Un sapore di ruggine e ossa - CineFatti

Un sapore di ruggine e ossa (Jacques Audiard, 2012)

L’Audiard poetico di Un sapore di ruggine e ossa.

Tutti erano usciti dalla sala – dalle sale – con gli occhi grondanti felicità. Che è poi, nel cinema, un concetto proteiforme, perché il godimento cinematografico ha sia le forme del pianto che le forme del sorriso, sia gli strascichi della rabbia che quelli della rassegnazione. Ma sono tutti segnali che il film è ‘arrivato’, che scava, che rimane.

Succede coi grandi film. De rouille et d’os, cioè Un sapore di ruggine e ossa, è un grande film.

Tutti erano usciti dalle sale cannensi pieni di soddisfazione, e chi non è riuscito a vederlo ha comunque avuto anticipazioni sulla maiuscola performance di Marion CotillardL’’ho visto a Roma, ieri, nella rassegna per i meno fortunati, il festival in differita al quartiere Prati, dopo aver mangiato risotto coi funghi come se non ci fosse un domani e aver visto la Germania demolire l’’Olanda.

Il film comincia con un personaggio dardenniano di nome Ali, che è senza lavoro e si trasferisce dalla sorella insieme al figlioletto biondo, scugnizzo-enfant dardenniano pure lui. Ali trova impiego come buttafuori e si imbatte in Stéphanie, bellissima e sinuosa addestratrice di orche che perde entrambe le gambe a causa di una incomprensione con un cetaceo. Storia già vista, ispirata comunque ai racconti brevi di Craig Davidson: è prevedibile che Stéphanie combatta la sua particolare condizione progettando il riscatto per tramite del sesso (e Marion Cotillard senza gambe è pur sempre Marion Cotillard), ed è altrettanto probabile che un personaggio come quello di Ali finisca in giri più loschi, dedicandosi ai fight club fuori dall’’orario di lavoro, per arrotondare. Lui, immaturo sciupafemmine, suscita i nervosismi di lei, ma gli viene data l’’opportunità di ergersi a eroe quando

SPOILER

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frantuma a pugni la superficie gelata di un lago per salvare il figlio che ci è caduto e si sta assiderando.

Forse Un sapore di ruggine e ossa non raggiunge la perfezione e la compiutezza di Un pròphete, ma siccome qui siamo tutti amanti del come un po’’ più che del cosa, di questo film si ama il tocco di Jacques Audiard che spazia dall’’adesione impietosa (ma non compiaciuta) ai personaggi, con la camera a mano e i tremolii annessi e connessi, a coreografie liriche al massimo grado, elegantissime nonostante l’’impiego del ralenti e delle musiche ariose di Alexandre DesplatIl quale Desplat, che con Carnage di Polanski aveva elaborato il tema partendo dal Bolero di Ravel, compone per la sequenza del lago ghiacciato un brano che fa a Jingle Bells (in particolare alla strofa ‘Dashing through the snow’) la stessa operazione che Mahler compì su Fra Martino campanaro nel terzo movimento della Sinfonia n. 1. Quando vedrete il film, concentratevi in particolare sulla seconda scena dell’’orca (magari confrontandola con gli esperimenti di Studio Azzurro) e scrivete sulla bacheca di CineFatti quanto è stata sublime secondo voi: un esempio cristallino di poiesis cinematografica, poche righe di sceneggiatura risolte in due inquadrature perfettamente composte, qualche movimento essenziale, estasi della forma.

Di altissimo livello la fotografia di Stéphane Fontaine, che sfida il sole come Ali e Stéphanie sfidano le vicissitudini: a petto in fuori, con coraggio, con dignità. Agli attori l’’applauso finale: la Cotillard è dopo (o insieme, perché no?) a Isabelle Huppert la più grande attrice francese contemporanea, mentre Matthias Schoenaerts (già protagonista di Bullhead) è grandioso perché riesce a essere granitico, sanguigno, rude senza perdere leggerezza e, talvolta, addirittura l’’ironia. La lingua francese, fluida e cinegenica come pochi idiomi del mondo, aiuta a mantenere efficacemente la conversazione ai livelli del sussurro.

Elio Di Pace

Voto: 4.5/5

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