Il silenzio sul mare (Takeshi Kitano, 1991)

Il silenzio sul mare racconta l’Oriente di “Beat” Takeshi

Il silenzio sul mare di Takeshi Kitano è un film che si potrebbe guardare benissimo in assenza di doppiaggio o di sottotitoli.

Molto prima del poema muto  Dolls – siamo nel 1991, circa dieci anni prima del grande successo delle “bambole” – il maestro giapponese ha già fatto sua la sapiente arte del dire tanto parlando poco, affidandosi quasi totalmente alla purezza dell’immagine.

Ma, al contrario che nei film successivi, l’impostazione è più spoglia, meno ricercata ed estetizzante, fiera della semplice bellezza di un paesaggio su cui lo sguardo si poggia con la naturalezza e la saggezza degli antichi.

Il silenzio dei sogni

Il silenzio sul mare è il silenzio dei sogni, la forza di un’innocente ambizione raccontata nel suo quotidiano divenire: è il dialogo senza parole di Shigeru (Claude Maki) con l’oceano che ha di fronte e che desidera domare con la sua tavola da surf.

È anche il tacito sostegno dell’amore – quello vero – di una ragazza che siede sulla spiaggia per assistere alla trasformazione, alla crescita, al miglioramento; che cammina con lui, lo attende, lo accompagna.

Questo naturale assistere non è incorniciato da altro che dal frusciare delle onde e dal melanconico commento musicale del fedele collaboratore di Kitano Joe Hisaishi.

Ovest contro Est

Mentre, un po’ al di là un po’ al di qua della cornice, nella filmografia di Kitano fa una delle sue prime apparizioni la critica al materialismo della civiltà contemporanea, in Dolls forse al suo apice poetico.

Ne è un esempio la ripresa iniziale, che mostra immediatamente Shigeru e la sua vita reale, il suo lavoro di netturbino, e srotola un senso di contrasto concentrandosi sui suoi occhi persi nella sconfinata distesa d’acqua blu, simbolo di un vivere sincero sostituito da esistenze ripetitive.

Ma soprattutto ne sono traccia i conti, che ritornano (ma non tornano) campeggiando su vetrine e scrivanie, opprimenti richiami a un’epoca in cui immaginare costa quasi più di sopravvivere e dove il desiderio di gareggiare supera di parecchie spanne quello di sentire. 

Parole mute

Dopo quasi un secolo dall’introduzione del sonoro nell’arte cinematografica, con Il silenzio sul mare Kitano riesce a scrivere questa e altre decine di poesie con pochi versi, haiku dello schermo – sebbene meno brevi – dall’apparente leggerezza che un po’ ricorda il profondo ridere di Chaplin, il suo inno ai sentimenti e alla riscoperta dell’umanità nel senso più antico che possa appartenerle.

Il silenzio sul mare è la prima sillaba, pronunciata sotto voce, di un discorso difficile ma necessario, di un canto probabilmente inascoltato da molti ma che, per quei pochi casi in cui scavalca le barriere dell’incomprensione, raggiunge la meta, il suo scopo.

Questo è tutto ciò che conta.

Francesca Fichera

Voto: 3.5/5

4 pensieri su “Il silenzio sul mare (Takeshi Kitano, 1991)

  1. Bravissima, mi è piaciuta molto quel rimarcare l’inno ai sentimenti di cui oggi c’è tanto bisogno, unito all’estrema esigenza del comunicare purtroppo ormai deficitaria che contraddistingue la nostra contemporeneità dove si parla per informare freddamente, senza voler superare le famose barriere dell’incomprensione . Baci

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