Lo scafandro e la farfalla (Julian Schnabel, 2007)

Lo scafandro e la farfalla: storia di un volo difficile.

Ispirato alla storia vera di Jean-Dominique Bauby, caporedattore della rivista Elle che della sua vicenda scrisse un libro poco prima di morire, Lo scafandro e la farfalla (The Diving Bell And The Butterfly) è un film da molti ritenuto, Morandini compreso, “furbo” ed eccessivamente virtuosistico.

Cosa che non è del tutto vera se solo si pensa al fatto che un certo tipo di virtuosismo, di eccesso, è di per sé insito nella tragica fatalità – e soprattutto nei suoi inconsueti quanto sconvolgenti sviluppi – che colse il giornalista francese tranciandone il destino.

Dallo scafandro…

L’uomo, nel film con il volto di Mathieu Amalric, colpito da un ictus mentre era alla guida della sua auto, rimase quasi del tutto paralizzato: quasi, perché una parte mobile il suo corpo (lo scafandro) ce l’aveva, ossia la palpebra dell’occhio sinistro, mentre quello destro, impossibilitato a chiudersi, venne ricucito per non subire i danni di una prolungata esposizione alla luce.

La mente di Bauby, ancora attiva tanto nel ricordo quanto nel ragionamento immediato, si ritrovò così di punto in bianco con una sola soglia da poter varcare, una sola finestra da cui poter guardare, un modo per esprimersi mai usato prima.

…alla farfalla

Nei quattordici mesi della sua agonia, aiutato dall’equipe dell’ospedale in cui era ricoverato, il giornalista francese elaborò un nuovo linguaggio fondato sulla selezione delle lettere dell’alfabeto attraverso un semplice battito di ciglia: una volta per dire sì, due per dire no.

In questo modo la farfalla spiccava il suo lungo volo, conclusosi a dieci giorni di distanza da una morte definitiva quanto salvifica – sopraggiunta per polmonite – e racchiuso nel libro da cui  Robert Harwood ha tratto la sceneggiatura consegnata poi alla creatività di Julian Schnabel.

Che di questa triste vicenda, in cui il dolore è tale da sfiorare il parossismo e l’irrealtà e che per certi versi ricorda Mare dentro di Amenábar, sceglie di parlare con toni (registici) altrettanto assurdi, caricando Lo scafandro e la farfalla di sequenze oniriche, flashback, appannate visioni in soggettiva, travelling e zoomate tra i fiori.

Un virtuosismo giustificato

Se questo è virtuosismo almeno vuole esserlo a fin di bene, cioè per restituire tutta l’inconcepibile enormità di un’esperienza sensoriale negata, delle molteplici possibilità dell’agire relegate a un passato ormai intoccabile, dell’irreversibilità della sorte provocata da un momento.

Non a caso il racconto mostra la sua origine alla fine, in maniera simile al collega Irreversible, che ne riprende a grandi linee il principio di fondo.

Tre piccoli punti fermi

Ad ogni modo, sono tre le cose che potrebbero convincervi alla visione (per quanto dura) della pellicola di Schnabel: la prima è la presenza, in un piccolissimo ruolo che però basta e avanza, di Max von Sydow.

La seconda, collegata alla prima, si trova tutta in questo affascinante montaggio contenente alcune delle scene più belle del film.

La terza è un’anticipazione che diventa anche monito, gettando le basi per quell’attimo di fulgida comprensione – alla maniera greca – della sofferenza come fonte irrinunciabile di insegnamento umano: è Bauby che dice “Ero cieco e sordo, non mi serviva necessariamente la luce dell’infermità per vedere la mia vera natura“. 

Un indizio per liberare i nostri battiti d’ali prima che possiamo dire è troppo tardi.

Francesca Fichera

Voto: 3.5/5

4 pensieri su “Lo scafandro e la farfalla (Julian Schnabel, 2007)

  1. lo devo vedere , è in lista, fa parte di quel cinema della sofferenza ,che reputo necessario. Non amo molto il regista,le sue opere precedenti non mi hanno entusiasmato,ma il tema mi interessa

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  2. Vale, ti confesso che m’aspettavo un po’ di più – soprattutto per quel montaggio inserito in forma di link nell’articolo, che in sostanza rappresentò la spinta fondamentale alla visione, nel mio caso.

    Amalric è bravo, lo è ancora di più von Sydow (un vecchio che sa piangere come un bambino), ed è discreta anche la Seigner, rimane impressa.

    Viga caro, naturalmente è un film che risveglia il lato più dolente del nostro essere “old inside” e anticamente attaccati ai sentimenti e al valore delle passioni. Non penso che ti dispiacerà.
    Gli altri film di Schnabel non li conosco, questo è stato il suo primo per me, sconsigli del tutto?

    – Fran

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