Dolls (Takeshi Kitano, 2002)

(silent) Dolls

Quello che  Takeshi Kitano mette in scena con Dolls è un triplice dramma plasmato dal Bunraku, forma teatrale del Seicento basata su un particolare gioco di marionette e modulazioni vocali.

Un’introduzione letterale che, allo spettatore dallo sguardo più lungo, fungerà da guida per percorrere l’intricato labirinto di metafore e immagini costituente il film, una delle opere più estetizzanti composte dal regista nipponico; ma anche una delle più assolutamente belle.

Dai lamenti iniziali della recita nella recita prende forma il pianto più straziante: quello del silenzio. Poche sono le parole che Kitano usa per raccontare Dolls, vicenda in tre parti tenute insieme, anche fisicamente, da un filo rosso che striscia sul terreno.

Protagonisti del silenzio

Prima ci sono gli amanti, erti a simbolo (e a ricordo, perché difficile è dimenticare le loro sagome fra gli alberi) della storia: lei folle e lui colpevole, ma risoluti nella – all’apparenza meccanica – ricerca di qualcosa che li salvi.

Poi c’è lo Yakuza-man, figura cara al regista giapponese, ritornato sui suoi passi di gioventù per ricongiungersi alla donna da lui abbandonata.

Infine il fanatico ammiratore e devoto di una nota cantante pop, rimasta sfigurata in seguito a un incidente d’auto, che s’acceca pur di non accusare il colpo inferto dai cambiamenti della sorte.

Amore, morte e Occidente

Al classico connubio Amore/Morte, tre volte allegorizzato, viene aggiunto un terzo tema fondamentale: la Natura, che accoglie e insieme condanna coloro che l’hanno rinnegata in nome delle proprie ambizioni, dei propri forsennati desideri materiali.

L’accusa silente mossa da Kitano alle bambole del suo teatrino – agli uomini in primis e poi alle donne che ne vogliono essere vittima – si estende  fatalmente all’intera società giapponese, manovrata come un pupo dal mito occidentale, per il quale ha rinunciato al rispetto verso la propria identità.

Verso la tragedia

Esiste perciò un solo tragico epilogo, per la messinscena e per ciò che rappresenta, mentre tutto il ridicolo brillare del mondo dell’Ovest compie la sua parata di trionfo, comunque incomparabile alla bellezza di ciò che ancora resta incontaminato negli angoli.

Questo vince nel cuore di chi narra, lasciando tuttavia posto alla disperazione, concretizzata in un modo di guardare sempre più distaccato, che lascia le dolls immerse nel vivido alternarsi delle stagioni – fotografato da Katsumi Yanagijima – e nel malinconico tappeto musicale di Joe Hisaishi. Mentre il passato precipita scricchiolando appena, come piedi sulla neve.

Francesca Fichera

Voto: 5/5

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3 pensieri su “Dolls (Takeshi Kitano, 2002)

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