The Raid, redenzione e resurrezione del cinema d’arti marziali.
C’era una volta un giovane regista inviato come documentarista in Indonesia per filmare diversi esperti d’arti marziali, in particolare del Silat, una forma poco conosciuta in occidente fino a pochi anni fa.
Il regista rimase talmente affascinato da quei movimenti che decise di girare un film d’arti marziali concentrato sul Silat, un po’ come in Thailandia Prachya Pinkaew con l’aiuto di Panna Rittikrai e Tony Jaa cominciò a far conoscere il Muay Thai al mondo.
Da quell’idea nacque Merantau e la collaborazione tra un ragazzo delle consegne e un gallese trapiantato in Indonesia. Quella coppia ora è all’estero diventata riconoscibile esattamente come lo sono diventati Pinkaew e Jaa ai tempi del primo Ong Bak.
Chi è il nuovo duo? I loro nomi sono Iko Uwais e Gareth Evans. Teneteli a mente, in futuro saranno delle vere e proprie star.
Prima del raid
Subito dopo Merantau e il meritato successo internazionale crebbe un progetto volto a unire per la seconda volta la coppia Uwais/vans, il cui titolo era inizialmente The Raid, modificato, in seguito all’incredibile successo di pubblico alla proiezione al Midnight Madness del Toronto International Film Festival, in The Raid: Redemption.
In Italia un’unica proiezione nel saggio e lungimirante festival torinese, più del FEFF udinese che invece si lascia scappare l’occasione, e adesso c’è solo da piangere ed aspettare che anche da noi in qualche modo arrivi questa piccola perla del cinema d’azione d’arti marziali.
Alcune testate lo hanno salutato come il miglior film d’azione visto in decenni, una dichiarazione un po’ esagerata ma che nasconde sicuramente in sé una verità: è in effetti il miglior film d’azione d’arti marziali dai tempi degli esordi di Prachya Pinkaew, di Ong Bak e Tom Yum Goong.
Dentro il blitz
La storia è semplice e concisa: un gruppo d’élite della polizia viene inviata in un edificio controllato per intero dal boss Tama, difeso dai suoi due scagnozzi Mad Dog ed Andi.
Una missione suicida, mai nessuno è riuscito a raggiungere i piani alti, dilaniato dai suoi abitanti prima di raggiungere i laboratori della droga, e anche ora si prospetta una carneficina, se non fosse per la recluta Rama (Uwais) spinta da ulteriori motivazioni a farsi strada a suon di calci e pugni.
L’ambientazione creata dal team di Evans è notevole, la regia stessa non è funzionale come capita il più delle volte (come fu per lo stesso Merantau) ma riesce a mostrare in quei piccoli spazi vere e proprie acrobazie che fino ad ora erano ancora sconosciute.
La musica dell’azione
Gli avvezzi al cinema d’arti marziali cominciano a familiarizzare con le mosse del Kung Fu, del Muay Thai, tant’è che Panna Rittikrai e Pinkaew, da bravi mestieranti quali sono, si sono dati al coreano Taekwondo dopo anni di arti thailandesi.
Un’ora e quaranta minuti che conoscerà ritmi quasi musicali – la cui colonna sonora è tra l’altro composta da Mike Shinoda, leader dei Linkin Park – che fondono il movimento con il ritmo senza però creare una danza, bensì contrastandola e superandola: azione volta allo sfondamento della barriera del suono.
The Raid: Redemption è uno di quei film che andrebbero visti sul grande schermo, ma noi italiani non conosceremo questa fortuna se non forse per i lavori futuri di Evans e Yayan Ruhian, coreografo insieme ad Iko Uwais, il cui nome potrebbe salire ai massimi livelli in compagnia di Panna Rittikrai (uomo bruttissimo, ma di grande talento).
Per concludere dico solo una cosa: vedetelo, rimarrete soddisfatti.
Fausto Vernazzani
Voto: 4/5
4 pensieri su “The Raid: Redemption (Gareth Evans, 2011)”