Il cattivo tenente di Abel Ferrara

Il cattivo tenente (Abel Ferrara, 1992)

di Francesca Fichera.

Un uomo sgretolato dalla corruzione si erge senza difese nello squallore di una stanza giallastra, come una vecchia rockstar dimenticata. Abel Ferrara attacca i fili del telefono e costringe il suo Cattivo tenente, nudo e infame, a una lunga e tragica chiamata senza risposta con Dio. Il travagliato percorso autodistruttivo del protagonista – quel memorabile randagio mugolante in cui si trasformò all’epoca Harvey Keitel – comincia nella foschia sporca dei circoli di scommesse clandestine. Annega nell’alcool, sprofonda nell’eroina. Prosegue (e in un certo senso termina) lungo la navata di una chiesa al cui altare il reietto ulula nient’altro che strazio. Una divinità oltraggiata e impassibile osserva stupri e omicidi con occhi spenti e labbra chiuse.

Se spesso l’eccesso è fine a se stesso (a volte le rime escono da sole, non me ne vogliate), lungo la strada troviamo qualche fortunata eccezione. Probabile che questa di Ferrara appaia coperta di sventura, dati il soggetto e i toni con cui questo è portato in immagini. Film smembrato dalla censura e vietato ai minori, Il cattivo tenente è effettivamente tutt’altro che un auto-compiaciuto esercizio di stile violento: funziona perché spaventa, spaventa perché riesce a farci da specchio. Dalla disperata catabasi del protagonista non emerge un solo dubbio che non sia già stato tarlo delle nostre vite e menti. La colpa e l’espiazione, il cattivo che si rivela più buono dei buoni, la solitudine naturale dell’uomo. E, più di tutto, il vuoto che scava dentro per il non saper trovare alcuna spiegazione plausibile. Il senso che è l’assenza di senso stesso.

Ferrara avvicina la mdp al volto rugoso e contratto del tenente – un Keitel da brividi, sento di dover ripetere – e ci dice « Il confine è sottile. Per un nonnulla potrebbe andare a finire così. In fondo (ma non troppo), viviamo tutti sull’orlo del baratro ». Ditemi se questa è o non è la vera violenza, la forza devastante di un Cinema raro quanto tossico.

Oggi il regista originario del Bronx, dopo aver aperto e chiuso una parentesi sperimentale nel mondo del documentario, fa il suo gran ritorno al lungometraggio (l’ultimo è Go Go Tales e risale al 2007) presentando a Venezia 4:44 – Last Day On Earth. Protagonisti Willem Defoe e l’ex compagna di Ferrara Shanyn Leigh; una coppia seguita nelle ultime ore di vita prima dell’Apocalisse (prevista, appunto, per le 4 e 44 del giorno dopo).  « Cosa accadrebbe se tutti noi sapessimo che stiamo per morire? », così Abel preferisce descrivere la trama del film. E spiega che anche stavolta non v’è salita né lotta: la parola che fa tremare è “rassegnazione”.

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