Suburbicon - CineFatti

Suburbicon: didascalie, didascalie ovunque

Razzismo in evidenza nella Suburbicon dei bianchi.

È possibile come da italiani non riusciamo a capire l’urlo è appropriazione culturale!, ma negli USA pare oggi si debbano lasciare le storie di donne alle donne, di neri ai neri. Ma George Clooney fu volpe per Wes Anderson e Suburbicon ci dice che lo è ancora.

Se King George vuole parlare degli USA razzisti senza causare le ire del pubblico, come le ha subite Kathryn Bigelow per Detroit, può farlo: basta raccontarla attraverso la vita dei dirimpettai bianchi, quelli infami e sanguinosi protetti dal cieco razzismo.

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Il progressismo altrui

Gli afroamericani Mayers si sono appena trasferiti nella bianchissima Suburbicon, un complesso residenziale dove tutti credono nell’integrazione, purché a farla siano loro. Ai Lodge capitanati da Matt Damon non cambia nulla, loro hanno altri piani.

Mentre l’intera Suburbicon celebra i funerali della tranquillità distrutta dai placidi Mayers, in casa Lodge una strana incursione di due loschi figuri porta via con sé la moglie Rose (Julianne Moore), ma non padre, figlio e la zia gemella di Rose.

Qualcosa non torna, ma a sentire l’odore all’inizio sembra essere solo il giovane Nicky (Noah Jupe) a cui se il figlio del vicino ha la pelle di un altro colore non interessa, ma se suo padre inizia a pianificare una strage ai danni della sua famiglia, sì.

Un film disturbante

Coi sentimenti confusi di Nicky a guidarci in Suburbicon seguiamo due storyline dagli evidenti difetti. La penna di Joel e Ethan Coen si percepisce e Grant Heslov ha talento da vendere, ma la macchina da presa di George Clooney non è quella dei fratelli.

Suburbicon imbarazza la consueta ironia dei Coen con una messa in scena didascalica. Così didascalica da spingerci a tirar fuori uno dei termini preferiti dei cinefili dell’era di internet, perché l’ultima opera di Clooney lo è tanto da essere disturbante.

Vorrebbe esserlo nel senso stretto del termine, ma purtroppo a Suburbicon tocca la corona disturbante perché si ha la sensazione di essere imboccati a forza, con l’escalation violenta dei bianchi Lodge in parallelo con le violenze subite dai Mayers.

Furbizia non è intelligenza

Insomma, George Clooney vuole parlare di razzismo e lo fa. Insiste, si sbatte e lo urla ai quattro venti, dimostrando furbizia, ma anche poco talento nell’amalgamare le due situazioni senza essere fastidioso al pari dell’arrotino che strilla sotto casa.

Un’irritazione tutta della regia, perché a testo e attori non si può certo dire di aver esagerato. Matt Damon è perfetto come anonimo padre di famiglia di provincia senza alcuno spessore, Julianne Moore inquietante abbastanza come signora omicidi, Oscar Isaac, invece, illumina la scena alla sua prima apparizione.

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La volpe e l’uva

Poco per salvare Clooney dal suo abisso, il bisogno di lanciare un messaggio politico, concentrato solo su di esso e non sul film nel complesso. È chiara l’attenzione spesa per le scene, brevissime, dedicate ai Mayers, migliori di qualsiasi altra cosa.

Peccato come a qualsiasi altra cosa corrisponda oltre il 90% di Suburbicon, impossibile da lasciare nelle mani dei soli protagonisti, in poche scene indovinate dove si legge l’apporto dei Coen e di Heslov, ma a cui non sembra dare affatto sostegno il caro King George.

Fausto Vernazzani

Voto: 2/5

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