Il dubbio sul dubbio è l’essenza del dubbio – di Francesca Fichera.
“Il dubbio può essere un legame tanto forte e rassicurante quanto la certezza“. E di questo è testimone ogni inquadratura, ogni singola riga di sceneggiatura, ogni personaggio del film di John Patrick Shanley, vincitore del Pulitzer 2005 proprio grazie al dramma che ha poi scelto di tradurre: Il dubbio.
Una psico-tragedia dai risvolti filosofici, dalle pieghe profonde, la cui scrittura impeccabile è il vero punto di forza, il cardine attorno al quale ruotano tutti gli altri elementi – altrettanto validi – della composizione.
La trama del film
È il 1964: il sangue del presidente J. F. Kennedy è ancora fresco e lungi dall’essere lavato; il popolo americano – e forse non soltanto lui – giace nella confusione, e si trova a dover affrontare una tremenda fase di passaggio, una transizione che è anche “trasloco” di valori, momento di lotta accesa fra tradizione e progresso, fra quel che è bene portarsi dal passato e quel che è male prendere dal nuovo.
Tutto ciò viaggia dal macrocosmo fino al microcosmo, ricadendo sulle vicende interne a una scuola cattolica nel quartiere Bronx di New York, retta da Sorella Beauvier (una Meryl Streep in stato di grazia) e dall’amato Padre Flynn (Philip Seymour Hoffman, sulla cui bravura sarebbe superfluo esprimersi).
Lei è la purezza dell’ideale a cui l’umanità è stata data in sacrificio (anche se non del tutto), lui l’esatto e forse eccessivo opposto; in mezzo c’è Suor James (Amy Adams), ingenua e tremante parte di raccordo fra le estremità di mente e anima, sballottata tra le disumane certezze della Beauvier e le rassicuranti speranze di Flynn.
Il dubbio parte dalla preside: insinuatosi come un fluido appiccicoso fra i suoi interstizi mentali, un mattino come tanti, non la lascia più andare. Anzi, s’indurisce, irrigidendo ogni cosa. Così dalle riprese dei grandi spazi si arriva a quelle delle piccolezze umane; e, soprattutto, di ciò che d’enorme ciascun essere vivente è in grado di sopportare, nonostante i limiti che la natura ha imposto.
L’adattamento di John Patrick Shanley
Con rara maestria, l’autore, regista e sceneggiatore Shanley porta a compimento una narrazione omni-comprensiva, capace di fotografare esteriorità ed interiorità di un altro tempo in un colpo solo, generando in aggiunta una riflessione eterna e trasversale, nonché terribile, sul devastante contraddirsi insito nella condizione umana.
Il dubbio è realizzato attraverso i cambi di prospettiva dello sguardo; si carnifica tramite i vibranti confronti fra Hoffman e la Streep; cresce con lo stratificarsi dei sospetti, fino ad esplodere allorquando, nel buio sonoro racchiuso tra le pause teatrali e le frasi sospese, va a sfiorare per un attimo l’agghiacciante sicurezza della rassegnazione.
La stessa che si legge sul volto contratto di Viola Davis, dolente e “verghiana” figura di madre sottomessa ad un doppio destino – il proprio e quello del figlio, il piccolo Donald, la causa inconsapevole di tutto.
Ma se rassegnarsi alla verità è un purgatorio in terra, il vero inferno è convivere col dubbio. Il traguardo di questo tortuoso percorso psicologico è tutto qui: raggiunto con inesorabile forza, e con una probabile caduta retorica finale, il dubbio si conferma atroce perché contagioso. Ed incurabile.
Bellissima recensione, OK, baci (ovviamente ho condiviso)
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Ringraziamenti doppi allora, per i complimenti e per la condivisione ;) A presto!
– Fran
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