First Man - Il primo uomo

First Man – Il (classico) primo uomo

L’allunaggio riceve il trattamento Chazelle

Neil, sarai al comando dell’Apollo 11.
Ok, risponde lui senza scomporsi. E quello sarà l’atteggiamento dell’uomo e dell’astronauta per tutta la durata del film di Damien Chazelle.

Eccezion fatta per quell’ultimo intenso primo piano dietro il vetro della stanza della quarantena che lo separa dalla moglie Janet. Il viso smagrito, gli occhi infossati, Neil Armstrong si è lasciato la Luna alle spalle.

Il satellite della Terra su cui, per primo, ha posato il piede, è tornato ad essere un puntino argentato a cui rivolgere lo sguardo quando il dolore per la perdita della figlia Karen, scomparsa otto anni prima di quel fatidico 20 Luglio 1969, diventa insostenibile.

La solita Hollywood

First Man – Il primo uomo è un film di stampo classico. Anche troppo. È questa l’impressione appena terminata la visione del film di Damien Chazelle. Classico nel montaggio di Tom Cross con le date salienti a scandire le tappe che porteranno il pilota collaudatore della NASA Neil Armstrong-Ryan Gosling a sbarcare sul suolo lunare e a esprimersi su quel fatidico piccolo passo per l’uomo, enorme salto per l’umanità.

Classico nell’alternare le sequenze dedicate al lato privato di quest’uomo mite e riservato, e a quello pubblico. Il lato entrato nella storia, quello che ci parla di un uomo semplice ma determinato come pochi, a capo di una missione per la quale il ritorno non è mai stato certo.

Una missione, l’Apollo 11, che è stata prima di tutto un rischio. E questo il film di Chazelle lo fa ben comprendere: la missione è stata sì il sogno di John Fitzgerald Kennedy diventato realtà, ma anche una conquista astratta al centro del dibattito popolare. E infatti nel film vengono mostrate le proteste di piazza verso uno Stato reo di finanziare una missione spaziale di cui non si conoscevano gli esiti, tralasciando le necessità contingenti di un buon numero di americani.

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I due volti di Armstrong

Ispirata al libro First Man: The Life of Neil A. Armstrong di James R. Hansen, la pellicola dedica ampio spazio alla vita di Armstrong, il primo americano non-militare nello spazio. Ed è proprio in queste vesti di pilota che ci viene mostrato nei primi minuti – coinvolgenti – del film. Un inizio concitato che è soprattutto una esperienza sensoriale: il giovane ingegnere aeronautico è a bordo di un aereo-razzo della NASA alle prese con una delicata manovra di bilanciamento in atmosfera. E lo spettatore vive, vede e ascolta attraverso i suoi occhi e le sue orecchie.

È un buon ingegnere ma un po’ distratto, dicono di lui i superiori quando, dopo una manovra azzardata, scende integro dal velivolo. Ma sarà affidabile? si chiedono. Poco dopo capiamo il perché di quella apparente distrazione. Lo vediamo in ospedale con la moglie (Claire Foy), assistere la piccola Karen durante un trattamento di radioterapia.

Una pagina di vita privata a cui l’adattamento di Chazelle e Josh Singer (Il caso Spotlight) dedica ampia parte del film, paradossalmente la meno coinvolgente. Perché a colpire di First Man è soprattutto la resa registica delle missioni nello spazio, anche quelle preparatorie allo sbarco sulla Luna, quasi vissute attraverso il casco degli astronauti. Sembra di essere insieme a loro in quei minuscoli contenitori metallici, dove le cinture di sicurezza allentate vengono aggiustate all’ultimo secondo con un coltellino svizzero, il massimo della tecnologia concesso.

Il suono prima dell’immagine

Gli effetti sonori rubano la scena agli effetti visivi digitali: i clangori metallici, i respiri degli astronauti. Come durante la sequenza in cui viene ricreata la missione Gemini 8, con gli astronauti impegnati nel primo ‘aggancio’ nello Spazio tra due moduli.

O durante l’esercitazione dell’Apollo 1 (1967), funestata da un tragico incendio nella capsula. Poi naturalmente c’è l’emozionante viaggio verso la Luna accompagnato dalle note di Lunar Rhapsody e lo sbarco, immerso in un silenzio irreale: il bianco argenteo della Luna appare davanti agli occhi di Neil Armstrong, Buzz Aldrin, Michael Collins e ai nostri.

Il tempo sembra mettersi in pausa. Armstrong scende dalla scaletta del Lem Eagle. Sull’ultimo gradino esita. Il fiato a Houston e in sala si ferma. Il paesaggio lunare si riflette nella visiera del casco di Armstrong e per pochi, intensi minuti, sono solo lui e un ricordo della piccola Karen da affidare allo spazio e all’immortalità.

Armstrong affonda i piedi in quel suolo insolitamente polveroso e osserva la Terra, un lontano corpo azzurro nello spazio, e le sue certezze. Ancora non sa se riuscirà a rientrare. E per raccontare quella ancestrale paura Chazelle si affida all’interpretazione rigorosa e misurata di Ryan Gosling. Come lo stesso Armstrong, più che un eroe dello spazio, un uomo semplice e determinato.

Francesca Paciulli

Voto: 3/5

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