La legge spiegata a colpi di 3D nel Dredd di Pete Travis.
L’universo distributivo a volte è come un’autostrada buia dove ti basti per restare in carreggiata, per andare sul sicuro. Personalmente sono un fan del guardrail, talvolta schiantarsi contro un muro porta ottimi risultati, non si sa mai quando tra le tante garanzie riesci a scovare una sorpresa inattesa, come Dredd 3D.
Un mucchio di esperienza televisiva e due film all’attivo (Endgame e Prospettive di un delitto) che saranno dimenticati nei prossimi anni dal qui presente terzo film di Pete Travis, accolto con applausi, baci e abbracci tanto dal pubblico quanto dalla critica, nonostante a circondarlo sia un silenzio purtroppo mortale.
Il reboot dei desideri
Ricordo il lontano giorno in cui vidi la prima clip di Dredd, quei tempi in cui si parlava solo della possibilità di un reboot della trashata che fu il film con Sylvester Stallone e (sigh!) Rob Schneider negli anni Novanta. La mia reazione non fu di scetticismo, solo voglia di ignorare quella che appariva come una manovra da quattro soldi.
Poi vedi le testate di settore esplodere con recensioni a quattro stelle e ti convinci possa valere la pena, che ci sia la possibilità di cogliere un’ottima occasione al cinema, e così è stato: posso dire senza esitazione che Dredd 3D è secondo solo a The Raid (la somiglianza tra i due film è sfacciata) nella classifica dei migliori film d’azione del 2012.
Io sono la Legge
Star della raccolta di fumetti britannica 2000 AD, il giudice Dredd è nacque per mano e matita di John Wagner e Carlos Ezquerra alla fine degli anni Settanta per vivere nel claustrofobico futuro ultra-urbano di un’America post-apocalittica devastata dal crimine a livelli esponenziali e intollerabili per il sistema giudiziario.
Siamo a Mega-City One, una megalopoli tanto vasta da coprire il territorio che va da Washington D.C. a Boston, abitata da oltre 800 milioni di cittadini incontrollabili. Una buona ragione per istituire l’ordine dei Giudici, un corpo di polizia con in sé il ruolo di giuria, giudice ed esecutore: i Giudici sono la legge.
Drogarsi col tempo
Dredd 3D al contrario del fratello maggiore diretto da Danny Cannon ha una storia assai esile e senza conseguenze da fine del mondo. Dredd (Karl Urban sempre col casco a coprirgli il volto) ha il compito di testare la recluta psichica Anderson (Olivia Thirlby) e dimostrare la sua adeguatezza come giudice all’Ordine al comando.
Prima missione è dentro Peach Trees, grattacielo abitato da migliaia di persone come ce ne se sono all’infinito in Mega-City One, ma a differenza di altri all’ultimo piano vive Ma Ma (Lena Headey) spietata kingpin produttrice e spacciatrice dello Slo-Mo, una droga in grado di ridurre la percezione del tempo all’1% della normale velocità.
Scopo della missione: raggiungere l’ultimo piano e sradicare Ma Ma dal suo regno.
Trama e svolgimento identici al capolavoro action indonesiano The Raid, dove Iko Uwais si batteva dentro un grattacielo controllato dai signori della droga per raggiungere l’ultimo piano ed eliminare il boss. A quanto pare un caso fortuito (e sfortunato), perché la lavorazione di Dredd 3D precede di molto l’uscita del film di Gareth Evans.
L’abito fa il monaco
Se c’è un aspetto in cui The Raid e Dredd 3D si distinguono è senz’altro la veste visiva. Pete Travis con la fotografia di Anthony Dod Mantle dà forma a un’infinita serie di vignette in cui si alternano con rapidità ombre e luci, saturazione e desaturazione, rendendo l’esperienza visiva ultra-dinamica e mai noiosa.
Al centro di questa abbiamo il protagonista invisibile di Karl Urban, una roccaforte umana impeccabile su cui speriamo saranno costruiti sequel su sequel. Il giudice Dredd di Urban è la personificazione della Legge di Mega-City One e non un megalomane biascicante quale fu Sylvester Stallone nello scontro con Armand Assante.
È un tripudio di trovate eccezionali, una sorpresa spuntata dal nulla scritta dalla stessa penna che diede vita a 28 giorni dopo di Danny Boyle e Non lasciarmi di Mark Romanek, ovvero Alex Garland, un nome che dovremo imparare a riconoscere come una garanzia di qualità, nonché autore di ottima fantascienza cinematografica.
Il consiglio finale è dunque quello di sbandare e sfidarvi, cercare di uscire fuori dai binari e tentare di scoprire cosa c’è al di là del percorso obbligato dalla distribuzione. È così che potrete scoprire nuovi talenti e magari il vostro futuro film d’azione preferito, perché questo è il destino di un’opera destinatata a diventare un cult.
Speriamo solo avrà il successo che merita!
Fausto Vernazzani
Voto: 4/5
Fino a ora mi ero abituato a vedere remake bruttissimi di film bellissimi, se ora si mettono a fare anche remake bellissimi di film bruttissimi siamo alla buccia..nsomma è tutto un remake, basta..
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Questo è vero, però se almeno questi remake permettono a dei buoni registi di farsi strada, allora ben vengano!
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