A caccia dell’uomo bianco col cool BlacKkKlansman di Spike Lee
Il passato è il miglior profeta, si raccontano storie di ieri per dare voce all’attualità da eoni. L’abbiamo letto tutti I promessi sposi di Manzoni, no? Per cui Spike Lee, sì, con BlacKkKlansman, premiato al festival di Cannes per la sceneggiatura, vuole parlare d’oggi, è scontato, senza però, e qui sta la bellezza, prediligere una singola chiave di lettura degli eventi che caratterizzano gli USA di Donald Trump.
Le tre grazie di Spike
Comunicare col pubblico contemporaneo può essere difficile per un regista tagliente come l’autore di Malcolm X quando scopri come i tuoi concittadini siano regrediti anziché evoluti verso una società aperta e tollerante. Vorresti magari proporre un racconto edificante, una storia ispirazionale per far riflettere il pubblico.
È impossibile però ricucire ottimismo e futuro se parte dell’elettorato percepisce l’odio come unica onda da cavalcare. Che fare? chiederebbe Lenin e Spike risponde con sagacia pescando la storia di una contraddizione portavoce di tre messaggi chiari e semplici: una critica agli USA di sempre, una parabola sulla partecipazione e uno sfottò.
Ron Stallworth, un nuovo mito
Senza perdere di mira la propria identità e la freschezza delle sue origini, Ron Stallworth negli anni Settanta divenne il primo agente della polizia di Colorado Springs e il primo afroamericano nelle fila del famigerato Ku Klux Klan, due eventi all’apparenza distanti, ma sono invece due facce della stessa spassosa storia.
Con lo sguardo serafico e l’abbigliamento cool di John David Washington (Oscar? Una nomination cadrebbe a pennello) il buon Stallworth – davvero esistito – insegue il sogno di far parte del corpo responsabile di montagne di soprusi nei confronti della comunità nera e tiene fede a sé stesso partecipando e attaccando.
Passato il primo incarico che lo vede sotto copertura in mezzo ai rampolli del black power, tra cui la fiera Patricia Dumas (Laura Harrier), azzanna l’occasione di pescare il pericolo laddove circola un odio immotivato: i suprematisti bianchi cercano nuovi adepti, quale miglior momento per infiltrare un agente nero?
L’idiozia dilagante
È chiaro come la critica politica agli USA scorra forte nel sangue di BlacKkKlansman, è pur sempre un dannatissimo film di Spike Lee, per cui nessuna novità né grande ingegno necessario per individuare dove l’autore lancia le sue sferzate. Non richiede impegno, perfetto per concentrarsi sulla presa in giro dell’odio stupido.
Washington e il collega Adam Driver sono normali esseri umani, vivono nella loro pelle preoccupandosi di ciò che sono all’esterno solo quando altri lo evidenziano, tutto sommato dei personaggi positivi per antonomasia, quasi bidimensionali a tratti, secondari rispetto ai villain di turno, tra cui David Duke (Topher Grace).
Spike lo spiega sin da subito con una comparsata di Alec Baldwin, incapaci loro in primis di capire perché sono così arrabbiati, inzolfati di stereotipi e senza nemmeno il dono della parola. Bifolchi ignoranti, tronfi cafoni sagliuti come si dice a Napoli, dalla cultura distorta e una convinzione di sé perfetta per essere presa di mira dall’intelligenza.
Razzismo da bettola
Guidati da Ryan Eggold e Jasper Pääkkönen, interpreti ideali per parodiare con grazia il razzista medio, i protagonisti negativi di BlacKkKlansman sono una serie di macchiette su cui è impossibile immaginare un minimo di risvolto comprensibile. Non è Tre manifesti a Ebbing, qui il cattivo è un cretino senza una storia triste alle spalle.
Spike Lee è una lama a cui non interessa conoscere le motivazioni del tuo odio, lasciarsi prendere da quest’ultimo è motivo semplice per essere affettati dalla sua macchina da presa e con BlacKkKlansman lo fa senza remore, soprattutto col bastardo maximo, ovvero il gran maestro del KKK David Duke, amico del presidente Trump.
Ron Stallworth è l’alfiere di un monologo volto a indicare la stupidità dei governanti carichi di odio e poveri di sostanza. Lo dimostra una scena un bel po’ didascalica, in cui una messa del KKK è montata in contrapposizione col racconto drammatico del linciaggio di Jesse Washington dando la parola a Harry Belafonte.
Son difetti necessari per evidenziare l’assurdità dominante i suprematisti bianchi, usciti se non fuori di senno sicuramente oltre il senso di cosa sia l’umanità. Poco importa se non parliamo di un capolavoro, avendo tanta energia alle spalle, lo stesso Chi-Raq era un film assai più potente (bello e ignorato, purtroppo) di BlacKkKlansman, ma anche questo fa il suo sporco lavoro.
Fausto Vernazzani
Voto: 3.5/5
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