Si può ridere della morte se perde di significato
Litigano in continuazione sulla presunta netta distinzione fra realtà virtuale e realtà realtà quando per capire che non esiste un muro di plexiglass a separarli basterebbe seguire il trend dei serial fantastici sulla morte della morte. Se esiste una vita oltre essa stessa, allora forse è lecito supporre che qualsiasi forma del vivere appartenga sempre alla nostra esistenza iniziata col parto: corpo, mente e tempo che ci rappresentano non hanno fine.
Semplificare con la precisione di uno stormtrooper non esclude il nocciolo della questione e Upload dopo un breve guizzo di genialità di Charlie Brooker in Black Mirror e la magnifica the Good Place di Michael Schur ci presenta un futuro non troppo lontano in cui la coscienza di una persona può essere caricata in un programma digitale dove potrà vivere per sempre in una simulazione di altissima o bassissima qualità, a seconda del prezzo.

La maledizione dei 27
Robbie Amell è un vanesio belloccio di nome Nathan Brown che all’età del genio 27enne muore in un sospetto incidente d’auto a pochissime ore dallo sviluppo di una novità eccezionale: un aldilà digitale libero, aperto anche alle persone prive di un grasso portafoglio. Nel 2033 sopravvivere alla morte è un diritto negato ai poveri e nel migliore dei casi si finisce in simulazioni di bassissima qualità neanche immaginabile in carne e ossa.
La (s)fortuna di Nathan è che prossimo alla morte viene caricato nella costosissima Lake View, residenza post-mortem della famiglia della sua fidanzata Ingrid (Allegra Edwards): ricca e fra le braccia di Nathan perché bellissima. Il twist di una coppia destinata a finire molto presto è il per sempre che li legherà, lei proprietaria del suo account caricato in Lake View, depositaria di ogni spesa effettuata all’interno della simulazione.
Può mai esistere una serie televisiva senza un love interest? Nossignore. Andy Allo è l’angelo Nora, ovvero una forma curiosa di assistenza clienti il cui mestiere consiste nel creare gli avatar dei morti e nella gestione della loro vita a Lake View. A qualsiasi esigenza saranno gli angeli a rispondere, il tutto per uno stipendio da fame e con benefit commisurati al punteggio assegnato loro alla fine di ogni consulenza. Sistemi già esistenti da noi.

Heaven is a place on Earth
Cantava così Belinda Carlisle sul finale di San Junipero diretto da Owen Harris e il bello di quell’episodio fu il voler dare peso alla storia attraverso cui raccontare il futuro e non scrivere un blando veicolo narrativo. Lo dimostra proprio l’inquadratura conclusiva dove il messaggio è consegnato allo spettatore senza un cinico spiegone di 50 minuti. A questo punto avrete capito che non sono un fan di Black Mirror, ebbene sì. Colpevole.
San Junipero non esplorava la questione sociale, si limitò alle implicazioni di una vita eterna digitale e ciò che ne consegue. Upload si concentra invece proprio su di lei: se il paradiso è un luogo sulla Terra allora risponderà senz’altro alle sue regole. Persistono le discriminazioni, il classismo è lungi dall’essere sradicato, la ricerca per l’immortalità del corpo continua imperterrita segnando coraggio e follia della nostra specie.
In questo essere votati al superamento del nostro inevitabile destino si nascondono mille piccole idee in cui il creatore della serie Greg Daniels sguazza divertito, rendendo qualsiasi fan fiction mentale di San Junipero una realtà in formato racconto. La commedia in fin dei conti esaspera le difficoltà dell’esistenza, disegna grandi nasi e lunghe orecchie per fare una caricatura del nostro riflesso e con Upload riesce alla grande a farlo della morte.
Ridi della morte e la vita riderà con te
Sarebbe magnifico se anche la morte ci facesse compagnia con una risata rauca, raccontarla in questi termini però l’associa alla vita e dunque è come sempre osservata da una posizione privilegiata: quella dei vivi. Ed ecco dove Upload regna sovrano sui due suoi simili the Good Place e San Junipero, in una scena dove aldilà e vita si incrociano: al funerale di Nathan Brown, separati da uno schermo, senza possibilità di toccarsi o di interagire.
L’immortalità della coscienza si scontra con la mortalità della carne, si dividono i due piani dell’esistenza e Nathan esattamente come l’immagine di un Humphrey Bogart sullo schermo cinematografico vive, respira, interagisce a voce, ma è soprattutto una figura destinata al consumo dei vivi senza una vera possibilità di esprimersi. Una Katherine Hepburn continua a raccontare sé stessa nei suoi film, è eterna e ibernata in un istante di vita.
La simulazione è un’intelligenza chiusa dentro dei video girati in vita: ricostruisci la figura corporea di un morto sulla base delle foto, dei video girati col telefono, sostanzialmente la tua esistenza post-mortem sarà il lato di te che hai deciso di mostrare e lasciare alla mercé del popolo della rete. Il 2033 di Upload insomma smette di fare distinzioni in termini di vita virtuale e non, evidenzia però la natura necrofila dell’immagine catturata.

Sei quello che scatti
In San Junipero potevi trasformarti come desideravi e rivivere col tuo corpo giovane per l’eternità, in the Good Place sono angeli e demoni a decidere qual è la tua forma. In Upload sono le rappresentazioni che ognuno fa di sé: il racconto dell’io è tutto ciò che sopravvive e ciò comporta la necessità di scattare ottime foto, altrimenti come Nathan puoi ritrovarti con un ciuffo fuori posto e dire momentaneamente addio alla tua capigliatura perfetta.
Sulle prime avevo giudicato Upload una mezza botta, una buona merendina mangiata tutta in un boccone – durano circa mezz’ora tutti gli episodi eccetto il primo – ma tornando a riflettere sulla ossessiva presenza degli schermi voluta da Daniels allora scatta la rivalutazione. Sotto la storia d’amore dai risvolti comunque interessanti – come può vivere un amore dopo la morte – e il forte classismo esiste anche questa importante riflessione sull’io.
Attendo con ansia una seconda stagione per scoprire appunto cos’altro si immaginerà Daniels. Cosa ne è ad esempio delle persone per cui esiste solo una vita offline? Quale struttura consentirà loro di costruire un’immagine e che implicazioni ha per la religione? Questo è un argomento solo accennato, sono però sicuro che alla prossima esplorerà i mille volti dell’aldilà, perché se il paradiso è sulla Terra allora sarà altrettanto colmo di domande.
p.s. Robbie Amell comico è F E N O M E N A L E.
Io ritengo le prime tre stagioni di Black Mirror decisamente intoccabili… poi inizia il declino. The Good Place l’ho finito proprio in questo periodo e mi è piaciuto veramente moltissimo. Questo effettivamente sembra ricalcarne molti aspetti.
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Su Black Mirror ho due distinte opinioni per l’era inglese e l’era Netflix: la seconda la boccio in toto con l’esclusione di Hang the DJ e San Junipero, la prima la trovo comunque molto altalenante!
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Sì, l’era Netflix è decisamente da dimenticare (però gli episodi che citi effettivamente sono molto belli). L’era inglese per me è stata una sorpresa per ogni episodio, invece.
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