Ritorno da Mia madre.
Dormire nella casa dell’infanzia, dopo anni di assenza, è sempre un’esperienza particolare. Tutto sembra più piccolo di come lo ricordavamo. L’odore però è familiare. Ti assale non appena varchi la porta. Basta una frazione di secondo e il presente cede il passo al passato, a quando mamma ti accudiva premurosa, ti sgridava e poi con un sorriso ti faceva capire che niente era cambiato.
Tutte queste sensazioni Margherita Buy riesce a restituircele con uno sguardo e poche parole. Sua madre Ada (Giulia Lazzarini, emozionante) è in ospedale, le restano pochi giorni di vita, e Margherita per forza di cose si ritrova a dormire nella casa in cui è cresciuta.
Vaga come un automa per quel salotto lindo, circondata da mobili in legno dal sapore antico, le foto ingiallite nelle cornici, i libri con le traduzioni di Tacito e Catullo sul tavolo; sembra quasi volersi aggrappare al ricordo di sua madre, non quella provata dalla malattia, bensì quella piena di energia del passato.
È una delle scene più toccanti di Mia madre, il film con cui Nanni Moretti torna dietro e davanti la macchina da presa (per sé ritaglia il ruolo minore di Giovanni, il fratello premuroso della protagonista) quattro anni dopo Habemus Papam.
Molto si è parlato del carattere autobiografico di questo film, perché anche la madre del regista romano era una professoressa di lettere ed è scomparsa pochi anni fa, lasciando nel figlio anche una buona dose di stupore (lo stesso di Margherita e sua figlia Livia di fronte ai menu etnici nascosti nei cassetti della cucina di Ada) per una donna totalmente svelatasi, solo dopo la morte, nei racconti dei suoi ex-studenti.
Mia madre però è molto più di un racconto intimo e personale (in questo caso Moretti trova il suo alter-ego nella fragile eppure risoluta Margherita). Come già in La stanza del figlio, la sceneggiatura firmata da Moretti, insieme a Francesco Piccolo e Valia Santella, affronta un tema che interessa tutti da vicino: la perdita di una persona cara e, soprattutto, l’accettazione.
Così, se Giovanni apparentemente vive con rassegnata serenità il momento dell’imminente distacco (cucinando per la madre, vegliandola affettuosamente), Margherita fatica a mostrare ad Ada tutta la sua vicinanza e, tuttavia, non riesce mai a separarsene, neppure sul set del film che sta faticosamente dirigendo, scontrandosi a più riprese con una troupe (Il regista è uno stronzo a cui voi permettete di fare tutto!).
Cinema nel cinema: è anche questo Mia madre, un riuscito film sulla settima arte e sulla realtà che si stempera in fantasia (numerose le sequenze oniriche, indistinguibili dalla realtà, in cui Margherita incontra se stessa ragazza). È dramma e commedia. Anzi, per assurdo, le parti più riuscite sono proprio quelle in cui, grazie alla presenza carismatica di John Turturro, l’opera vira in commedia.
All’interprete italo-americano Moretti affida infatti il ruolo più spassoso e indovinato, quello della star Barry Huggins, ingaggiato da Margherita come protagonista del suo film. Un attore che millanta partecipazioni in pellicole di Kubrick, che si perde in mille capricci e vuoti di memoria, sbotta in eccessi da Divo (irresistibile la scena alla guida dell’automobile), eppure capace di gesti di infinita dolcezza (la carezza a Margherita, il ballo scatenato fuori set con una comparsa).
Michele Apicella si mette in disparte, lascia che a parlare delle sue paure e dei suoi dubbi esistenziali sia un personaggio femminile, e ci accompagna nel mistero della morte. Senza però tralasciare la speranza.
A cosa pensi mamma? Chiede Margherita ad Ada. A domani.