande bellezza di Paolo Sorrentino, che i fischi e le fughe alla proiezione di Only God Forgives di Nicolas Winding Refn – ideale sequel di Drive, con un Ryan Gosling sempre più simile a una statua di Benvenuto Cellini… sarà chiaro che tutto questo fa parte dello spettacolo allo stesso modo in cui lo sono i “ganci per borse” (WTF?) creati ad hoc dagli shop del festival. Perché ciò che forse non s’afferra e che, anzi, si perde inesorabilmente, è l’importanza e l’utilità di una SINCERA esperienza individuale; di un sano e costruttivo incastro fra quest’ultima e quella altrui. Una possibilità destinata inevitabilmente a dissolversi in una folla di fanatici votati all’idolatria del successo.
Del resto, il bel Ryan ha disertato il tappeto perché a lavoro sul suo prossimo film; il primo da regista. Sarò di parte (…) ma la mia stima nei suoi confronti cresce ancor di più. Chissà, mi sbaglierò, però mi dà l’idea che uno come lui non ha dimenticato l’essenziale, il motivo per cui si arriva a calcare quel (quei) red carpet: l’amore per ciò che si fa. E i sentimenti reali rimangono tali per una ragione ben precisa: perché i loro ingranaggi viaggiano all’interno. Si affollano in luoghi nascosti, vergini, più o meno silenziosi. Con in sottofondo la sola musica della parola, del comunicare. Un po’ come al Villaggio Internazionale e negli svariati punti di ritrovo per produttori, distributori e ‘addetti ai lavori’ che Cannes ha ospitato anche quest’anno.
E’ lì che s’ama veramente il Cinema, oltre che davanti allo schermo. “Tutto il resto è bigiotteria e idiozia”. E’ un vuoto, anch’esso, soltanto intravisto.
Per fortuna.
p.s.: delle Palme ci sarà tempo per parlare, soprattutto “a cose viste”. Viste bene.
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è un sogno impazzito che si fa carne e red carpet.Prendere così ,come pura e bizzarra magia
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Esatto. Un sogno impazzito. Che ti fa capire qual è la differenza fondamentale fra ciò che si ama e ciò che gli altri ti dicono di amare. Almeno nel mio caso, ha funzionato così… ed è stata un’esperienza importante, che a suo modo mi ha dato e insegnato tantissimo :)
– Fran
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