Carrie 2: La furia (Katt Shea, 1999)

La poco degna erede di Carrie White

Mena Suvari è sempre bionda, ma non la si incornicia con petali di rosa in quest’horror di terz’ordine diretto da Katt Shea.

Il suo esile corpo piove dal tetto della scuola fin sopra il cofano di un’auto nuova di zecca, per la cui perdita il proprietario si dispera senza ritegno ignorando completamente il tiepido cadavere dagli occhi sbarrati della ragazza.

Così – e solo così – lascia il segno Carrie 2 – La furia, ideale sequel del cult di De Palma (1976) nonché trasposizione (abbastanza scontata) in tempi recenti del noto mito kinghiano.

Poco degna erede della signorina White, la protagonista è Rachel (Emily Bergl), fra le ragazze più emarginate e prese di mira del liceo, amica della suicida. E con un’enorme rabbia da covare.

Furia americana

La morte della compagna fa da penultima goccia perché il suo vaso trabocchi. Finiranno il lavoro i ragazzacci belli e dannati della squadra di football locale, sordidi ma sufficientemente banali testimoni di un’America a pezzi, decisi a mettere in riga l’elemento fuori controllo della situazione.

La storia dunque si ripete, ma senza secchiate al pomodoro che imbrattano diademi e festoni da prom.  Il sangue c’è però non si vede – se ne capisce il motivo soltanto guardando il film. L’umiliazione plateale prende forma in maniera diversa, più subdola, come gli anni Novanta insegnano.

Ci si chiede allora se basta l’incontestabile forza del plot del romanzo d’esordio di Stephen King, unita alla contestualizzazione in chiave contemporanea, a rendere Carrie 2 un prodotto cinematografico dignitoso.

Una brutta risposta

La risposta è no. Il flop della Shea, confermatosi tale al botteghino, si attiene in maniera sciatta, rallentata, alle regole dell’horror, peraltro equilibrandone malissimo le possibilità sceniche.

Lo splatter non latita ma esplode, tutto, in conclusione. Come se l’unico desiderio della Shea fosse attuare una sua personalissima interpretazione del crescendo – e qui ci starebbe bene uno di quei meme che impazzano sui social network, recante la scritta: lo stai facendo male.

Carrie 2 è una vera noia. A nulla valgono i flashback contenenti alcune scene del mitico Carrie di De Palma, o la presenza di Amy Irving – ancora – nei panni di Sue Snell, condannata a rivivere i devastanti effetti della telecinesi per la seconda (e ultima) volta.

Si fa labile persino il pretesto dell’incompresa storia d’amore fra Rachel/Carrie e il belloccio dai buoni sentimenti, voce fuori dal coro degli autoctoni figli di papà.

Tutto si sgretola, a cominciare dal libro che ha dato i natali a questa potente, ma fraintesa, figura di reietta della società postmoderna, per finire con gli scheletri. Un teschio in polvere può in effetti dar luogo a qualche sobbalzo, ma purtroppo poco conserva di quella mano che sbucava all’improvviso dal terreno, nella soffusa luce depalmiana dei lontani anni Settanta.

Francesca Fichera

Voto: 2/5

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2 pensieri su “Carrie 2: La furia (Katt Shea, 1999)

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