Immersi nella giungla a caccia di una civiltà perduta.
Tu non erri, pover’uomo, sul suolo della tua terra, ma su un tetto della tua casa, che poté divenire quello che oggi è per te soltanto attraverso molte alluvioni.
Johann Gottfried Herder
C’è qualcosa di magico nel cinema di James Gray, la sensazione di osservare una immagine brulicante di lenti e precisi movimenti. Ha uno sguardo d’altri tempi, senz’altro una eredità del suo passato da pittore e un regalo del suo amato cinema classico. Civiltà perduta può benissimo essere scambiato per un film anni Settanta.
Incisioni rupestri
È la storia vera solo a tratti romanzata dell’esploratore Percy Fawcett, Maggiore nell’esercito della Corona, inviato nella foresta amazzonica dalla Royal Geographical Society per mappare l’area contesa dalla Bolivia e dal Brasile, ricca di caucciù. Nella profondità della giungla calpesterà terracotta dove nessuno era mai stato prima.
Stregato da quei pochi oggetti segno di una antica civiltà evoluta, Fawcett dedicherà la vita e la morte all’Amazzonia. Una sequela di sacrifici personali, come il non essere mai presente per i suoi tre figli (tra cui il Jack di Tom Holland) e la moglie Nina (Sienna Miller, immagine della dignità), per trovare la perduta città di Z.
L’ultimo tassello della storia, una ossessione romantica diversa dalle follie egotistiche di Aguirre e Fitzcarraldo, entrambi ricordate dalle immagini di Gray in più occasioni insieme al cuore di tenebra pulsante in ogni fotogramma di Apocalypse Now, la cui tensione mortale accompagna le canoe di Fawcett in ogni singolo viaggio in Amazzonia.
Neo-classicismo cinematografico
Civiltà perduta è un film neo-classico, cresce dentro col tempo e non nascondo che l’idea di una seconda visione mi accarezza. C’è da scavare al suo interno, trovare l’anima e abbracciarla per sentire il calore di un cinema che per fortuna continua a respirare alla superficie del tempo nelle visioni di registi talentuosi come James Gray.
Trasuda un romanticismo avventuroso tipico del cinema d’avventura, della lettura dei diari di grandi esploratori, da Ernest Shackleton, citato all’interno del film, a Henry Stanley e la sua ricera del dr. Livingstone, da Umberto Nobili a Edward Whymper. E Charlie Hunnam sorprendentemente trasmette ogni goccia di quelle passioni.
L’umana fragilità
Tenerezza è una parola che ho letto più volte nel definire l’intepretazione di Hunnam e, vi giuro, la accolgo senza pensarci due volte. Da un attore in cui era difficile credere di poter cavare più di muscoli e abbracci neurali è scattata una Stella: Percy Fawcett non è un pazzo, è un uomo perduto innamorato su più livelli.
È impossibile non emozionarsi per una persona a caccia del proprio stesso nome all’interno di una giungla dove suonano anche le note di Maurice Ravel, per chi al solo pericolo di vedere infrangere il sogno nel sangue della guerra non può fare a meno di mostrarsi in tutta la sua dirompente fragilità. Ci avevamo visto male su Hunnam.
Robert Pattinson invece non fa che confermare il suo coraggio, la sua dedizione all’arte che con ferocia lo ha introdotto nel regno del Cinema attraverso gli orrori di Twilight. Il suo Henry Costin è il complemento perfetto di Fawcett e per una volta non assistiamo al consueto duo equilibrato, Costin ha motivi e timori che lo separano da Fawcett.
Vibrazioni liriche
Insieme siedono in quest’opera divisa tra debolezza umana e lirismo, lo stesso che mosse Martin Scorsese nel sottovalutato Silence. Sia Gray che Scorsese hanno stretto tra le mani nell’ultimo respiro tutto ciò che ammiravano delle storie da loro raccontate, il desiderio di riunirsi finalmente al sogno intoccabile rincorso tutta la vita.
Gray regala infatti una conclusione immaginifica, sensazionale, insieme a Darius Khondji, sia per il suo Percy Fawcett che per la moglie Nina, svanita attraverso lo specchio alla ricerca del suo amato marito. È un finale difficile da comprendere sul momento, ma prosegue dentro lo spettatore alimentandosi del suo ricordo.
Per la miseria, mi si rizzano i capelli al pensiero, mi pento di essere uscito dalla sala senza queste sensazioni, ma del resto è ciò che accade quando un film sa colpire anche sul lungo termine. Paul Thomas Anderson è un maestro in quest’arte, non lo ha forse dimostrato sia con The Master che con Vizio di forma? Avanti, urliamolo senza timore.
La semiotica dell’immagine
James Gray non raggiungerà certo quei livelli, per quanto determinate immagini si inchiodino nella memoria – guarda caso Joaquin Phoenix è stato una costante delle due filmografie -, eppure colpisce con l’originalità del suo tocco in cui la distanza della macchina da presa risponde all’intensità delle emozioni dei suoi protagonisti.
Uno schema a cui è facile rispondere con la grandezza della sala cinematografica. Il primo piano corrisponde ai tremori dell’anima, i campi totali alla forza incontenibile, quella improvvisata da Robert Pattinson all’arrivo della sorgente del fiume. In Civiltà perduta è questa la corrente che trascina noi insieme agli attori in difficoltà.
Un saluto e un invito
Ora mi fermo, perché potrei andare avanti a lungo e per farlo è necessaria una nuova visione. Ma non voglio fermare anche voi, vi invito ad andare nelle sale a farvi incantare dalla Civiltà perduta di James Gray in queste magre settimane di uscite cinematografiche. Per convincervi ulteriormente lascio una immagine e uno stralcio di poesia.
Il poster statunitense di Civiltà perduta, bellissimo, e Rudyard Kipling con L’esploratore, citato all’interno del film e presente nella vita reale di Percy Fawcett come esplorazione. Quelle stesse parole sul libro Exploration Fawcett: Journey to the Lost City of Z curato dal sopravvissuto figlio Brian caricano la poesia di una tensione emotiva incredibile. Ora basta, andate al cinema e non lementatevi dicendo che non c’è niente da vedere.
“… A voice, as bad as Conscience, rang interminable changes
On one everlasting Whisper day and night repeated – so:
“Something hidden. Go and find it. Go and look behind the Ranges –
Something lost behind the Ranges. Lost and waiting for you. Go!
Rudyard Kipling, The Explorer
Fausto Vernazzani
Voto: 4/5
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