Habemus Papam (Nanni Moretti, 2011)

Una lettera di elogio a Nanni Moretti per il suo elegante Habemus Papam  di Elio Di Pace.

Caro Nanni,
come stai? Immagino bene, Habemus Papam sta avendo, direi, molto successo. Certo, qualcuno lo abiura, ma le recensioni mi son parse per lo più positive, e di biglietti ne stai staccando parecchi. Poi, dai, sei in concorso a Cannes, e lì ti vogliono un gran bene. Anche se, converrai, quest’anno la lotta è dura: c’è Paolo, con il suo film americano dalle grandi promesse, Terrence è tornato, Woody è sempre lì, ci sono i Dardenne che, perdonami il paragone nazional-popolare, sulla Croisette sono un po’ come il Barça al Camp Nou, c’è Pedro, che è sempre da tenere d’occhio… Sì, lo so, c’è anche quel pallone gonfiato di Lars Von Trier, ma stai tranquillo, prima o poi capirà che è il caso di smettere.
Per il resto che mi dici? È un sacco che non ti si vede al “California” a Vietri. Ma forse ti sarà giunta voce che mi sono appassionato al Cinema, quindi se l’ultima volta che ci siamo visti ero “innocuo”, adesso probabilmente ti romperei i coglioni dalla mattina alla sera.
Vabbè.

Comunque, ti scrivevo per parlarti del papa. Il tuo, non il nostro. Ed esordisco dicendo che ancora una volta ci hai dato dimostrazione dell’antica verità secondo cui un film è (anzitutto) il soggetto. La storia. L’idea. Un papa che soppesa l’ipotesi del “gran rifiuto” e si rivolge a uno psicanalista… Vogliamo scomodare Bresson e Allen? No eh? Ok, ok.

In Habemus ho notato una cosa che mi ha colpito molto: correggimi se sbaglio, ma credo che nel tuo cinema non ci sia mai stata un ricerca così raffinata della calligrafia (intesa nel senso ottimo). Hai indovinato quei travelling della loggia delle benedizioni, con le tende di velluto svolazzanti, e poi il maestoso carrello del conclave a svelare il “Giudizio”, ma in generale scene (il Vaticano ricostruito) e costumi (gli abiti dei cardinali e delle guardie svizzere) ti hanno permesso di creare immagini che, ti assicuro, restano nel cuore. Sai una cosa? Forse la fotografia era un po’ “spenta”. Adesso potresti dirmi: “Passi la calligrafia, ma il barocco proprio no”. Però, non so se hai presente il lavoro di Daniele Ciprì in Vincere di Bellocchio: ecco, forse potevi spingerti a quel livello lì, “accendere” un po’ il tutto. Dici tu, troppo pittorico? E pure hai ragione.
Al di là di queste considerazioni figurative, voglio congratularmi per il numero incredibile di trovate narrative: la guardia svizzera che deve interpretare la silhouette del Santo Padre, il clamoroso torneo di pallavolo dei porporati, le partite a scopone (con battuta memorabile: “Vi ho stordito con tutte queste chiacchiere sulla psicanalisi: scopa!”), nonché il geniale gioco metaforico imbastito da Michel Piccoli, papa fuggiasco che parla della chiesa mascherandola da teatro.

Tu, poi, hai recitato benissimo, con quei dialoghi e quelle smorfie sempre sull’orlo della presa per il culo (absit iniuria verbis, si capisce). Anche Michel è stato grandioso (quasi quasi la vince lui la palma…), però qui devo farti il mio unico appunto: la sua parte “vagabonda” è la più debole di Habemus Papam. Guardandola, lo spettatore non vede l’ora di tornare in Vaticano, perché hai fatto capire che è lì la festa.
Per concludere, ti chiedo una cosa, e ti prego di rispondermi con sincerità: ma quanto caimano c’è in Papa Melville? No perché, sai, questa storia delle responsabilità, l’inadeguatezza, le dimissioni… È una profezia o uno sfogo?

Sinceramente tuo,

P.s.: tutti ti siamo grati di una cosa: sei riuscito a non far fare danni a Margherita Buy. La ragazza ha talento, ha bisogno di una guida saggia come te per dare il massimo.

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