In Due giorni, una notte il cinema sociale dei fratelli Dardenne raggiunge la consueta perfezione.
Guardando un film dei Dardenne si potrebbe facilmente pensare di trovarsi di fronte ad un qualcosa di semplice, di improvvisato, di poco lavorato. Quello che non molti sanno è che il loro cinema, il cui marchio di fabbrica è diventato ormai inconfondibile, ha influenzato negli ultimi vent’anni un’intera generazione di registi di tutto il mondo, non ultimo dei quali fu un non certo sconosciuto Darren Aronofsky che, riadattando e reinventando il proprio stile su quello dei due registi belgi, ha saputo rilanciare con il capolavoro dardenniano The Wrestler una carriera altrimenti in discesa.
Il loro è un cinema scevro da abbellimenti estetici di alcun tipo, un cinema profondamente intriso di realismo e fortemente ancorato ai propri personaggi, a tal punto da esserne dipendente. È un cinema che piega e modella il proprio linguaggio in funzione delle interpretazioni, curate ossessivamente e nei minimi dettagli.
È il cosiddetto cinema sociale, in cui la macchina da presa (rigorosamente a mano) insegue i propri personaggi dando allo spettatore unillusione di realismo e di assenza di messa in scena. Tutto sta nel dare vita a situazioni reali e nel renderne lo spettatore il più possibile partecipe.
La trama
La protagonista, Sandra, ha dovuto allontanarsi dal lavoro a causa di una forte depressione. Oltre a questo il suo capo ha chiesto ai suoi colleghi tramite una votazione di scegliere tra il suo reintegro nell’azienda e un bonus salariale di 1000 euro.
Le pressioni del capo reparto sui dipendenti avrebbero però influito sulla votazione rendendo il risultato poco affidabile. Avendo ottenuto il permesso ad una nuova votazione quindi, Sandra ha due giorni di tempo per incontrare uno a uno i 18 dipendenti suoi colleghi per convincerli a votare per il suo reintegro.
Riaverla a lavorare però significa per loro rinunciare al proprio bonus, una scelta che non tutti possono permettersi di fare con serenità.
Il percorso di Sandra è duro, durissimo. Un’umiliazione costante e continua di sé e di chi si trova di fronte a lei dopo aver contribuito al suo licenziamento. È un percorso rivelatorio perché libera pesi sulla coscienza, fa venire a galla cose mai dette, legami poco sinceri, nature più egoiste di quel che sembrava. E se da una parte un’amica di sempre non osa neanche risponderle al citofono, dall’altra una donna succube del marito trova finalmente il coraggio di fare una scelta forte e radicale.
E in questo piccolo grande quadro di umanità i Dardenne riescono a non scadere mai nella retorica o in facili buonismi. Al contrario. La loro è un’iniezione di ottimismo, di fiducia nel genere umano e nella lotta di classe. È un voler mostrare l’altruismo e la solidarietà come valori che nobilitano le persone, anche di fronte agli eventi più drammatici.
Una lezione di cinema e di umanità
Due giorni, una notte è un film sottile e delicato, che si insinua lentamente nella nostra sensibilità senza far rumore. È un film in cui anche un’attrice del calibro di Marion Cotillard riesce a scomparire dietro al proprio personaggio facendo dimenticare totalmente il peso della sua celebrità. È una persona comune, umile, in cui chiunque può riconoscersi.
Il lavoro dei Dardenne in questo senso è esemplare e senza precedenti. L’epopea di Sandra infatti, tra prese di coraggio e ricadute improvvise, dalla rabbia all’incapacità di parlare, è specchio di una delle rappresentazioni umane e sociali più vere e profonde che si siano mai viste sul grande schermo.
E nella meravigliosa risoluzione finale, sempre coerente e misurata, esplode come un’emozionante rivelazione il vero messaggio del film, che oltre ad essere una straordinaria lezione di drammaturgia è anche e soprattutto una grandissima lezione di umanità.