Alias Grace - CineFatti

L’altra Grace, signora dei silenzi e delle serie tv

Nella casa dei misteri con l’altra Grace.

Noi stessi, dietro di noi nascosti, dovremmo spaventarci. Ogni episodio de L’altra Grace, dal 3 novembre in streaming su Netflix, si apre con una frase di celebri scrittori e poeti romantici. Il primo e l’ultimo si affidano all’inquieto e struggente dialogo interiore di Emily Dickinson, capace di mettere in parole le sensazioni che proviamo davanti allo sguardo mutevole di Grace Marks/Sarah Gadon; nostra signora dei silenzi, per dirla con il suo cinico avvocato difensore.

Grace è una giovane immigrata irlandese. Sbarcata sul suolo canadese trova lavoro come domestica in una grande magione. Perché parliamo di lei? Perché da quindici anni sconta l’ergastolo nel carcere di Kingston (con numerose incursioni in manicomio) accusata insieme allo stalliere James McDermott dell’omicidio del suo padrone, Mr Kinnear e di Nancy Montgomery (Anna Paquin, leziosa e velenosa nelle crinoline della governante/concubina di Kinnear). Ma qual è la verità? La confessione è stata estorta a Grace con la forza o siamo al cospetto di una gelida manipolatrice?

Un dramma di genere

In sei avvolgenti episodi tiene avvinti con queste domande lo show tratto dal romanzo omonimo di Margaret Atwood, già autrice de Il racconto dell’ancella, da cui è derivato lo show Hulu The Handmaid’s Tale. Ma questa volta la scrittrice canadese non tratteggia un futuro possibile di sottomissioni e negazione di diritti per le donne, bensì nuota agile e sinuosa tra le onde del più classico dei thriller in costume trovando nella serie diretta da Mary Harron (American Psycho) una sponda felice e ispirata.

Harron sa scavare senza indugiare su dettagli macabri, creare atmosfera con una camicia da notte svolazzante alla luce della luna e con primi piani insistiti dove a parlare sono gli occhi smarriti e poi rapaci e audaci di Grace.

Nostra signora Sarah Gadon

In questo la regista è aiutata dalla scelta di una protagonista affascinante e misteriosa come Sarah Gadon, capace con poche sfumature di tingere l’aria angelica della sua Sadie Dunhill (11/22/63) di un colore più aggressivo e inquietante e, subito dopo, tornare a essere un agnello impaurito. È proprio in questa sua abilità di tenere il primo piano (splendida la sequenza di apertura tutta giocata sui suoi occhi) la grandezza della musa di Cronenberg.

Il suo viso perfetto, le sue parole (misurate) i suoi pensieri (taglienti) le dita operose che lavorano su ricami delicati diventano ossessione e oggetto di studio di uomini di legge, sconosciuti (tutti sembrano voler possedere un pezzetto della famosa assassina e questo è sinistramente  moderno) dottori; dallo psichiatra del manicomio criminale al medium Jerome, fino al medico americano (Edward Holcroft) che sembra perdere lucidità davanti agli occhi liquidi della sua paziente.

Il fantasma di Freud

Approcci e vedute diverse che offrono brevi e suggestivi scorci dei primi modelli teorici che anticiparono la psicoterapia contemporanea (dall’ipnotismo al mesmerismo, fino al  magnetismo), prima della nascita di Freud.

Tutto per capire se la graziosa e sprovveduta domestica ha o non ha ucciso il suo padrone e la sua amante. Grace inganna gli altri con glaciale consapevolezza o mente a se stessa in un estremo tentativo di proteggersi? Gli spettatori non possono che sperare di trovare risposte nel finale o forse di trovare la risposta che vorrebbero ricevere. Perché potrebbero pur sempre accontentarsi di credere a Grace che, come una novella Sherazade, tesse il suo sottile e seducente inganno per sopravvivere.

E non è forse quello che sta facendo con il dottor  Jordan che, quindici anni dopo gli omicidi, si reca in carcere per raccogliere la sua testimonianza e scrivere una memoria (Non intendo giudicarvi, solo ascoltarvi) rischiando a sua volta di restare ammaliato?

L’altra Grace si racconta

Grace inizia a raccontarsi con gesti compunti ed eloquio ingenuo (o forse solo astuto?) e con lei torniamo al 1843 quando tutto è cominciato, dal suo arrivo in Canada dove trova lavoro come cameriera dai Parkinson. Un lavoro che la aiuta a liberarsi del padre molesto e che la illumina con un unico caldo raggio di sole: l’amicizia della vitale cameriera Mary Whitney, la sua parentesi felice.

Una parentesi destinata a breve vita – come già capiamo dal dettaglio della buccia di mela – e che porterà l’altra Grace a essere vittima della sua stessa bellezza da dipinto. Una bellezza pallida ed elegante che tutti vorranno ammirare da vicino: lo stalliere, l’ingenuo tuttofare James, Mr Kinnear, il fidato Jerome, il dottor Jordan.

Di me dicono tante cose. Che ho un brutto carattere, che sono una brava ragazza, che sono scaltra, che sono un po’ ottusa, che sembro al di sopra della mia posizione sociale. Mi domando come posso essere tante cose diverse tutte insieme.

Abbassando dolcemente gli occhi, Grace lo domanda a noi.

Donne di talento

Accanto a lei le tre donne che di questo show vanno a comporre la spina dorsale: la regista, l’autrice del romanzo e soprattutto la sceneggiatrice e produttrice Sarah Polley, che nel 1996 folgorata dal libro ne acquistò i diritti e decise di trarne una serie scrivendo tutti gli episodi e affidando la regia a Mary Harron, al suo debutto in una serie in costume ma pronta a portare la propria impronta brutale e personalissima allo show, a cominciare dalle inquietanti soggettive con cui Grace ci porta nella casa dei misteri.

A spaventare più di ogni altra cosa è proprio lo sguardo di Grace, un attimo prima intimorito e ingenuo, subito dopo spietato e carico di odio per il genere maschile. E forse per se stessa ché, come scrive Emily Dickinson, è più di noi stessi e di quel che dentro di noi si cela che dovremmo aver timore.

Sentii una crepa nella mia mente come se il cervello si fosse spaccato. Cercai di ricostruirlo, punto per punto, ma non ci riuscii.

 

Francesca Paciulli

 

2 pensieri su “L’altra Grace, signora dei silenzi e delle serie tv

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