Tomb Raider: storia di un blockbuster calcolato a puntino.
Daniel Craig all’epoca ancora non era un doppio zero, ma di addominali ne aveva già sei e anche lo schienale di una sedia a coprirgli il kit allegato di riproduzione. Assai allegro quando davanti a lui appare una certa Angelina Jolie a solleticargli la fantasia, mentre Craig carica una pistola. Allusioni sessuali ovunque in Lara Croft: Tomb Raider…
Era solo 17 anni fa quando la Jolie fu ingaggiata grazie alla taglia del reggiseno e 10 prima che diventasse la regista/attrice impegnata conosciuta da noi tutti. Persino considerata papabile come candidata agli Oscar in categorie come regia e miglior film con Unbroken e il cambogiano Per primo hanno ucciso mio padre.
Lara Croft: Tomb Raider cercava di vendere un possibile franchise con protagonista un’eroe femminile senza puntare al pubblico con cui avrebbe potuto creare un rapporto piacevole di identificazione. La regia di Simon West si rivolgeva agli uomini così come il videogame, nella convinzione non proprio corretta che le donne non erano gamer.
Altrimenti questo spot del 1998 come ve lo spiegate?
Ne avevamo davvero bisogno?
Vent’anni dopo la pubblicità qui sopra Tomb Raider riappare sul grande schermo ed è cambiata completamente. Perché la Lara Croft dei videogame non è più la stessa degli anni Novanta, perché i rapporti di potere tra l’industria cinematografica e quella del videogioco sono cambiati tantissimo e perché certe atroci idee stanno morendo.
Il primo pazzesco balzo in avanti è scegliere Alicia Vikander al posto dell’Angelina di turno, un’attrice anche lei da Oscar – la Jolie lo ebbe per Ragazze interrotte – ma con più talento che sfacciata bellezza à la Jayne Mansfield da esporre al pubblico. Anche perché l’enorme platea dei gamers è dimostrato sia equamente divisa tra uomini e donne.
Come non voler stuzzicare quell’immenso bacino di utenti di un’industria da oltre 90 miliardi di dollari all’anno in incassi globali? Il cinema una cifra del genere la sogna e pertanto la invita dentro casa, sperando peraltro di cogliere due piccioni con una fava, ingaggiando anche un altro Daniel a fare da bisteccone, Daniel Wu.
Il futuro ha gli occhi a mandorla
Perché se da un lato il futuro è donna come ha dimostrato Wonder Woman un anno fa, dall’altro lo è la Cina, il tassello mancante per rendere il cinema Made in Hollywood una superpotenza capace di sfiorare almeno la metà dei guadagni dell’industria dei videogiochi. Al 2017 il cinema nel mondo valeva (quasi) 40 miliardi di dollari.
La crescita a due cifre del cinema nella Cina di Xi Jinping è stata il risultato di un gioco non del tutto pulito a cui Hollywood ha accettato di partecipare, spacciando il tentativo di allungare i propri tentacoli su quel mercato per inclusività dell’etnia asiatica. Ma Daniel Wu è un discorso a parte essendo una star di due mondi grazie alla AMC.
Into the Badlands è un successo moderato nel mondo delle serie tv, ma sufficiente a considerare Wu un nome che possa attirare un lato e l’altro dell’Oceano Pacifico, lasciato nelle mani di un regista norvegese col pallino per il blockbuster e l’azione, Roar Uthaug, autore di Escape e The Wave, entrambi dalla fortunatissima distribuzione.
Ma c’è dell’altro e riguarda sempre la Cina, patria di gamer incalliti (ricordate quando Warcraft di Duncan Jones ebbe successo solo lì nel paese asiatico?), ed è la passione per cinema e serialità dedicata al tema dei tomb raider. Prima la web novel, The Lost Tomb, poi una serie omonima su iQiyi e film come Time Raiders, Mojin: The Lost Legend e Chronicles of Ghostly Tribes. Ai cinesi piacciono le gite nelle tombe piene di ostacoli.
Avrete capito dove voglio arrivare. Se vi siete chiesti se c’era bisogno di un riadattamento di Tomb Raider ecco qui la vostra risposta, una lunga serie di calcoli per ottenere il blockbuster perfetto. Forse due anni poteva anche esserlo, adesso è tutto da scoprire e ora Black Panther sembra aver affossato la vecchia Lara Croft.
Ma allora com’è?
Il film in sé è senza infamia e senza lode, come prevedibile la Vikander fa un ottimo lavoro nel portare sul grande schermo un’eroina vulnerabile armata però di coraggio, lealtà e amore filiale nei confronti del padre scomparso sette anni fa (Dominic West), alla cui morte non si è mai rassegnata rinunciando alla cospicua eredità.
