di Francesca Fichera.
Come un tuono reca un sottotitolo nascosto: “in nome del padre”. Non è ufficiale, ma a totale discrezione dello spettatore, che dall’ultimo film di Derek Cianfrance (Blue Valentine) potrà trarre questo accanto a pochissimo altro. Perché è uno di quei casi (ultimamente, fin troppo frequenti) in cui l’attesa è proporzionale alla delusione, quando quest’ultima non le è addirittura superiore.
Aspettare mesi per cosa? Un buon piano-sequenza iniziale e un bel fondoschiena – quello di Ryan Gosling, naturalmente, dopo Drive di N. W. Refn oramai assurto a nuovo James Dean degli anni zero. E poi? E poi un film scritto male, recitato peggio e diretto non-ne-parliamo-come (anzi sì diciamolo: con qualche scavalcamento di campo in eccesso). Che parte da un’idea discreta ma non eccezionale: quella di un motociclista acrobata che, durante l’ennesima tournée, ritrova l’ex compagna (Eva Mendes) e la scopre madre di un figlio suo, di cui decide di prendersi cura. Ma, poiché cambiare vita costa più caro del previsto, la soluzione meno difficile si rivela essere la malavita. I cui costi sono ancora più elevati.
Su questo circolo vizioso si chiude la prima sezione di Come un tuono, il film nel film che cede il passo al faccione americanissimo e sbarbato di Bradley Cooper: poliziotto tutto valori e discorsi a mezzobusto, rappresentazione mono-espressiva di uno degli innumerevoli cliché messi in scena da Cianfrance, l’agente Cross è il terzo padre della storia – il secondo è Luke/Ryan, il primo si confonde tra la figura di un Dio imperturbabile e colui che a Luke scelse di non badare mai. A quel punto, dopo essersi sorbiti la ridicolezza oscena di alcuni dettagli, come il calendario della donna nuda appeso alla parete dell’officina, o la famigliola felice riunitasi per l’ultima volta alla luce del tramonto, con tanto di foto-ricordo ed Eva Mendes che, almeno, prova a mostrare un’espressione diversa da quella del macaco; a quel punto, assistere all’ennesimo sviluppo del tòpos della polizia corrotta (che fa rima con Ray Liotta) è davvero TROPPO. Cross rappresenta probabilmente il centesimo caso interno alla cinematografia mondiale di guardia onesta che, nel respingere la corruzione, finisce col diventarne parte integrante. E lì, a dimostrazione di questa fondamentale e subdola forma di vigliaccheria, il “posto al di là dei pini” del titolo originale (The Place beyond the Pines) acquisisce una connotazione più marcatamente simbolica. Ma non finisce qui, perché Cianfrance ha ancora qualcosa da dire (male). Ha inizio così il terzo e ultimo capitolo di Come un tuono, quello che racconta il destino dei figli dei due padri. Un epilogo che sembra ricalcare in un primo momento il realismo tragico di American History X, e che però prende tutt’altra strada, al di là dei pini e dell’umana sopportazione, lontana anni luce dal discreto saper dire del precedente lavoro del regista. E dove l’unico particolare da salvare, forse perché frutto di una delle poche scelte realmente accurate fatte a monte, è la voce di Bon Iver e dei suoi Wolves.
Ryan si riprenderà con l’ultimo di Refn
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Molto probabile. E io, come nel primo caso, lo guarderò combattuta fra la voglia di ammirarlo e la mia naturale impressionabilità (pare che Only God Forgives sia decisamente più ‘pulp’ di Drive… anche perché ancora devo capire Drive che ha di pulp, e perché in molti lo hanno definito così :P)
– Fran
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