Terror -izzarsi è bello
Quando meno te l’aspetti cinema e televisione piombano sui tuoi occhi come dei macigni. La meraviglia è dietro l’angolo e in questo primo quadrimestre del 2018 ha il nome spaventoso di The Terror, miniserie prodotta dalla AMC (quelli di Mad Men e Breaking Bad, per intenderci) e già secondo noi da annoverare tra le migliori in assoluto.
La Storia dietro la storia
Nel 2007 Dan Simmons dà alle stampe The Terror, conosciuto in Italia con il titolo di La scomparsa dell’Erebus e basato sul tragico esito della spedizione di Sir John Franklin (Ciarán Hinds nella serie) partita dalle coste inglesi nel 1845 e mai più tornata indietro.
Il misero destino toccato ai 129 uomini a bordo delle due navi – rimaste incagliate fra i ghiacci dell’Artico per almeno due anni – si mescola alla creazione di una mitologia pregna di orrori tanto reali (malanni, follia, cannibalismo) quanto sovrannaturali (un predatore mostruoso) in un climax terribile a cui l’adattamento di David Kajganich dona una veste di tutto rispetto.
Passaggi a Nord-Ovest: l’immaginario del confine
Gli equipaggi annegano nelle acque ghiacciate attorno alle conquiste della modernità. Si rincorre il sogno di sopraffare il mondo col fuoco dell’industria come bussola, ma chi ha conosciuto l’ostilità e l’indifferenza della natura come il capitano Francis Crozier di Jared Harris sa quanto questo desiderio primitivo possa tramutarsi in un incubo.
È l’epoca delle esplorazioni alla ricerca della gloria e della supremazia, di rotte commerciali rapide e sicure come il mito del Passaggio a Nord-Ovest per raggiungere l’Asia navigando nel Mar Glaciale Artico, terre e acque ancora non calpestate dall’uomo civilizzato e per questo non rispettate nella totalità della loro storia, della verità delle loro credenze.
The Terror scava nell’illusione degli uomini di poter vincere contro il freddo: Sir John è convinto che il mondo risponda alle leggi della natura scoperte dall’uomo dimenticando come sia lei stessa ad averle scritte. Il confine si macchia così di orrori lovecraftiani, il nulla si riempie delle leggende e del terrore negli occhi di un cast stratosferico.
Uno straordinario equipaggio
Gli attori di The Terror sono innanzitutto corpi affranti e avvinti dai ghiacci, dagli stenti, dalla mancanza di luce in senso lato e stretto. Una vera truppa di cui si osserva e percepisce l’incredibile catabasi, il lento declino fino al crollo, marchiato a fuoco nei volti di tutti, dal capitano ai mozzi.
È il ruolo sociale la sottile lastra bianca spaccata dal tempo sotto il cui strato si nasconde tutta quell’umana debolezza che le lacrime di Jared Harris, la mascella serrata di Tobias Menzies, lo sguardo incredulo di Ciarán Hinds e il sorriso ambiguo di Adam Nagaitis rivelano solo in parte, ma con inaudita forza.
Citazioni sommerse
Al di là del riferimento scoperto ai vari miti intessuti sul passaggio a Nord-ovest, tra i flutti immobili dell’avventura nell’Artico i grandi classici della letteratura di ogni tempo fungono da insostituibile appiglio, oltre che da ulteriore chiave di interpretazione.
Questo assunto fiorisce dallo splendido e struggente rapporto fra l’ufficiale di bordo John Bridgens (John Lynch) e il giovane bibliofilo Henry Peglar (Kevin Guthrie) a cui l’anziano regala una copia dell’Anabasi di Senofonte, ovvero la storia di una spedizione militare allo sbando dopo la morte del suo capitano.
C’è o non c’è, nella celebre esclamazione greca di “Thálassa! Thálassa!” davanti all’agognata vista del Mar Nero, un’eco dei toccanti versi composti da Barry Cornwall e dedicati da Peglar all’oceano?
The sea,
the sea,
the open sea.
It grew so fresh, the ever free.
Without it
guard it or run to the earth
above the regions round.
I love the sea.
L’orrore e la bellezza, cioè il sublime
Il trascinarsi dell’equipaggio negli ultimi episodi è uno struggente tableau vivant diretto da Tim Mielants. Scompaiono le vite nell’incrocio tra orrore e bellezza, superando l’umano nutritosi di se stesso in molteplici forme The Terror raggiunge il sublime, strappa via dalle braccia dell’uomo e del regista la centralità dei protagonisti.
Non scompaiono invece le interpretazioni capolavoro giunte alla loro amara conclusione, mentre svanisce una regia incentrata sulla ricostruzione realistica degli eventi. Inspira l’anima delle vittime e alterna immagini liquide a composizioni pittoriche ormai prive di alcun interesse per quel passaggio a Nord-Ovest incrociato ma non conquistato.
È storia di cui non si conosce ogni dettaglio, ma Simmons prima e Kajganich dopo nello scrivere e immaginare i loro ultimi giorni ne celebrano l’esistenza. Chiudono loro gli occhi e donano loro dignità immergendoli nella terrificante bellezza di quegli spazi. In quel We del titolo dell’episodio finale, We Are Gone, viene data loro una voce, un saluto, una sepoltura. Si esce distrutti da quei minuti in fondo a The Terror.
L’ha ribloggato su La finestra di Hoppere ha commentato:
The Terror
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