Siamo quindi tra le strade di Londra con una Lara Croft fattorina acrobatica prima di rincorrere lo spettro del padre a Hong Kong, dove Lu Ren l’aiuta a raggiungere un’isola dove Himiko, dea della morte giapponese, è seppellita in un’intricata tomba piena di trappole per proteggere l’umanità dai pericoli dei suoi terribili poteri.
È una sequela di scene d’azione degne di esistere e Roar Uthaug si dimostra capace di gestire un cast di seri professionisti (il villain Walton Goggins è sopra la media) su un set particolare dove rievocare attraverso oggetti di scena, decorazioni e scenografie quei dettagli rimasti impressi nella memoria dei giocatori di Tomb Raider.
Vikander sta a Nathan Fillion come…
… come Fillion stava a Harrison Ford in un certo senso. La star della serie Firefly e del film-seguito Serenity si ispirò al mito di Indiana Jones perché nessuno sapeva prendere un pugno come Harrison Ford. Idem la Vikander, senza lo humour di Ford e Fillion, pur essendo praticamente immortale sa incassare un colpo in modo credibile.
Ormai un eroe senza macchia e senza paura è impensabile e la Vikander deve sottostare al diktat hollywoodiano, restando però in un’ottica un po’ anni Novanta – il nuovo trend della nostalgia guarda a loro – per quanto riguarda la struttura della narrazione. Non è un Marvel senza empatia né un Fast & Furious fracassone. È avventura, punto.
Ciò vuol dire anche quanto manchi di ambizione e si crogioli nelle sue scelte produttive. È vicino alle tematiche volute dal mercato cinese, strizza l’occhio al pubblico dei gamers, ha una protagonista femminile ed è un film pulito pulito dal punto di vista registico. È godibile e divertente volendo passare un semplice pomeriggio al cinema…
… ma dopo?
Fausto Vernazzani
Voto: 3/5
A quanto pare subito dopo il mondo dei fumetti anche il cinema sta compiendo una profonda opera di modifica dell’immagine femminile: molti fumetti (tipo quelli della Dynamite) già sono tornati indietro perché si sono accorti che non funziona, vediamo come andrà col cinema. Che esista un vasto pubblico di donne lettrici di fumetti e gamer ci posso anche credere, ma che spendano le stesse cifre dei maschietti nel comprare fumetti e giochi devo ancora convincermene. E se il pubblico femminile non compra i prodotti con Lara Croft perché ha le tette grandi, dubito che lo faccia perché ora è una donna normale: invece ti perdi i soldi dei giovani in preda agli ormoni, che temo siano molti di più.
Comunque oltre al mondo dei videogiochi anche quello dei fumetti tira tantissimo e il cinema, ormai sempre più in crisi, cerca di attingere anche lì: devo ancora informarmi bene, ma dal trailer mi sembra che questo film abbia più di un legame con una recente saga Dark Horse di Tomb Raider – alcune scene sembrano fotocopiate! – quindi penso cerchino di richiamare ogni pubblico di media che guadagnano.
Più che per Laretta Actiongirl aspetto il film per il mitico Goggins :-P
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Come dici tu, il cinema cerca di attingere a qualsiasi cosa per racimolare soldi, ma secondo me è inutile pensare che sia un modo per sopravvivere, è nella sua natura riscrivere gli altri media, sin dagli albori. Ogni volta che poteva prendeva da qualsiasi cosa e continua a farlo, ora fumetti e videogiochi perché sono due industrie belle potenti. Comunque ci sono dati statistici che riportano come gli acquisti tra uomini e donne siano abbastanza vicini. Tieni conto che si analizzano anche mercati molto diversi dal nostro, durante la mia permanenza in Cina ricordo molte ragazze locali e coreane che ad esempio erano fanatiche dei videogiochi su mobile – sono inclusi anche quelli nel calcolo e pare corrispondano quasi al 50% degli incassi dell’intera industria.
p.s. viva Goggins!
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Di sicuro i dati devono essere incoraggianti, visto che addirittura la Marvel ha “burqizzato” tutte le sue eroine – ormai prive del pur minuscolo centimetro di pelle esposto – vedremo in futuro se la scelta avrà pagato.
Il cinema in effetti non dovrebbe inseguire i media esterni ma andare per la sua strada, con gli altri a seguire. Sebbene i videogiochi siano gli attuali regnanti, sono comunque profondamente intrisi di visione cinematografica, sviluppandola a livelli tali che il cinema per forza fallisce se cerca di imitarli. Dovrebbe invece andare per la sua strada e continuare ad usare la propria narrativa e il proprio linguaggio. E’ una lotta dura, sicuramente, visto che oggi con un videogioco ho la qualità di un film ma quell’immersione totale e quell’interattività che un film non potrà mai dare. (E sceneggiature decisamente migliori, non dimentichiamolo!)
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