The Imitation Game: nel labirinto del sentimento.
La compagnia e la mente.
Dell’importanza del singolo nei grandi crocevia della Storia è emblematica la vicenda di Alan Turing, matematico e crittografo britannico noto per aver decifrato i messaggi in codice inviati dalle truppe naziste mediante un complesso macchinario, antenato dei moderni computer.
Ai tempi in cui in Inghilterra l’omosessualità veniva considerata reato fu accusato di atti osceni e condannato alla castrazione chimica come alternativa al carcere. Morì, ucciso da una mela al cianuro, nel 1954. Cinquanta nove anni dopo la regina Elisabetta gli ha concesso la grazia postuma
Il gioco del caso
Tutto questo però – come, del resto, è giusto – The Imitation Game lo dice alla fine. Nell’adattare la biografia scritta da Andrew Hodges, il norvegese Morten Tyldum procede per gradi mescolando – ma in maniera assolutamente equilibrata – le linee narrative.
Il burbero e impacciato matematico ha il volto maturo (vibrante, indelebile) di Benedict Cumberbatch e quello (altrettanto indimenticabile) di Alex Lawther, uniti in un’alternanza narrativa che vuole essere specchio della logica della casualità intrinseca allo stesso esistere umano. Che poi, tagliando un poco con l’accetta, è il senso medesimo del gioco dell’imitazione che dà nome al film, a sua volta ispirato da una delle pubblicazioni più importanti dello studioso inglese.
Niente è lasciato al caso perché tutto è casuale: The Imitation Game è innanzitutto un gioco di corrispondenze, di segmenti che trovano il proprio punto di arrivo dopo aver descritto con candida e fortunata precisione l’inizio del loro percorso.
Spiegazioni prive di retorica
Il carattere brusco di Turing trova motivazione (senza giustificazioni) in un passato colmo di soprusi e violenze – “perché agli uomini piace tanto la violenza? Perché è appagante” viene ricordato spesso – provocati dalla sua dichiarata diversità.
Non v’è “retorica della normalità”, quel desiderio e quella predica di uguaglianza a tutti i costi che spesso sacrifica il talento e la particolarità degli individui.
Alan, quel viso così spesso in primo piano e a metà del quadro, ha sempre vissuto di simmetrie, ricercandole maniacalmente persino nel piatto in cui mangiava, annoiandosi là dove i suoi coetanei dimostravano di aver ancora bisogno di imparare e amando ciò che molti altri non ammettevano di amare. Per questo, proprio per questo, la sua figura ha dello straordinario, e ha rappresentato – oltre che fatto – qualcosa che è andato ben al di là del normale.
Diverso dal solito
Nei colori pastosi e brillanti di Oscar Faura (ve lo ricordate L’uomo senza sonno?) e con l’appassionato commento sonoro di Alexandre Desplat – che, FERMI TUTTI, a un certo punto cita l’Herrmann del Vertigo di Hitchcock, facendo di Turing l’uomo che visse due volte – Tyldum compone un biografico dallo stile soltanto all’apparenza consueto.
Perché al di là di qualche faciloneria di troppo dello script di Graham Moore, delle ripetute frasi ad effetto – “sono le persone che nessuno immagina che possano fare certe cose quelle che fanno cose che nessuno può immaginare” – e delle sovrapposizioni un po’ volgari tra fiction e immagini di repertorio, The Imitation Game ha un modo tutto suo, esplicito e al contempo elegante, di dire ciò che ha da dire.
La solitudine delle menti prime
Sull’ipocrisia del potere, sulla costanza dell’ingiustizia, sulla sottile linea invisibile che separa la verità dalla menzogna. E, forse più di tutto, sulla solitudine cui la società destina gran parte delle persone capaci di pensare diversamente.
E la scena del colloquio fra Turing e l’agente Robert Nock/Rory Kinnear (altro interprete da tenere d’occhio) lo spiega molto bene. Assieme a Cumberbatch, il giovane Lawther e una sorprendente Keira Knightley, rappresenta una delle ragioni per cui la visione di The Imitation Game è assolutamente necessaria.
La prima sta nell’averci ricordato quanto la mente e il suo lavoro siano veramente in grado di rendere gli uomini grandi, capaci di cambiare le cose. Come è riuscito a fare, nella sua vita e oltre, Alan Turing.
Francesca Fichera
Voto: 3.5/5
Un pensiero su “The Imitation Game (Morten Tyldum, 2014)”