Oblivion - CineFatti

Oblivion (Joseph Kosinski, 2013)

Un impianto visivo perfetto per l’insipido Oblivion  di Fausto Vernazzani.

L’inizio di Oblivion è una metafora del finale del Don Giovanni di Mozart: il Casanova cade giù negli inferi e così anche lo spettatore del secondo film da regista di Joseph Kosinski, tirato giù immediatamente in un buco di sceneggiatura enorme quanto un burrone. Il mito del Don’t say it, show it viene falcidiato in pochi minuti, la mano trema dal desiderio di chiamare Amnesty International per chiedere la fine di quella tortura a cui siamo costretti non appena  le luci in sala sono state spente. L’intera ambientazione, tutta la sinossi del film viene spiegata in pochissime immagini e una marea incontrollabile di parole, tutta la storia dietro Oblivion spiattellata in faccia allo spettatore.

Jack Harper (Tom Cruise) vive con Victoria (Andrea Riseborough) su una torre che si staglia nel cielo oltre le nuvole, è il tecnico 49 addetto alla riparazione dei droni e alla sorveglianza degli enormi impianti che succhiano energia dall’acqua marina degli Oceani. Sono gli ultimi due abitanti della Terra, abitanti di una delle poche zone non radioattive, tra i sopravvissuti alla guerra contro gli Scavengers, alieni invasori abbattuti al costo del pianeta stesso. Gli uomini vivono ora sul Tet, in attesa di trasferirsi su Titano, ma il pericolo degli Scavengers nasconde qualche segreto.

Tecnico 49, nessuno Scavengers viene mai visto in faccia e sai che Morgan Freeman è nel cast: sufficiente come spoiler alert per capire come proseguirà Oblivion (ah sì, il titolo, il tecnico per qualche motivo ha la memoria annullata a 5 anni prima, altro spoiler alert). Sceneggiato in origine da Kosinski e William Monahan, lo script è stato poi rivisitato con, se mi è concesso, terribili risultati, da Michael Arndt e Karl Gajdusek, riuscendo a creare questo: un misto tra 2001: Odissea nello Spazio, Solaris, Indipendence Day e l’ego smisurato di Tom Cruise.

Impossibile non notare la somiglianza di temi e persino di scene coi film del passato, in particolare Independence Day, per cui Oblivion potrebbe fungere da sequel spurio. La dimostrazione scientifica che Kosinski dovrebbe limitarsi a esporre le sue idee senza azzardarsi a scrivere (Tron:Legacy ce lo aveva fatto intendere), né a permettere che la sua follia possa essere lasciata vivere tramite altre penne. Pessimo scrittore, ma geniale su tutto ciò che riguarda l’aspetto tecnico e visivo (per un maestro registico degli effetti speciali il DoP poteva essere solo Claudio Miranda).

Il design di ogni singolo elemento della scenografia di Oblivion è unico e indimenticabile, partendo con la bubbleship e la sky tower il cui sistema di “illuminazione” realizzato con gli schermi retroproiettati anziché la normale chroma key è una delle innovazioni più belle viste al cinema di recente. A proposito di questo è sensazionale la scena nella piscina sulla Sky Tower. Si aggiunge poi la qualità della composizione, degli scenari – talvolta pronti a citare opere come Il pianeta delle scimmie – e della recitazione di Morgan Freeman e Hal 9000. Sì, c’è anche lui. Al resto del cast non vien data la stessa importanza acquisita dai tre principali, Melissa Leo è relegata ad un minuscolo ruolo su uno schermo, Zoe Bell e Nikolaj Coster-Waldau a far bella presenza. Notevole la colonna sonora degli M83Joseph Trapanese, ma non basta questo a redimere l’orrore narrativo di Oblivion.

3 pensieri su “Oblivion (Joseph Kosinski, 2013)

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